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FULVIA MEZI

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Fulvia Mezi

Edizione digitale: Settembre 2013

ISBN: 9788868554811

Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

Immagine di copertina: foto by weheartit.com

A mio nonno Enzo.

INDICE

IN DEORUM TUTELA

LA MADRE DEL FIGLIO

LE IDI

LE APPARENZE

IL SOSIA

L’IBIS

LA TARGA

IN DEORUM TUTELA

Una volta gli dei scelsero un albero ciascuno, da proteggere. La quercia piacque a Giove, il mirto a Venere, l’alloro piacque a Febo, alla dea Cibele il pino e l’alto pioppo a Ercole.[…]

Fedro, Favole, libro III ( trad. Elda Bossi )

I.

Il piccolo vivaio si trovava alla fine della strada dissestata. Dalla recinzione, una spessa rete verde, allentata in più punti, si intravedevano le cime degli alberi e le macchie colorate degli arbusti. Un piccolo cartello sormontava il cancelletto di legno, e diceva così : VIVAIO: PIANTE E FIORI, anche se si leggeva “fior” perché l’ultima lettera era quasi del tutto cancellata. Il piccolo cancello era di legno, e le due ante erano tenute insieme da un catenaccio arrugginito, arrotolato più volte, sormontato da un lucchetto.

Quella mattina, però, il cancello era aperto. Giada se ne accorse con sollievo, varcando la soglia in cerca del proprietario: cercava una quercia , da sostituire a quella vecchia: una rispettabile centenaria , che la settimana prima si era divelta a causa di una tromba d’aria. Senza la sua imponenza, il giardino, seppur curato e ampio, sembrava desolato. Giada era quindi dovuta correre ai ripari. Per sua fortuna, non riuscendo a trovare il proprietario, vide un cartello: “QUERCE” accompagnato da una freccia che indicava la direzione.

Entusiasta, aveva seguito la freccia, e dopo aver percorso un sentierino coperto

da ghiaia, si era trovata davanti, su uno spiazzo erboso, una serie di “piccole” querce, maestose nonostante la loro giovinezza, nei loro vasi enormi, di coccio nero. “Posso aiutarla, cara?” Un vecchietto era sbucato da una delle querce più grosse, e la guardava sorridendo. In testa aveva un ampio cappello di paglia, sfilacciato sulla visiera, e indossava quella che sembrava essere una tunica bianca, di lana spessa, che gli arrivava fino ai piedi, che calzavano un paio di sandali di cuoio. “Che strano personaggio” pensò Giada, ma sorrise e chiese se per favore poteva dare una occhiata alle querce. L’uomo annuì e le fece cenno di continuare la sua esplorazione.

Nonostante il misterioso proprietario si era ( almeno per il momento ) dileguato, Giada si sentiva osservata. Dopo un breve giro, si era fermata davanti a una quercia che sembrava più in forma delle altre, e sembrava, data la sua posizione nel mezzo della fila, di essere in qualche modo la sovrana. Il tronco emanava la sua forza, così come le sue foglie lucide. Non poté trattenersi dall’allungare una mano e toccarne una, tra le più basse. Fu investita da una piccola scossa e il cielo divenne nuvoloso: spaventata, ritrasse la mano e il cielo tornò limpido. Aveva sognato? Ma non ebbe tempo di pensarci, perché vide il vivaista venire verso di lei, agitando un paio di spesse cesoie per attirare la sua attenzione. “Allora, ha scelto?” le chiese, appena le fu vicino. “Si, prendo questa. Mi sembra la più bella.” Fu solo un secondo, ma le parve di vedere un lampo di soddisfazione sul volto del vecchio. Ma fu un secondo, che già il solito sorriso aveva ripreso il suo posto: “Molto bene, cara. A che indirizzo la devo spedire?”

Dopo aver sbrigato le formalità, Giada si era sentita galvanizzata, piena di energia, potente. La stanchezza che aveva accumulato in tutta la settimana era sparita. Voltandosi per salutare, si rese conto di non aver capito il nome del proprietario. Glielo chiese. Il vecchietto si tolse il capello, con il suo solito sorriso: “Fedro. Mi chiamo Fedro.”

II.

Osservando l’amica fare avanti e indietro, Erica non potè trattenersi dal fare una smorfia, che subito, sentendosi osservata, tramutò in un mezzo sorriso. Era una settimana che Giada organizzava, ogni sera, un buffet per gli amici. Certo, i soldi non le mancavano, ma Erica aveva capito benissimo che la cara signora spendeva e spandeva per vantarsi della nuova quercia, che troneggiava in giardino, illuminata nella notte da un faro. In effetti, l’albero era bellissimo, maestoso; attirava gli sguardi di tutti, così come la proprietaria, che sembrava maestosa e potente, una sovrana. Svolazzava nel suo abito bianco da una parte all’altra del giardino, mai stanca, sempre sorridente. Erica la odiava in quel momento: lei invece si sentiva stressata, stanca: avrebbe preferito rimanere a casa in pantofole, ma aveva accettato di partecipare per darsi un contegno, e soprattutto, ammise a se stessa, per curiosità. Prendendo un altro calice di champagne, si chiese quale metodo avesse iniziato Giada per essere così in forma… Doveva assolutamente scoprirlo! Si alzò dalla poltroncina e si diresse al tavolo del buffet. Mentre piluccava qualcosa dal piattino, si bloccò, sentendo una conversazione: “Avete visto Giada, come è in forma? “voltandosi appena, Erica riconobbe la marchesa Lulli, una riccona ingioiellata. “Si, davvero! Sembra rinata!” un uomo calvo con un paio di occhiali spessi era intervenuto nella conversazione. Fingendosi molto interessata alle varie torte esposte, Erica si mosse in parallelo al gruppo, per sentire meglio. Quel discorso la interessava. “Lei dice che è merito del giardinaggio, chissà se funziona?” aveva rivelato una donna bassa e minuta. Servendosi una fetta di torta al lampone, Erica sorrise soddisfatta. Aveva la soluzione.

Non sapeva se quelle chiacchiere erano vere, ma non le importava. Anche se era in bolletta, con lo stipendio ridotto per colpa di quel simpaticone del capo, Erica voleva comprare una pianta, una qualsiasi. Tanto valeva provare.

Quel posto le dava un po’ d’ansia. Un bel po’. Era da mezz’ora che sbirciava attraverso la rete, e non aveva trovato il coraggio di entrare. Sobbalzò , quando si sentì battere sulla spalla. Un vecchietto la guardava sorridendo: “Vuole dare uno sguardo, cara?” Erica si sentì avvampare: “Si, grazie, stavo proprio per entrare.”

Fu sollevata dall’imbarazzo del vagare a vuoto da un cartello: “MIRTO” che stando alla freccia si trovava due sentieri più avanti. Si sentì sollevata, e si incamminò di buon o: certo, non era una esperta della pianta, ma conosceva il liquore omonimo, quindi era comunque un buon punto di partenza. Guardandola imboccare la strada giusta, Fedro sorrise.

Era perplessa. Seduta nel sedile posteriore del taxi, con in braccio un piccolo esemplare di mirto, teneva lo sguardo basso. Era come se quel giorno tutti gli uomini si fossero accorti del suo fascino: prima il vecchietto del vivaio, che da quando Erica aveva sfiorato le foglie, le aveva fatto gli occhi dolci, offrendosi di accompagnarla a casa; poi il tassista, che vedendola aveva inchiodato di botto, e che si era rivelato disponibile ad accompagnarla ovunque lei volesse, e che adesso le lanciava sguardi insistenti dallo specchietto retrovisore. Che diavolo stava succedendo? Si specchiò nel finestrino, e dovette trattenere un espressione di sorpresa: era sempre lei, ma era come se i suoi lineamenti si fossero addolciti: i capelli sembravano più lucidi, le labbra più turgide, la pelle più luminosa: era sempre Erica, ma un’Erica più bella.

In effetti, appena aveva sfiorato le foglioline dell’arbusto, aveva visto una luce salire fino al polso che l’aveva lasciata ipnotizzata, ma aveva pensato a un gioco di luci.

Il tassista frenò a malincuore tre isolati dopo, davanti all’ufficio di Erica. Da furbona qual era, aveva approfittato della pausa pranzo per uscire, e aveva anche sforato un pò. Non fece in tempo a scendere dal taxi, che tutti i colleghi maschi che stavano uscendo o entrando nell’edificio si precipitarono a aprirle lo sportello, rischiando di travolgerla o peggio travolgersi l’un l’altro. Tra di loro riconobbe il suo capo, che con solerzia le porse una mano, e si offrì di portarle la busta. “Molte grazie. Mi scuso, ho un po’ sforato l’orario.” L’uomo le fece un grande sorriso: “Ma quale ritardo, tranquilla! La mia migliore dipendente ha diritto ai suoi spazi! Anzi, stavo pensando di aumentarti lo stipendio… che ne pensi?”

“Oh beh”, pensò Erica, annuendo e dandogli il braccio, la situazione sarebbe cambiata, decisamente.

III.

Zoppicando, finalmente Flora arrivò al cospetto dell’albero di alloro. La gamba gli faceva ancora male, ma piano piano, a forza di esercizi, la situazione stava migliorando, e anche la sua camminata era più fluida, almeno a quanto diceva suo padre Umberto. Flora sospettava che avesse collocato quell’alloro in fondo al giardino proprio per farla esercitare, con la scusa che la loro tata, Baingia, apprezzava tantissimo i suoi usi aromatici, e quindi il padre aveva pensato di tagliare la testa al toro comprandone un intero albero. Sedendosi su una sdraio, Flora chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi: erano tre mesi esatti che si era fratturata una gamba per una brutta caduta, e se la gamba, almeno a quanto dicevano i medici, stava tornando a posto, dentro Flora si era rotto qualcosa: si era chiusa in se stessa; aveva allontanato tutti gli amici, e ogni scusa era buona per rimanere tutto il pomeriggio in giardino: si sentiva protetta in tutto quel verde, e le sembrava che niente potesse farle male.

“Puoi aprirmi, cara?” Flora aprì gli occhi e mise a fuoco una figura dietro il cancello. O meglio, vide un cappello di paglia e una mano che la salutava. Si allarmò :“Chi è lei?” “Il vivaista” si sentì rispondere. Ah già, suo padre le aveva parlato di quel buffo vecchietto che gli aveva venduto l’alloro: un tipo strano, le cui piante sembravano andare per la maggiore: a suo padre era stato consigliato da Erica, una sua dipendente con cui suo padre aveva filato per un po’, ma poi la ragazza aveva sposato un riccone. Riprese la stampella, e si incamminò verso di lui.

Ci mise un po’ per arrivare al cancello, e si stupì della calma con cui il vecchio aspettava: di solito era abituata alla malcelata impazienza di alcuni domestici. Il vivaista entrò e le sorrise, depositando ai piedi dell’alloro un sacchetto di terriccio, additando al grande albero: “Ha visto che bello?” lei seguì il suo

sguardo e annuì: con la luce del sole del primo pomeriggio, l’albero pareva risplendere.” Se ne prenda cura. Le farà bene.” Con un cenno di saluto, uscì dal cancello.

Non aveva dormito granché. Le parole del vecchio continuavano a rimbombarle nella testa. Dopo una breve colazione, sentì il bisogno di andare in giardino: in realtà, il suo obiettivo era l’angolo dove c’era l’alloro. Forzò il o, sforzandosi di andare più veloce. Si rese conto di non averlo mai neanche toccato, da quando suo padre aveva riempito quell’angolo isolato. Si fermò per riprendere fiato, a un o da lui: allungò una mano verso le foglie, e si sentì riempire da un calore strano, ma piacevole, che si irradiò in tutto il corpo, a partire dalle dita. La gamba gli faceva meno male, e si sentiva un sole al centro del petto, come se la stella avesse abbandonato il cielo per raggiungerla. Pianse di gioia, sentendosi rinata. Intorno a lei, il giardino risplendeva.

IV.

L’orlo dei pantaloni era strappato. Scendendo dalla macchina, Walter se ne accorse e maledisse Buck, il botolo ringhioso che sua moglie aveva insistito di tenere a casa: non c’era volta specie quando tornava dall’ufficio, che non gli ringhiasse contro, e ogni mattina si trovava con i pantaloni rovinati. Imprecando, entrò nell’edificio e si diresse al primo piano.

Appena l’ascensore si aprì Walter fu investito da urla e schiamazzi festosi, e senza rendersene conto si ritrovò in mano un flute pieno di spumante, che rischiò di rovesciare quando una sonora pacca gli risuonò sulle spalle: Umberto, il capo, lo guardava ridendo: “Finalmente sei arrivato, tiratardi!” Walter pregò che gli orli rovinati non si notassero troppo, e cercò di sorridere.“Già. Cosa festeggiamo?” “Mia figlia. Ha ripreso a camminare , e non ha più problemi con la gamba.” Per la prima volta, Walter sorrise sinceramente: conosceva poco Flora, ma la reputava una ragazza seria, e l’aveva presa in simpatia. Certe volte si chiedeva come un uomo stupido come Umberto avesse potuto generare una

figlia così speciale. Alzò il calice per brindare alla notizia, e trovò il modo di sgaiattolare in ufficio.

Di solito la sua scrivania era piena zeppa di fascicoli, rotoli di scotch, penne e qualsiasi altro genere di articoli di cancelleria. Invece quella mattina il tavolo era completamente sgombro, a eccezione di un vaso con alcuni germogli che troneggiava nel mezzo. Walter, che adorava il suo disordine, per poco non scoppiò a piangere: “Ma che?” esclamò, cercando di rinvenire la cancelleria scomparsa. “Spero non ti dispiaccia!” esclamò Umberto, dalla soglia della stanza. Come? Era stata un’idea sua? L’uomo sorrideva soddisfatto, e Walter preferì rimanere in silenzio. “Per festeggiare ho pensato di regalare ai miei dipendenti una pianta diversa, a te è toccato il pino!” Walter biascicò un grazie e, appena fu solo, spostò il vaso dalla scrivania allo scaffale. Nel farlo, notò un’etichetta: “VIVAIO FEDRO” : A quanto pare il capo non badava a spese, considerando che era il vivaio più in del momento, e anche sua moglie meditava di farci un salto. Beh, a quanto pare, per una volta il vecchio Umberto lo aveva tolto dagli impicci.

Il profumo del pino impregnava l’intero abitacolo: il capo aveva insistito perché lo portasse a casa, e per evitare discussioni, Walter aveva acconsentito, e l’aveva assicurato con la cintura di sicurezza nel sedile del eggero, per evitare che cadesse. Inavvertitamente, raddrizzando il vaso, sfiorò i germogli profumati, e gli parve di sentire un battito. Dapprima pensò al proprio; in fondo era stata una giornata pesante, ma poi realizzò, guardandosi intorno, che il battito proveniva dal vaso. Possibile? Mah pensò, scuotendo la testa, la stanchezza a volte fa brutti scherzi.

Arrivato a casa, fu incerto se arrotolarsi i pantaloni intorno alle caviglie o levarseli del tutto: non avrebbe retto un altro attacco di Buck, questa volta si sarebbe ribellato.

Prima di infilare la chiave nella toppa, tese l’orecchio: di solito, quasi avesse

poteri paranormali, il botolo cominciava ad abbaiare non appena sentiva i suoi i per le scale. Quel pomeriggio, invece, niente. Sapeva che sua moglie era uscita, forse aveva portato Buck con sé? Ma scartò subito l’idea, sua moglie non si adoperava più di tanto per quel cane: Walter sospettava che lo volesse tenere solo per fargli dispetto.

La casa era immersa nella semi oscurità. Appena accese la luce, Walter si rese conto che Buck era seduto sul tappeto, in silenzio. Appena lo vide, uggiolò, e trotterellò verso di lui: appena fu ai suoi piedi, si inchinò. Walter strabuzzò gli occhi: che la moglie l’avesse portato a un corso di addestramento?

V.

La pacca fu così forte che la sentì risuonare in tutta la cassa toracica. Voltandosi, vide il ciccione che lo salutava sogghignando: intorno a lui, i suoi compari ridacchiavano. La combriccola del ciccione gli aveva dato il quotidiano benvenuto. Pietro rispose al saluto, cosa che li lasciò interdetti, come al solito. Da quando si era rifiutato di fare amicizia con loro, e con la loro prepotenza, Pietro era diventato il loro bersaglio preferito; ma il ragazzo era più furbo, e ogni volta li spiazzava. Era stato suo zio Walter a consigliargli di essere superiore e indifferente, a non lasciarsi influenzare. Era buffo lo zio Walter: in meno di un anno aveva rivoluzionato la sua vita: aveva scoperto, casualmente, di avere un potere sugli animali, e così aveva lasciato il lavoro che odiava e aveva aperto un centro di addestramento. Raddrizzandosi sul sedile, Pietro vide che erano quasi arrivati. Quel giorno era in programma una gita a un vivaio, che faceva parte del programma di biologia. La professoressa si alzò in piedi, e il brusio fu ridotto a silenzio. “Classe, siamo arrivati. Vi prego di comportarvi bene.”

Se da fuori sembrava un piccolo vivaio, una volta entrati sembrava enorme, infinito. Dopo due ore di visita, sembrava che avessero esplorato solo una piccola parte. Pietro si sedette su un masso, e prese un sorso dalla sua bottiglietta d’acqua. Di fronte a lui, il ciccione e la sua combriccola cercavano di infilare

fiori nella tunica del vivaista, che però, sebbene fosse anziano, sembrava molto più agile di loro. Come se gli avesse letto nel pensiero, il vecchietto si incamminò verso di lui. “Giovanotto, ho qualcosa che potrebbe interessarle” gli disse, sorridendo. Pietro alzò lo sguardo, confuso” Prego?” ma il vecchio si era già incamminato, e il ragazzo non poté fare altro che seguirlo.

Cominciava a spazientirsi. Era da dieci minuti che percorrevano il sentierino, e Pietro si era pentito di averlo seguito: e se gli altri lo lasciavano lì? Il caldo, poi,cominciava a farsi sentire. Il vecchio si fermò vicino a una cartello, dove c’era scritto: “PIOPPI”. Si voltò verso di lui e gli fece cenno di superarlo, e avvicinarsi ai grandi alberi nello spiazzo erboso. Il ragazzo obbedì, e fu attirato da un pioppo in particolare: gli parve anche di sentire delle voci, un ruggito di leone, dei nitriti di cavallo. Sentì un forte impulso di toccare il tronco. Fu un attimo: sentì i muscoli tendersi, rinforzarsi; si sentì coperto da una corazza invisibile, si sentì più forte.

Era una sua impressione, o le scale del pullman avevano tremato sotto il suo aggio? E quando si era seduto, aveva sentito il sedile cigolare? La gita era terminata e la classe si apprestava a tornare a scuola. Tutti ridevano, parlavano, tranne Pietro, perso nei suoi pensieri. Si sentiva strano, da quando aveva toccato il pioppo: strano in maniera positiva, ma comunque si sentiva diverso. Anche il vecchietto l’aveva notato, sostenendo che adesso aveva trovato la sua strada… ma vabbè, quel vecchietto era un po’ fuori di testa, secondo lui.

Stava tornando a casa, quando vide la banda del ciccione: su un marciapiede, avevano circondato un ragazzino del primo anno, che , pallido e spaventato, cercava una via di fuga. Le gambe di Pietro scattarono da sole: cominciò a correre, e in due minuti si frappose tra il ragazzino e la banda. “E tu che vuoi? Cerchi guai?” lo apostrofò uno della banda, stringendo la mano a pugno. Un altro era scattato verso Pietro, che lo intercettò e devio il colpo, mandandolo a terra. Un altro stava per scattare, ma il ciccione lo fermò e ordinò la ritirata. Pietro si guardava le mani, meravigliato. Come era potuto succedere? Da dove aveva preso quella forza? Il ragazzino, che era rimasto a bocca aperta, lo

guardava con ammirazione: £ Ehi tu! Come ti chiami? Sei il mio eroe!”

Epilogo.

Aveva visto abbastanza. Con un gesto, Giunone confuse la visione e l’acqua tornò limpida. Il vecchio intanto, la guardava mordendosi le labbra. La dea lo guardò a sua volta, e sorrise. : “Bravo, Fedro. Hai svolto il tuo lavoro egregiamente. Ma ora è tempo di tornare nel tuo secolo,e per me è tempo di tornare sull’Olimpo.” Il vecchio si inchinò, e Giunone scomparve, in un lampo d’oro. Fedro si tolse il cappello e i guanti. Era fiero di aver portato a termine la sua missione, e soprattutto di aver contribuito a rendere felici cinque persone, cambiando loro la vita. Prima di attraversare il portale, si annotò mentalmente di scrivere una favola su quanto accaduto. Gli venne in mente il titolo:” In deorum tutela”.

LA MADRE DEL FIGLIO A nonna G.

Appena il figlio varcò la soglia, la madre pianse: pianse di gioia, ma soprattutto di dolore: desiderava rivedere suo figlio, ma più di tutto, come ogni madre, desiderava che suo figlio vivesse più a lungo possibile. Si diresse verso di lui e lo abbracciò: “Mamma!” “Figlio, ti sono venuta incontro!”

Il Figlio era morto anziano, già nonno. La Madre era morta quando lui aveva 59 anni, ma non aveva smesso di vegliare su di lui ogni momento, Ora lo osserva mentre l’uomo veglia i suoi familiari, e piange per il loro dolore. Anche lei osserva, e prega per i suoi nipoti e per sua nuora.

Il Figlio continua ad osservare la sua famiglia, e la Madre con lui. Un giorno rimase colpita, osservando la sua bisnipote: si accorge che la ragazza, seppur così giovane, è quella che soffre più di tutti, perché il suo dolore è genuino e sincero: piange per il suo nonno, non per lei, per la mancanza. E la Madre sente una connessione con lei, ritrova tracce del suo dolore. E’ decisa a fare qualcosa.

Ecco, si è addormentata. Poverina, ha ancora le lacrime agli angoli degli occhi. Piange per il suo nonno. La Madre chiude gli occhi e si concentra: le appare una luce, e solo allora si decide a parlare: le dice chi è, e perché è entrata nei suoi sogni, ma non c’è bisogno: già la nipote le tende le braccia. “Tuo nonno è con me. Sta bene, veglio io su di lui. Smetti di piangere”. Un sorriso, e il sogno svanisce.

Un’altra madre, più giovane, è preoccupata per la figlia. Anche lei si è accorta che la figlia soffre molto, forse più di tutti. Una madre certe cose le capisce. Nel

cuore della notte, vuole vegliare sul suo sonno; si alza e piano piano,si avvicina alla sua stanza.

Si affaccia, e vede che dorme. Ha pianto, ma si è addormentata. Per la prima volta, ora sorride.

LE IDI

Non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi della statua, era come se fossero vivi.

Riusciva a cogliere un’espressione malinconica in quelle pupille marmoree, e poteva giurare che dalle labbra uscisse un mormorio,come se tentasse di dirle qualcosa. D’un tratto fu colta da una sensazione di sonnolenza, le palpebre cominciarono a farsi pesanti, e una piacevole sensazione di calore la avvolse. Prima di chiudere gli occhi, vide che la statua le sorrideva.

Formia,43 a.C

Stavano arrivando. Ormai era solo questione di tempo. L’uomo si calcò sulla testa il cappuccio del mantello,e spronò il cavallo che guidava il carretto. Non potè fare a meno di sospirare, ripensando agli avvenimenti che lo avevano portato fin lì, a scappare su un misero carretto, coperto di stracci per fingersi un mercante di bassa lega. Ripensò agli anni del suo successo; quando incantava il foro con le sue brillanti orazioni, riducendo al silenzio perfino Ortensio Ortalo… fece una smorfia: ormai erano avvenimenti ati, superati: tutti i sacrifici che aveva fatto per permettere alla Repubblica di prosperare, evitando sanguinose guerre civili, di cui solo Roma avrebbe fatto le spese… tutto inutile. Roma era ormai preda dei tre triumviri :Marco Antonio,Lepido e Ottaviano. Quest’ultimo , nipote di Cesare, aveva meritato il suo appoggio, mentre Marco Antonio, troppo impegnato a corteggiare la regina Cleopatra,non era adatto a governare Roma! Sbuffò, stringendo le briglie con forza : era proprio Marco Antonio che aveva chiesto ad Ottaviano la sua testa. E oramai era solo questione di tempo prima che i suoi sicari se la venissero a prendere. Alzò la testa e scorse tra i rami il profilo della sua villa, il suo ultimo rifugio. Spronò nuovamente il cavallo; ogni secondo

era prezioso. Arrivato davanti alla sua villa, scese dal carretto e accarezzò il baio che lo aveva accompagnato: “l’ultimo amico rimasto” pensò con amarezza. Entrò nella villa, trovandola deserta. Non che si aspettasse altro: gli schiavi erano fuggiti, temendo ritorsioni. Si diresse nella sua stanza, dove conservava i manoscritti; dopo aver chiuso la porta si avvicinò per accarezzarli , come se fossero figli. Ne sfilò uno,srotolò la pergamena e lesse le prime tre righe, poi ò ad un altro. Ma prima di morire c’era un’altra cosa da fare. Sedette sul triclinio e chiuse gli occhi, respirando profondamente:Invocò Mmemosine, la dea della memoria, per aiutarlo a ripercorrere la sua vita. La dea gli venne in aiuto, e nella sua mente si rivide da ragazzo,poi durante la sua prima orazione, vide la moglie con Tullia in braccio, Catilina che abbandonava il Foro, sconfitto. Poi venne la volta del ricordo più doloroso: Tullia morente, che gli sorrideva per l’ultima volta. Una lacrima scese e lui non fece niente per fermarla. Riaprendo gli occhi, vide che fuori dalla finestra gli uccelli si agitavano sui rami degli alberi;sapeva bene che gli uccelli erano ottime sentinelle: se si agitavano così voleva dire che qualcuno stava attraversando il bosco. I sicari di Antonio lo avevano raggiunto. Quasi a sottolineare il suo pensiero, sentì la porta principale aprirsi con un gran fragore; poi dei i frenetici in ogni direzione. Si ritrovò a sorridere suo malgrado, guardando si nuovo fuori dalla finestra. E i sicari lo circondarono.

Si riscosse all’improvviso. Si sentiva ancora assonnata, con quella sensazione di freddo che spesso accompagna ai risvegli; si strinse nelle braccia per scaldarsi e si accorse che sotto la statua c’era una targa che non aveva notato: MARCO TULLIO CICERONE ( 106 a.C. – 43 a.C ) : ORATORE. Aggrottò la fronte:era l’uomo del sogno! Possibile che la statua l’aveva colpita così tanto da suggestionarla? O forse – e si rimproverò subito per quel pensiero- quel museo era stregato? Nel dubbio era meglio tagliare la corda! Cercando di darsi un contegno, si avviò di fretta all’uscita, quasi rischiando di andare a sbattere contro un uomo che invece stava entrando in quel momento. Fu tentata di dirgli qualcosa,di avvertirlo, ma poi lasciò perdere, limitandosi a un sorriso di scusa. Non voleva certo essere presa per pazza.

Che diamine aveva quella donna? Prima lo stava per travolgere, poi aveva fatto quello strano sorriso. Che avesse qualcosa fuori posto? Si specchiò in un vetro:

no, era tutto a posto. Scrollò le spalle, deciso a cominciare il giro turistico. Dopo un’ora si trovò di fronte una saletta piccola e poco illuminata, sebbene piena di statue e busti; uno in particolare attirò la sua attenzione: piccolo, di marmo nero, raffigurava un anziano. Vicino a lui, un altro busto raffigurava un uomo più giovane, riccioluto e in carne, con un ‘espressione di superbia sul volto marmoreo. Se erano stati messi vicino, ci doveva essere una connessione tra loro, si chiese. Ma quale? D’improvviso sentì una sensazione di calore salire dai piedi e avvolgerlo come una coperta; le palpebre chiudersi lentamente. Prima di assopirsi, gli sembrò che l’uomo più giovane sogghignasse.

Roma , 65 d.C.

Nerone aveva parlato. Tutto il popolo, assiepato sotto la Domus Aurea, rumoreggiava costernato: chi l’avrebbe mai detto che tra i responsabili della congiura al Divino Imperatore ci fosse il vecchio Seneca, che fino a poco tempo prima era stato suo precettore? I pareri della folla si dividevano: c’era chi credeva alla sua innocenza, piangeva per lui: altri invece gesticolavano, paonazzi in volto, sostenendo che dei filosofi non c’era da fidarsi. Tutti però nel loro profondo provavano pietà per quel povero vecchio, condannato al suicidio coatto, e soprattutto provavano rabbia nei confronti di Nerone,che poteva disporre liberamente della vita degli altri,senza provare rispetto per il so vecchio maestro: ma nessuno, ovviamente, si arrischiava a protestare ad alta voce, osservando con occhi sgomenti le lance dei soldati.

Erano ore che Seneca rimuginava sulla sua condanna. Non provava rabbia o paura, ma senso di colpa: evidentemente non era stato un buon maestro per lui, nonostante avesse cercato di creare un imperatore clemente e giusto;spiegandogli infinite volte che la qualità indispensabile per un imperatore è la clemenza, che gli assicura il rispetto e l’affetto del popolo. Invano. Nerone lo odiava, come odiava tutti quelli che aveva intorno. Aveva ucciso la sua stessa madre, in fondo.L’idea della morte non lo spaventava: la sua filosofia , quella Stoica, gli aveva insegnato che la vita era un bene che bisognava essere pronti a restituire, se la sorte l’avesse richiesto. Negli anni era riuscito a raggiungere

l’Apatia, cioè l’equilibrio, l’assenza di turbamenti; perciò era pronto al suo destino. La porta si aprì e un suo discepolo, uno dei più giovani, gli si buttò piangendo ai piedi, balbettando qualcosa di incoerente. Il filosofo lo fece alzare e lo rimproverò dolcemente, ricordandogli i suoi insegnamenti: serena accettazione della mala sorte. Il ragazzo annuì asciugandosi le lacrime, e Seneca lo spedì con dolcezza a meditare, tranquillizzando gli altri discepoli. Lentamente tornò allo scrittoio , barcollando: era vecchio ormai, era giusto che lasciasse spazio ai discepoli. Lesse delle vecchie pergamene, meditò a lungo. Poi, quando le guardie fecero irruzione nella sala, si alzò e le seguì docilmente, sempre con il sorriso sulle labbra.

Si riscosse di soprassalto. Guardandosi intorno, realizzò di essere ancora al museo: che cosa gli era preso? Probabilmente la stanchezza gli aveva tirato un brutto scherzo,e si era lasciato suggestionare… si avvicinò a un espositore e prese una brochure; una didascalia accompagnava la foto dei due busti : LUCIO ANNEO SENECA ( 4 a.C – 65 d.C ) , FILOSOFO ; LUCIO DOMIZIO ENOBARBO ( NERONE ) , IMPERATORE DI ROMA dal 54 d.C al 68 d.C Ma tu guarda, il vecchio filosofo del sogno! Scuotendo la testa, si convinse che aveva bisogno di una bella dormita, questa volta in un letto vero. Fuori dal museo non potè trattenersi dal ridere: che il museo fosse stregato?

LE APPARENZE

Che ridere! Aveva le lacrime agli occhi per le risate , la pancia le faceva male. Era seduta a un tavolino del bar, e osservava quelle rimbambite civettare con Ettore Broghi, vedovo e preda ambita delle over 60 del paese, Il Broghi da parte sua non si tirava indietro e anzi faceva il piacione con tutte le signore, senza però arrivare mai a qualcosa di concreto; ma quellesentenziava Luisa- erano troppo sceme per capirlo. Lei, Luisa, sulla sessantina, divorziata e con un figlio trentenne, erda i tutt’altra pasta: i saluti affabili , le cortesie e soprattutto i complimenti del Broghi le arano del tutto indifferenti; disprezzava quell’omone ma era costretta a salutarlo con cortesia quando lo incontrava, perché era un amico di Gianni, il suo ex marito, e quindi ci teneva a mantenere un’apparenza di cortesia; se solo avesse potuto gli avrebbe spaccato un vaso in testa, ma tant’è. Riportando l’attenzione sullo “spettacolo”, come amava definirlo, si accorse che una donna in particolare era dedita al civetta mento: Rossana, sua amica e dirimpettaia, sbatteva di continuo le ciglia, ammiccando al suo interlocutore. Scosse la testa: possibile che una donna arrivi a rendersi così ridicola per un uomo? Finì di bere il suo caffè e si alzò, incamminandosi verso casa.

Quella sera aveva invitato il figlio a cena. Edoardo lavorava nell’azienda di trasporti di Gianni, con cui viaggiava molto spesso. Luisa non vedeva l’ora di diventare nonna; per questo ogni volta che Edoardo portava una fidanzata nuova, sperava ardentemente che fosse quella giusta. Mentre apparecchiava il tavolo, si rese conto che il sale era finito. Cercò in tutte le credenze, ma niente. Guardò l’orologio: le 19:30: forse se si sbrigava avrebbe trovato ancora un negozio aperto! Prese la borsa e spalancò la porta; con sua grande sorpresa vide il Broghi con la mano alzata, come se stesse per bussare. Si guardarono per un momento, poi l’uomo si decise a parlare : “Mi scusi, stava uscendo?” “A dire la verità, si, ho finito il sale. Aveva bisogno di qualcosa?” rispose lei di rimando, chiudendo la porta dietro di sé.” Le dispiace se l’accompagno?” Luisa pensò di non aver sentito bene: che cos’era tutta quella insistenza? E che voleva a quell’ora? Ma non riuscì a trovare una scusa per rifiutare, per cui acconsentì di malavoglia.

Grazie a Dio il piccolo alimentari alla fine della strada era ancora aperto. L’uomo l’aveva scortata in silenzio per tutto il tragitto, con le mani nelle tasche, mentre Luisa lo guardava di sottecchi, aspettando che si decidesse a parlare, cosa che accadde durante il ritorno : “Lei è amica di Rossana, vero?” le chiese. Oddio, e che c’entrava Rossana adesso? Luisa rispose affermativamente. Il Broghi però si era rinchiuso nel suo mutismo, e lei cominciava a spazientirsi: Edoardo sarebbe arrivato a momenti e lei doveva ancora finire di preparare; così penso bene di accorciare i tempi :” Signor Broghi, è quasi ora di cena e sta per arrivare mio figlio: vuole essere così gentile da dirmi cosa vuole da me? “L’uomo sorrise della sua irruenza:” Ha ragione, mi scusi. Volevo invitarla a prendere un tè domani , al bar della piazza. Voglio fare un annuncio importante, e vorrei che fosse presente anche lei.” Per carità! Seduta in mezzo al pollaio! “La ringrazio dell’invito, ma domani ho delle commissioni da fare, e non posso proprio!” A quel punto successe una cosa molto strana: il Broghi le prese una mano e a Luisa sembrò che avesse gli occhi lucidi :” La prego, mi farebbe un grande favore a venire! E’ un annuncio molo importante! La prego!” Rimasta annichilita, Luisa balbettò un “si certo, senz’altro” e si infilò nel portone. Che giornata!

Edoardo aveva portato la sua fidanzata, Giulia: una ragazza gentile e simpatica, che Luisa apprezzava molto e sperava di vederla come futura nuora. Ma quella sera i suoi desideri erano lontani: la sua mente tornava alla discussione con il Broghi: che cosa poteva voler annunciare? E che c’entrava lei? “Mamma, stai bene? Hai di nuovo litigato con papà?” le chiese Edoardo, quando per l’ennesima volta aveva perso il filo del discorso. Si riscosse con un sorriso: “No caro, tuo padre non c’entra nulla. Sono solo un po’ stanca.” I rapporti tra lei e Gianni erano ancora un po’ tesi, nonostante avessero divorziato da parecchio tempo: Edoardo aveva 15 anni. Luisa aveva scoperto una tresca del marito con la loro vicina, la cui casa ora era abitata da Rossana: nulla di serio, solo qualche biglietto affettuoso e qualche macchia di rossetto sul colletto della camicia, ma per Luisa era stato sufficiente a sbatterlo fuori di casa e pretendere il trasloco della fedifraga; la quale se ne era andata alla chetichella una volta capito che Gianni era nonostante tutto innamorato della moglie. E ancora lo era innamorato: Specialmente i primi periodi, ma ancora adesso, non c’era giorno che non asse a “fare un saluto”; in più aveva preteso che un giorno a settimana era dedicato alla cena di famiglia; abitudine che era ancora valida. Gianni la

chiamava spessissimo , corteggiandola come un tempo: lei un po’ cedeva un po’ si arrabbiava, e finivano per litigare. Poi però la mattina dopo uno dei due chiamava l’altro e si ricominciava da capo.” Sembrano due adolescenti” aveva confidato Edoardo a Giulia, “ma hanno trovato il loro equilibrio.” Luisa decise di abbandonare per il momento gli interrogativi sul Broghi per concentrarsi sui ragazzi : “Allora, quando vi sposate?”

Dopo aver sistemato la cucina, Luisa si sdraiò sul divano per riflettere comodamente. Dunque: il Broghi voleva fare un annuncio particolare, si capiva da come si era commosso; che annuncio poteva essere? Diventava nonno? Ma dopo un po’ scartò questa ipotesi: il figlio del Broghi, Roberto, non era sposato, e a quanto sapeva neanche fidanzato. E poi lei che c’entrava? Non era un amica di famiglia. No ,doveva essere qualcosa che riguardava lui in persona. Ma cosa? D’un tratto fu fulminata da un’ idea e si drizzò a sedere: SI SPOSA! Santo Cielo, vuoi vedere che si è deciso a sposarsi con una delle galline? E con quale, poi? Seconda illuminazione: ROSSANA! Tanto è vero che l’aveva nominata! Ma certo! Scattò verso il telefono e compose il numero della vicina. “Pronto?” Rossana aveva la voce impastata dal sonno. “Cara, congratulazioni!” “Per cosa?” Evidentemente stava dormendo e non connetteva bene il cervello , pensò Luisa.” Cara, lo sai benissimo! Domani sarà una giornata importante!” Oddio, vuoi vedere che ancora non lo sapeva? “Domani vado da mia sorella, ma ci vado tutti i mesi. Perché dici che è importante?” le chiese Rossana, ormai sveglia. Luisa aveva voglia di invocare L’aita Aita come la cagnolina del Parini: evidentemente Broghi non voleva sposare Rossana, visto che non solo l’amica sarebbe andata fuori, ma neanche era stata invitata al tè. Balbettò qualcosa di incoerente e mise giù il ricevitore. Che figura! E rimaneva aperta la questione: Chi voleva sposare il Broghi? Rossana era la sua più assidua corteggiatrice, se non lei, chi altri? Fece un rapido elenco delle gallinelle mentre si preparava per dormire; non le sembrava possibile che l’uomo volesse sposare una di loro… ando davanti allo specchio, si fermò di colpo. Stette a osservarsi per un minuto buono: NON PUO’ ESSERE, Si disse subito. NON ERA POSSIBILE. Eppure tutto coincideva: l’invito improvviso, gli occhi lucidi, il riferimento alla sua amicizia con Rossana… E poi , quando le aveva preso la mano in quel modo! Camminò avanti e indietro in preda all’angoscia: che fare? Decise di dormirci su. Chiuse le palpebre con un unico pensiero: Il Broghi la voleva sposare!

La prima cosa che fece la mattina dopo fu quella di chiamare Gianni: considerando che i due erano molto amici, come era possibile che il Broghi corteggiasse la ( ex ) moglie di un amico? Era pur vero che tra lei e Gianni non c’era nulla di ufficiale: Era un loro gioco, un loro volersi bene che però era solo tra loro due, nessuno ne era a conoscenza! Quindi poteva essere benissimo che l’uomo aveva nascosto tutto a Gianni, in fondo, per quanto ne sapeva lui, con Luisa erano divorziati! L’uomo le confermò le sue paure: non sentiva Ettore da tempo… ma come mai quella domanda? Eh, come spiegarsi ora? Le venne un piano in mente e decise di sfruttarlo: Invitò Gianni quello stesso pomeriggio per un tè in piazza; così l’uomo li avrebbe visti insieme e avrebbe capito che non c’era trippa per gatti! Tuttavia non si arrischiò a uscire di casa prima del pomeriggio: Non voleva rischiare di incontrare il Broghi ,né nessun altro! Si, meglio così.

Nonostante la “copertura” , si sentiva abbastanza nervosa: come si rifiuta un uomo in pubblico? Cosa dice il Galateo in proposito? Pensò di fare una ricerca su Internet, poi si disse che avrebbe improvvisato lì per lì. Il tragitto da casa alla piazza le sembrò lunghissimo, anche se erano solo 10 minuti: Era abbarbicata nervosamente al braccio di Gianni , che la guardava sorridendo.” Probabilmente si starà chiedendo come mai sono così affettuosa” si disse Luisa . Tutta colpa del Broghi e del suo matrimonio! Giunti in piazza, vide un tavolo discostato dagli altri, con intorno parecchia gente: in primis il Broghi, poi una ragazza che non aveva mai visto, Roberto, tre gallinelle e altri amici dell’uomo. Fu tentata di fare dietro-front , ma Gianni camminava spedito verso il tavolo e lei si arrese a stargli dietro. Quando fu più vicina, vide che l’uomo portava un fiore all’occhiello. “E’ la prova definitiva!” si disse , desiderando di svenire; ma sforzandosi di sorridere. Il Broghi fu contento di vedere anche Gianni, e li fece sedere accanto a lui. Certo, non gli pare vero soffiare la donna al suo amico! Che fare? Doveva assolutamente intervenire! Approfittando della vicinanza con le tre gallinelle pettegole, si avvicinò a Gianni e gli stampò un bacio. Come aveva previsto, le tre si misero subito intorno a fare “Ohhhh” e chiedere i particolari del loro ritorno di fiamma. Grazie a Dio fu il momento in cui l’ospite fece sedere tutti, salvandola così da imbarazzanti spiegazioni. Per essere più sicura prese Gianni per mano, che le sorrise di nuovo. “Cari amici” intonò il Broghi “vi ringrazio di essere presenti a un giorno per me così lieto dopo anni di lutto” e qui la voce gli si spezzò, ma poi riprese: “Vi annuncio il mio matrimonio!” Se avesse annunciato la fine del mondo, probabilmente le tre galline sarebbero state meno disperate:

Paonazze, facevano un grande sforzo per applaudire: guardandosi di sottecchi, sospettavano l’una dell’altra. “Vi presento la mia futura moglie…” proseguì l’uomo; Luisa decise di assumere un’aria disinvolta, bevendo il tè,in attesa del rifiuto. “… Angela!” CHE? Per poco il tè non gli andò di traverso, facendola tossire, mentre il Broghi ,ignaro di tutto, stringeva affettuosamente Angela, alias la ragazza sconosciuta.” Ettore non si smentisce mai” esclamò Gianni ridendo “ma tu lo sapevi che si voleva sposare?” Luisa negò con il capo, rossa in volto.

Al momento di congedarsi,il Broghi la prese da parte: “Mi scusi se l’ho costretta a venire qui, ma volevo che vedesse con i suoi occhi che sono felice” Fece una pausa “So che Rossana mi è molto affezionata, e le chiedo la cortesia di dirle che mi dispiace… le voglio bene, ma amo un’altra donna. Potrebbe starle vicino?” Fu tentata di mandarlo a quel paese, ma sorrise amabilmente :” Ma certo. E le auguro tanta felicità!” L’uomo le sorrise e chiamò Gianni “allora, direi che è il momento di festeggiare un secondo matrimonio!” prese tre bicchieri di champagne “A Gianni e Luisa, di nuovo sposi!” esclamò l’uomo, alzando il calice. Luisa fece per dire qualcosa, ma guardò l’ex marito e vide che era raggiante. E poi, che poteva dire? Così sorrise e fece per brindare, quando le arrivò un messaggio sul telefonino, vide che era di Edoardo: SO CHE SEI CON PAPA’! DIVERTITI… NONNA! Oddio, ma allora! Si commosse: sarebbe stata nonna… e moglie!

IL SOSIA

A un certo punto zia cominciò a fare facce strane. Prima era diventata paonazza, poi era rimasta a bocca aperta come un pesce rosso; per poi fare stranissime smorfie. Le chiesi con lo sguardo che cosa non andasse, e lei rispose con un gesto che significava: “te lo spiego dopo”. Per fortuna la mia amica Sara non si era accorta di niente: dava le spalle a zia Pam ed era troppo impegnata a parlare del suo interesse amoroso: Giacomo, un nostro compagno di facoltà, che però, almeno per ora, era indifferente alla sua esistenza. Ma la mia amica non era pronta ad arrendersi ed aveva elaborato un nuovo e strampalato piano, il cui unico risultato sarebbe stato farci fare una figuraccia? Ma io che c’entravo? Ogni volta riusciva a convincermi. Eravamo sedute a un tavolino del bar del centro commerciale vicino alla nostra facoltà: Zia Pam aveva insistito per accompagnarmi a fare shopping e io avevo invitato Sara. Dopo aver chiacchierato di quanto fosse bello Giacomo, la mia amica ci salutò, dandomi appuntamento per l’indomani:” E ricordati il piano!” mi disse, strizzandomi l’occhio. Sospirai, e riportai l’attenzione su mia zia, la quale aveva smesso di fare smorfie, ma prima che potessi chiederle spiegazioni, mi strattonò il braccio costringendomi a voltarmi i una precisa direzione: mi disse di osservare un ragazzo che in quel momento attraversava la fermata degli autobus. “Zia, ma sei matta?potrebbe essere tuo nipote, ha la mia età!” l’avevo riconosciuto: frequentava la mia stessa facoltà. “Ma non essere sciocchina, Melly! Mi ha sconvolto solo perché è identico a Pietro, guarda, è il suo sosia!” Oh no. Di nuovo quella storia. Pietro era stato il fidanzato di mia zia fino a due anni fa: per quattro anni avevano filato amore e d’accordo; fino al giorno in cui il caro fidanza tosi era defilato, sostenendo di non essere degno di una donna come zia Pam. Il che era anche vero, con il senno di poi,ma per la mia famiglia era una banale scusa per sottrarsi al matrimonio. Io concordavo con loro, ma mi guardavo bene dal dirlo a mia zia!

Pamela detta Pam mi guardava con aria delusa e ferita. Io le restituivo quello che speravo fosse uno sguardo glaciale e indifferente, decisa a non farmi incastrare; ma quella attricetta di mia zia era riuscita a farsi spuntare una lacrimuccia, ma io rimanevo indifferente nelle mie posizioni.Eravamo così da circa un’ora, dopo un

aspro dialogo:

Zia Pam: ma che ti costa, nipotuccia mia?ti chiedo solo di fare amicizia con un tuo compagno di studi!”

Io: “No zia, tu mi stai chiedendo di circuirlo e portarlo qui!”

A quel punto zia assunse un’aria contrita: “Come puoi pensare che tua zia ti costringa a fare una cosa del genere?” e si asciugò una ( finta ) lacrima. Alzai gli occhi al cielo: Pam amava fare la vittima, e le riusciva benissimo! “, è quello che stai facendo!” risposi.

Era così: Zia Pam voleva che “fi amicizia” con il Sosia di Pietro, così da portarlo a casa , presentarglielo, e così la zietta poteva sottoporlo a un terzo grado, su eventuali conoscenze con il fedifrago. Alla fine, dopo che l’attrice giocò la carta drammatica buttandosi sul divano e piagnucolando che la sua unica nipote non capiva le sue esigenze, e che sarei diventata da lì a poco sua erede, perché lei stava morendo; cedetti e le promisi che avrei tentato di fare amicizia. A quel punto la moribonda era resuscitata e dopo avermi abbracciato era andata a fare jogging. Ah, le zie!

Chissà perché non mi sorpresi quando Sara, l’indomani, approvò il piano di mia zia e si offrì di aiutarmi, in cambio, ovviamente, del mio aiuto al suo piano di conquistare Giacomo. “Quale sarebbe?” chiesi, prendendo posto nell’aula. Ormai ero pronta a tutto. La mia amica tirò fuori il blocco per appunti e mi illustrò la sua tattica: in pratica ci dovevamo sedere dietro a lui; lei avrebbe fatto cadere la penna e a quel punto, dopo averlo ringraziato per il recupero, avrebbero cominciato a parlare, e lei l’avrebbe ammaliato con il suo savoir faire. Mi lasciai sfuggire un ironico” Wow”, ma Sara era troppo emozionata per darmi retta. Da parte mia non osavo lamentarmi: questa volta la mia parte consisteva

solamente nel fare finta di nulla, e soprattutto non raccogliere la penna per alcun motivo. “Scusami, Sara, ma se non te la raccoglie che fai?” “Oh. Beh., me ne presterai una tu.” Tipico!

Il destino volle che sia Giacomo che il sosia entrassero insieme nell’aula,e che insieme si sedettero nella fila davanti a noi. Sara mi scoccò uno sguardo che voleva dire : “cominciamo il piano!” ,io annuì, pronta, e speranzosa di evitare una brutta figura. Il” plic!” della penna risuonò nell’aula semivuota, che però si stava riempiendo. Con mia grande sorpresa, Giacomo si abbassò per raccoglierla, poi si voltò e la porse a Sara. Stava funzionando! Ma la mia amica non aveva messo in conto la sua emotività: divenne paonazza, e riuscì solo a biascicare un “Grazie!” . Mi sforzai di non ridere, ma Sara non ci avrebbe comunque fatto caso: era sulla sua nuvoletta rosa, incurante di tutti.

A volte anche i piani più ingegnosi si possono rivoltare contro: era ata circa un’ora, quando mi sentii chiamare: “Scusami, potresti prendere la penna?” Alzai lo sguardo e vidi il Sosia. A vederlo così da vicino mi resi conto che zia Pam aveva ragione: la somiglianza era forte. Raccolsi la penna e gliela porse; mi ringraziò e gli sorrisi di rimando. Stavo per riprendere a scrivere quando Sara mi tirò un calcio sotto al tavolo. Aveva ragione.” Ehm, avresti una matita?” Che scusa idiota! Mi sarei presa a schiaffi da sola! Ma il ragazzo non fece una piega, e me la prestò. Sorrisi ancora, sentendomi le guance in fiamme.

“Dai, non è andata male!” esclamò Sara, entusiasta per il ( breve) dialogo con Giacomo. Io mi limitai a grugnire , alzando una mano per attirare l’attenzione del cameriere. Inforcai gli occhiali da sole, sperando di celare la mia identità. Mi accorsi che zia Pam mi aveva mandato un messaggio: “COME VA? BACI, ZIA. Fantastico, adesso dovevo anche fare rapporto? Le risposi che le avrei riferito tutto a cena.” Guarda un po’ chi c’è “mormorò Sara, ammiccando. Vidi il Sosia che veniva verso di noi: Accidenti, mi ero dimenticata di restituirgli la matita! Sara gli fece un cenno di saluto” Sei pazza?” l’apostrofai,invitandola a smettere. Lei rise. Mi scusai con Il Sosia, porgendogli la matita. Sarà lo invitò a unirsi a noi , ignorando le mie occhiatacce; il ragazzo però rifiutò l’invito : aveva una

lezione e era già in ritardo; tuttavia rilanciò con un incontro in facoltà l’indomani. Appena si fu allontanato, Sara lanciò un trillo eccitato e sentenziò che secondo lei la matita era una scusa. Borbottai qualcosa di incoerente per cambiare discorso.

4 mesi dopo, posso dire che la mia migliore amica aveva ragione: io, Piero ( quando zia Pam ha scoperto l’assonanza dei nomi , per poco non le è venuto un colpo! ) , Giacomo e Sara siamo un gruppo affiatato: Per ironia della sorte , scoprimmo che Piero e Giacomo erano ottimi amici; così la mia amica rinunciò ai piani strampalati e potè parlarci normalmente, riuscendo a fidanzarsi con lui, che bello! Anche tra me e Piero c’è una simpatia, ma qualcosa mi frena : ancora non l’ho invitato a casa mia, ho paura che zia Pam se ne esca fuori con la storia del sosia, che figura ci farei? Ho indagato con discrezione, e si, anche un po’ di superficialità,e tra i suoi parenti più stretti non sembra esserci un parente fedifrago. Ma mia zia non è tipo da arrendersi: vuole conoscerlo, additando la scusa che una zia ha diritto a conoscere il fidanzato della nipote. Così una sera mi sono decisa a invitarlo: anche mia madre, ormai abituata alle pazzie della sorella minore, ha insistito per conoscerlo. Piero ha accettato volentieri, chiedendomi se però poteva portare un amico di famiglia, rientrato da poco da un lungo viaggio. Accettai, anche perché secondo me era ora che zia Pam si rife una vita sentimentale! Ma il mio ragazzo spense i miei entusiasmi: l’amico in questione era ancora profondamente innamorato della donna che aveva lasciato. Pregai che almeno fosse simpatico, e chissà che col tempo…

La cena andò benissimo: per prudenza sia io che mia madre mettemmo Piero lontano da Pam, da imprevedibile quale era, era meglio non correre rischi! L’amico invece ci avrebbe raggiunti per il dolce. Un paio di volte dovetti sviare il discorso che si stava pericolosamente avvicinando ai rapporti sentimentali di zia, ma filò tutto liscio. Quando sentimmo il camlo, Pam si alzò per aprire. Le urla ci fecero sussultare, e fu tutto un urlo: “Pam, che succede?” “Zia, stai bene?!” Zia Pam , rossa in volto, fece il suo ingresso seguita da… Pietro! Rimanemmo tutti a bocca aperta, io mi strofinai gli occhi, non potevo crederci! In breve fu tutto chiarito: Pietro non era affatto un fedifrago, ma solo un innamorato impaurito. E come dice Svevo, la vita è originale!

L’IBIS

- Avvocato, è lei? - Si. Problemi? - No,ma.. possiamo are da lei nel pomeriggio? - Venga solo lei. A dopo.

Dopo aver riattaccato,Rosa si sedette in poltrona e rimase a fissare il muro per un tempo che le parve indeterminato. Che voleva dire l’avvocato? Perché doveva andare solo lei? “chiamami Gigi” la rimproverava sempre lui, ma era più forte di lei, non ci riusciva. Non avendo studiato, aveva uno spontaneo rispetto per chi invece aveva una cultura: anche se l’avvocato era un amico di famiglia da molti anni, si sentiva sempre in soggezione. Prendendo una rivista per cercare di distrarsi, la donna pensò con un certo sollievo all’assenza di suo marito, Federico: era fuori per lavoro, e non sarebbe tornato prima di una settimana; lo amava, ma in quella situazione doveva cavarsela da sola, o almeno doveva provarci. E poi lui l’avrebbe sicuramente dissuasa dal procedere, sapendo quanto Rosa fosse buona e un po’ ingenua,tanto da averla soprannominata” Ibis” come il trampoliere ritenuto sacro dagli antichi Egizi : a sua precisa domanda, il marito le aveva spiegato che l’Ibis era venerato per la sua abitudine di mangiare i serpenti e soprattutto di bere solo acqua pura. “Un po’ come te” le aveva detto “che ti rifiuti di vedere il male nel prossimo”. Quante cose sapeva suo marito! E come era fiera della sua cultura! Ma anche se Federico aveva ragione, in quella vicenda era dovuta entrarci per forza.

Tutto era cominciato due giorni prima, con una telefonata di sua sorella Rita, che la pregava di andarla a trovare con la massima urgenza. Spaventata, Rosa si era precipitata , e aveva trovato Rita in lacrime. Tra i singhiozzi, la sorella le aveva confidato i suoi sospetti su un presunto tradimento del marito, sostenendo di

averne ormai quasi la certezza, e di aiutarla a indagare. Rosa riuscì a calmarla, sostenendo di non credere assolutamente a un ipotetico tradimento di Daniele, ritenendolo incapace di commettere un’azione simile, ma Rita aveva sorriso amaramente: “Beata te, Ibis, ti invidio la tua purezza. Ma questa volta anche tu dovrai renderti conto della situazione!”. Ancora quel soprannome! Ma che ci poteva fare lei, se vedeva solo il bene delle persone? Daniele era suo cognato da ormai 35 anni, lo stimava e gli voleva bene. Era sicura Rita di quello che diceva? Non è che la sua gelosia le stava giocando un brutto scherzo? Si, era sicura. Non aveva le prove in mano, ma le avrebbe avute presto. A quel punto Rosa aveva preteso una spiegazione esauriente: a quanto pare Daniele riceveva strane telefonate da un po’; e quando la moglie chiedeva spiegazioni, era evasivo e distratto, in più, una volta che Rita aveva risposto al telefono, dall’altra parte avevano buttato giù.” Un classico. Mi tradisce, me lo sento! “E non era tutto: sempre più spesso si era trattenuto in ufficio più del dovuto: “E sai che mi ha detto?” continuò, la voce resa stridula dal pianto “che un collega gli aveva chiesto di aiutarlo con delle pratiche! Ma chi pensa di prendere in giro?” e aveva ripreso a singhiozzare. Nonostante le sue rimostranze, Rita la convinse a chiamare Gigi Palma, per chiedergli di avviare un’indagine. Rosa storse la bocca :“ Federico non ne sarà contento” disse, porgendo l’ennesimo fazzoletto alla sorella, la quale aveva replicato che, per il momento, era meglio che della faccenda ne fossero al corrente solo loro due: “E poi Federico parte oggi pomeriggio,no?” aveva detto “Gli racconterai tutto a storia finita, quando chiederò il divorzio” e aveva riso amaramente. Rosa alzò gli occhi al cielo, sentendosi lo stomaco chiudersi. Certe telefonate la mettevano in soggezione.

Tuttavia Gigi era stato molto gentile e comprensivo. Dopo che Rosa gli ebbe spiegato la storia per sommi capi,le aveva dato appuntamento per la mattina dopo. Così, le due sorelle si erano messe in macchina ( “Guida tu, io sono troppo nervosa” l’aveva pregata Rita) e nel giro di un’ora erano arrivate allo studio dell’avvocato.” Che sciccheria” aveva commentato Rita varcando la soglia dell’ampio portone, notando il soffitto affrescato; Rosa si era vergognata,si vergognava sempre quando la sorella faceva quei commenti: la loro famiglia era semplice e modesta, ma tutti erano soddisfatti, quindi perché invidiare chi era più ricco?.La segretaria le fece accomodare in un salottino con delle poltroncine, pregandole di attendere qualche minuto; mentre Rita leggeva una rivista trovata sul tavolino, Rosa chiamò Federico: il marito stava bene, un po’ stanco ma stava bene. E lei come stava? Già, come stava lei? Gli raccontò che era in giro con

Rita, era la verità dopotutto; e che anche lei stava bene. Una volta terminata la telefonata, la sorella la guardò e le strinse una mano: “Scusami se ti ho trascinato in questa storia. E mi dispiace se devi mentire a Federico, ma tanto è solo per poco.” Rosa le sorrise : “Stai tranquilla, mi fa piacere starti vicino. E poi, è giusto che qualche volta mi sforzi a temprare il mio carattere!”In quel momento, la segretaria disse che l’avvocato era pronto a riceverle.

Gigi Palma ascoltava le due sorelle attentamente, con le mani giunte. La più grande era logicamente più coinvolta: mentre parlava, un rossore le copriva il viso, e un paio di volte la voce le si fece stridula, come se stesse per piangere. L’altra, la moglie di Federico Ossi,la guardava preoccupata, ma anche, come si rese conto osservandola più attentamente, con un’ombra di scetticismo. “Quindi, avvocato, le chiedo di avviare un’indagine su mio marito.” Dopo aver pronunciato queste parole, Rita si adagiò sullo schienale, come se parlare l’avesse spossata. L’avvocato si raddrizzò sulla sedia e sbatté le palpebre, cercando le parole giuste: “Signora, quello che lei mi porta come “prove” , non è molto.” “Hai visto? Te lo dice anche l’avvocato!” intervenne Rosa, sperando che la sorella si convincesse a lasciar perdere; poi si rese conto di aver interrotto il discorso dell’uomo e alzò una mano a chiedere scusa. Che figura! Ma Palma non si era offeso, anzi le sorrise :” E’ sicura di voler comunque procedere?” chiese, tornando a rivolgersi a Rita. La donna rimase in silenzio, guardando la sorella, poi si rivolse all’avvocato : “Si, voglio procedere. Cosa devo fare?” l’uomo annuì; aprì un cassetto e prese un biglietto da visita, che porse alla donna: “Qui ci sono i contatti dell’investigatore privato che collabora con il nostro studio” E sottolineò con la penna un numero di telefono. “Lo contatterò oggi stesso, ma sarebbe meglio che lo chiamasse anche lei.” Rosa intanto era sprofondata nella poltrona: un investigatore privato, come nei film! Ma che stava combinando la sorella? E se Daniele l’avesse scoperta, cosa sarebbe successo? Un altro pensiero, ben peggiore, le si affacciò alla mente: E se davvero c’era qualcosa da scoprire? Scacciò subito quell’idea: Ma no, cosa andava a pensare! Quando l’avvocato e Rita si alzarono in piedi, la donna si riscosse dai suoi pensieri e si alzò anche lei. Sulla porta, Palma le chiese notizie di Federico, pregando la moglie di mandargli i suoi più cari saluti. “Ecco” pensò Rosa a malincuore, uscendo dal portone : “pure i saluti a Federico!”

“Guarda che esiste il segreto istruttorio” le aveva detto Rita, mentre tornavano a casa. Si era accorta che la sorella guidava con la fronte aggrottata, e aveva fatto due più due: “Palma non può raccontare niente a Federico, né tantomeno a Daniele!”. A Rosa scappò da ridere: la sorella amava riempirsi la bocca di paroloni, di cui spesso non conosceva il significato; anche se questa volta aveva ragione: l’avvocato era tenuto al segreto professionale. “Rimani a pranzo da me?” le aveva poi chiesto, ma Rosa aveva rifiutato, sospettando che la sorella le avrebbe sicuramente chiesto di telefonare anche all’investigatore. Così l’aveva lasciata sotto casa e aveva proseguito per i fatti suoi.

Rita era rimasta a contemplare il biglietto da visita, incerta sul da farsi. Daniele era in ufficio, quindi poteva chiamare liberamente, ma qualcosa la tratteneva. Se almeno la sorella fosse stata lì …ma Rosa aveva già fatto tanto, e ora toccava a lei : ormai era in ballo, e bisognava ballare. Appena la donna delle pulizie si chiuse la porta alle spalle, Rita prese il cordless e si sdraiò sul letto, componendo il numero: sperava di rilassarsi, ma appena una voce disse: “Ufficio del dottor Saro Grigi , come posso aiutarla?” scattò a sedere e borbottò che aveva urgente bisogno di parlare con il dottore. “Lei è la signora Nerei?” chiese di rimando la voce femminile “ancora per poco” pensò Rita, ma rispose affermativamente. La segretaria le ò allora l’investigatore, che le disse di essere stato messo al corrente della faccenda dall’avvocato Palma, ma che aveva bisogno di alcuni dettagli per iniziare l’indagine; rimasero quindi d’accordo di incontrarsi quello stesso pomeriggio. Terminata la telefonata, Rita si chiese per la seconda volta se stesse facendo la cosa giusta. E se davvero Daniele le era fedele? E se si stava sbagliando? Scosse la testa. No, era sicura delle sue sensazioni. Compose un altro numero, con una sola sicurezza: quel pomeriggio non sarebbe stata sola.

Uffa, però! Ma che si era messa in testa la sorella quel giorno? Certo, la situazione non era facile, ma Rosa aveva una vita privata, degli impegni! Aveva accettato di accompagnarla dall’investigatore, ma se ne stava già pentendo. Tornata a casa, aveva trovato una cartolina della figlia Lucia da New York : era in viaggio di nozze, e sarebbe tornata una settimana dopo Federico.Dopo averla letta avidamente, aveva programmato di are il pomeriggio a tentare di chiamarla, ma Rita aveva scombinato tutto! Aveva però sbollito la rabbia in fretta, pensando che mentre lei aveva un ottimo rapporto con la figlia, a cui

confidava molte cose, la sorella era praticamente sola:oltre alla situazione con Daniele, c’era da mettere in conto che il figlio Eugenio, suo nipote, lavorava da anni in Svizzera, e li andava a trovare raramente. Sapeva che la sorella ne soffriva, anche se orgogliosa com’era non ne faceva mai parola. Quasi commossa, Rosa appese la cartolina sul frigorifero e chiamò il marito: lei si che era fortunata, pensò.

Si aspettava di trovarsi davanti un omone in impermeabile e occhiali scuri, e rimase delusa: Saro Grigi era un ometto di un metro e 60, quasi calvo e con un paio di occhiali spessi. Indossava un completo che voleva essere elegante, ma da vicino si vedeva che non era di marca, e anche un po’ raffazzonato. L’ufficio poi era tutto il contrario di quello di Palma: due stanzoni attigui, e l’ufficio dell’investigatore era corredato da una semplice scrivania, un computer e uno scaffale pieno zeppo di cartelle. Rita lo scrutava sospettosa, e prima di sedersi sulla sedia che l’uomo le indicava guardò la sorella: Rosa , per niente turbata, si era già seduta; così si sedette anche lei. L’ometto le guardò entrambe e sorrise: “Chi è qui per..” e piegò le dita nel segno delle corna. Rita sobbalzò :“Ma come si permette?” urlò. Perfino Rosa aveva cambiato colore, ma con un gesto fece tornare seduta la sorella: se Palma le aveva mandate lì , voleva dire che quell’ometto era bravo nel suo lavoro.” Rita, calmati. Il signore ha fatto una battuta infelice, può capitare. Signor Grigi, mia sorella è molto scossa, e la prego di venire al sodo.” “Ma come fa a mantenere la calma? Come fa?” si chiese Rita cercando a sua volta di calmarsi. Perfino l’investigatore, che all’urlo di Rita si era tirato indietro, spaventato, alle parole di Rosa aveva ripreso colore.:” Mi scusi. Come le accennavo per telefono, ho bisogno di alcuni dettagli per iniziare ad indagare “aprì un blocco e si preparò a scrivere. Dopo che Rita ebbe dettato i dati di Daniele, inclusi gli indirizzi del bar e del barbiere dove il marito era solito recarsi, e aver consegnato una sua foto,l’uomo chiuse il blocco e annuì.” Va bene. Dovrebbe essere sufficiente. Questa sera stessa farò il primo appostamento.” Rita sobbalzò una seconda volta. Di già? Poi intercettò lo sguardo di Rosa “ma come?” sembravano dirgli i suoi occhi” non eri tu quella che non poteva aspettare?”

Quella sera Rosa non se la sentiva di lasciare la sorella da sola, così l’invitò a casa sua. Grigi aveva infatti consigliato di lasciare “campo libero” a Daniele, in

maniera tale da scoprire al più presto eventuali … incontri. Durante la cena Rita non aveva spiccicato una parola, e la sorella aveva assecondato il suo silenzio, avendo capito che la sorella era pentita della sua fretta, anche se era troppo tardi per tornare indietro. Però…” vuoi che chiami Palma per dirgli di bloccare tutto?” le propose a un tratto. Rita, che cincischiava la forchetta nel piatto, alzò la testa e la guardò; ebbe un moto d’affetto verso la sorella, che capiva sempre i suoi stati d’animo. Prese il bicchiere in mano, muovendo il fondo di vino: “Vediamo che notizie dà stasera Grigi. Gli ho detto di chiamarmi a qualsiasi ora se ha novità. Tanto lo sai che dormo poco.” e bevve il resto del vino. Rosa sospirò, iniziando a sparecchiare. Poi decise di tornare all’attacco: “Rì, capita a tutti di sbagliare. Palma è un uomo intelligente: gli dici che ci hai ripensato , paghi la parcella e via!” la sorella non rispose, impegnata nel finire di mangiare il dolce. Improvvisamente si sentì suonare un telefono: Istintivamente Rosa si diresse verso l’apparecchio fisso, ma Rita, più moderna , capì subito che era il suo cellulare, e con un balzo si diresse verso la borsa. Con mani tremanti schiacciò il tasto verde : “Pronto?” “Signora, sono Grigi. Le volevo dire che stasera suo marito è da due ore al ristorante,quello in via del corso, in compagnia di un collega: sinceramente credo che stasera non andrà da nessuna altra parte… si è scolato un’intera bottiglia di vino, e il suo collega lo sta accompagnando a casa.” Rita alzò gli occhi al cielo : quando era con gli amici, Daniele non lesinava di alzare il gomito. Dopo aver ringraziato l’uomo, raccontò tutto alla sorella, che le consigliò, a quel punto, di lasciar perdere e fare finta che nulla era successo. Rita le diede ragione, e le chiese un ultimo favore: chiamare lei l’avvocato, si vergognava troppo.

“Rita? Sono Rosa. Ti volevo dire che oggi Palma è impegnato. Sisi, ci darà un nuovo appuntamento. Io? Stasera esco con Patrizia, mi ha invitato a cena. Ciao.” Era la prima volta che mentiva a sua sorella, e non le piaceva per niente. Che diavolo aveva in mente Palma? Perché aveva dato appuntamento solo a lei? Aveva un immenso rispetto per quell’uomo,ma cominciava a innervosirsi:”Venga solo lei. A dopo. “Tornò a chiedersi cosa voleva dire: che fosse arrabbiato con Rita ? Forse, ma come faceva a sapere che la sorella voleva ritirare tutto? L’avvocato era un uomo di cultura, ma mica prevedeva il futuro!Riaprendo la rivista, cercò di scacciare il cattivo pensiero che non la mollava da quando aveva terminato la telefonata, ma senza successo: le parole dell’avvocato rimbombavano nel suo cervello.

Varcò la soglia dell’ufficio di fretta. Rischiò di cadere quando vide che accanto all’avvocato c’era Saro Grigi, avvolto nel suo completo troppo grande. Che ci faceva lì? Palma si alzò in piedi e le porse una mano, sorridente come sempre. La stessa cosa fece l’investigatore, ma Rosa, con un gesto che stupì lei per prima, fece finta di non averla vista e si sedette. Si sentiva bellicosa, lei che odiava litigare : “Avvocato, io sono ignorante,ma non sono stupida. Se lei ha voluto vedere solo me vuol dire che qualcosa non quadra. Mi dica cosa.” l’avvocato si sedette e fece cenno all’uomo di lasciarli soli: appena l’ometto si fu chiuso la porta alle spalle, guardò Rosa e sospirò :“Sa quant’è che conosco Federico? 30 anni: Tanti , signora mia. E lo stimo moltissimo.: il mio affetto per lui si trasferisce alla sua famiglia, lei in primis.” Rosa lo guardava senza capire : dove voleva andare a parare? .Come se avesse intuito i suoi pensieri, l’uomo aprì un cassetto e ne trasse una busta di carta. “Vengo al nocciolo della questione:Sua sorella non mi è mai parsa convinta di volere andare fino in fondo. E la stessa impressione me l’ha confermata il mio collega. Ieri sera Grigi ha telefonato a sua sorella, vero?” la donna annuì. “Gliel’ho chiesto io. Volevo che sua sorella venisse rassicurata, così da rinunciare all’indagine.” Cosa? Rosa lo guardava a bocca aperta. “Ma sono un avvocato, ho avviato un’indagine e devo mostrare i risultati.” Le avvicinò la busta: “la apra, signora.” sussurrò. Come in trance, la donna aprì la busta gialla e la rovesciò sulla scrivania: dieci foto scivolarono sul legno. Rosa ne prese una .

Non era possibile:Daniele, in macchina, al buio, baciava apionatamente Marvina, la donna di servizio di Rita. ò al setaccio le altre : stesso soggetto, da diversi punti di vista. “Non è possibile” biascicò , con gli occhi sbarrati. Quell’uomo era Daniele? Lo stesso Daniele che aveva fatto da padrino a Lucia, che animava le cene di famiglia ? sentì una grande rabbia dentro. “Se posso permettermi, signora, di queste storie ne ho viste tante. Uomini prossimi alla pensione, che si sentono vecchi e vogliono provare qualche brivido, frequentando una donna più giovane. Mi dia retta: tempo un mese e suo cognato la licenzierà, tornando a essere un bravo marito.” Rosa lo guardò. Probabilmente l’avvocato aveva ragione, ma non avrebbe permesso a Daniele di rovinare la vita di Rita. “Le bruci” gli ordinò, con una grinta che poche volte in vita sua aveva tirato fuori: “Le bruci, e distrugga i negativi. Licenzi Grigi, e prepari la parcella. Domani verrò con mia sorella, che non dovrà mai saperne niente.” Palma la

guardò con simpatia : “E’ la scelta giusta, signora. Farò come mi ha detto.” Rosa si alzò e gli strinse la mano, prima di congedarsi. Buffo, quell’uomo non la metteva più in soggezione.

Non ce la faceva a tornare subito a casa. Si infilò in un bar e ordinò un caffè, poi ci ripensò e chiese un bicchiere di acqua. Chiamò Federico e gli chiese di tornare prima; aveva bisogno di lui, gli avrebbe raccontato tutto. Quando il barista le portò il bicchiere, Rosa osservò l’acqua, perfettamente cristallina: prima di bere, sorrise: d’altronde, lei beveva solo acqua pura.

LA TARGA

Dalla rabbia non riusciva neanche a masticare. Nel piatto, i resti del primo che gli aveva cucinato la moglie, Mirta, uscita per delle commissioni. Bruno Agoni prese il tovagliolo e si pulì la bocca; in un impeto di rabbia, arrivò a morderlo, soffocando un grido. Che rabbia! Era fuori di sé, non riusciva a dominarsi. Guardò il ritratto dello zio Fredo e gli tirò il tovagliolo: si, perché lo zio aveva avuto la balzana idea, giunto all’età di 83 anni, di morire così, da un giorno all’altro. E soprattutto si era permesso di morire di vecchiaia. Una morte così banale, così stupida! Non lo sapeva che alla SEKT, dove aveva lavorato per 40 anni, solo gli impiegati morti in circostanze spettacolari venivano ricordati? E che sarebbe stato, adesso, del decoro della famiglia? Possibile che quel vecchio imbecille non ci avesse pensato?

La moglie lo aveva trovato così, abbacchiato,che rimestava nel piatto semivuoto che aveva davanti. Si arrabbiò moltissimo per il tovagliolo bucato, ma si trattenne dal fare una scenata al marito: poveraccio, era in lutto, andava capito. Premurosa, Mirta si era sobbarcata volentieri l’organizzazione del funerale, per non turbare ulteriormente il marito: sperava di vedere il suo umore migliorare, ma non era andata così: quello ava tutto il suo tempo in poltrona, fissando il muro e bofonchiando qualcosa di incomprensibile a intervalli regolari. Una volta che gli si era avvicinata, vedendolo così, quasi in trance; lo aveva scosso, posandogli una mano sulla spalla. Sussultando, Bruno l’aveva guardata,ma Mirta si era riflessa in due occhi vacui, persi in altri pensieri: “Lo sai che non ci danno la targa?” aveva sussurrato. Che? “Ma Bruno, che stai dicendo? Ti senti bene?” il marito aveva scrollato le spalle, spazientito: possibile che quella donna, che avrebbe dovuto capirlo e sostenerlo, non comprendeva il dramma che li aveva colpiti? E aveva ripreso a fissare il muro.

Ormai non c’erano più dubbi: Bruno era impazzito. Torcendosi le mani, Mirta si pentì di quel pensiero, ma che doveva fare? Erano giorni che il marito non si schiodava dalla poltrona:si alzava solo per andare in bagno e per mangiare; ma

comunque consumava i pasti in fretta, senza neanche guardarla in faccia, e soprattutto senza rivolgerle la parola, quasi ce l’avesse con lei. Ma la cosa più strana era che continuava a parlare di targhe e onore perduto. Pensò che forse il dolore gli aveva provocato uno shock bello forte, ma qualcosa le diceva che c’era dell’altro. Ma cosa? Forse che non ci aveva provato a farlo sfogare, parlare, ma niente. Scosse la testa: doveva smetterla di essere indulgente: il marito era impazzito, e lei da sola non poteva fare niente. C’era bisogno di un aiuto esterno; un medico, o addirittura uno specialista. Sfogliando la rubrica, Mirta trovò un numero che poteva fare al caso suo.

Il dottor Tiberio Coppa varcò la soglia di casa Agoni il giorno prima del funerale dello zio. Mirta voleva provare a risolvere, o quanto meno a tamponare la situazione prima del funerale: che avrebbero pensato i parenti e i compaesani, se l’unico nipote di una figura importante come lo zio Fredo avesse disertato il suo funerale, invece di piangerlo in prima fila? Per fortuna era riuscita, tramite un’amica d’infanzia, a ottenere un appuntamento con uno dei medici più in voga del momento: dopo avergli spiegato per sommi capi la situazione, lo aveva pregato di venire subito a visitare il marito. E così era stato: il dottor Coppa era consapevole del suo talento, e la sua bontà gli permetteva di farsi in quattro. Mirta , dopo avergli indicato la figura rannicchiata di Bruno,aveva deciso di lasciarli soli; dileguandosi in cucina, ma la curiosità aveva avuto la meglio, e li osservava da uno spiraglio , lasciato apposta aperto dalla porta della cucina.

E chi era quello? Bruno squadrò l’uomo sconosciuto dall’alto in basso: chi era? Che voleva? Per un attimo ebbe un guizzo di speranza: forse era il medico legale; forse il referto sulla morte delle zio Bruno era sbagliato! Puntò i suoi occhi aguzzi sull’individuo, che nel frattempo si era seduto di fronte a lui.” Buonasera, signor Agoni. Sono il dottor Coppa, uno psicologo.” Uno psicologo? E quindi? Bruno sollevò un sopracciglio, e strinse di malavoglia la mano che gli porgeva.” A cosa devo la sua visita, dottore?” Magari lo zio era pazzo, e i pazzi vengono sempre ricordati si disse. Tiberio si sorprese: quell’uomo sembrava lucido, e in attesa di qualcosa, anche se poteva leggere il sospetto nei suoi occhi. Decise di giocare a carte scoperte: “Sua moglie è un po’ preoccupata. La vede stanco, turbato. Mi ha chiesto di fare una chiacchierata con lei, per vedere se posso aiutarla in qualche modo.” Come come ? Che si era messa in testa, quella

deficiente? Ora gli aveva messo alle calcagna uno strizza cervelli? Avvampando,Bruno rimase in silenzio qualche minuto, poi decise di fare buon viso a cattivo gioco: doveva assolutamente convincere il medico che lui stava benissimo:” Mia moglie esagera sempre. Sono un po’ giù, questo è vero, ma sa, sono momenti della vita. Poi a.” e aveva allargato le braccia, sorridendo. Coppa aveva annuito, comprensivo: “Si, certo, immagino. Ma non la biasimi, è giusto che una moglie si preoccupi per suo marito, non trova?” Bruno aveva sorriso a denti stretti, sforzandosi di mantenere il controllo, perso il quale lo avrebbe sbattuto fuori di casa a pedate. Ma non fu necessario: dopo altri convenevoli, Coppa si era congedato, e si era diretto in cucina, da dove Mirta, che aveva osservato la mimica facciale del marito, si stava chiedendo, di nuovo, se avesse fatto la scelta giusta.

Afflosciandosi sulla poltrona, Bruno chiuse gli occhi: tra i tanti problemi, ora ci si metteva pure il dottorino che lo voleva internare! E lui che sperava che fosse dalla sua parte… Ripensandoci, gli venne da ridere: lui pazzo? Ma se era la persona più lucida del mondo!

Pochi metri più in là, la moglie serviva il caffè al dottore che, seduto al tavolo, le sorrideva. “Si tranquillizzi, signora. Suo marito non è pazzo: è solo provato, e giù di morale.” E prese un sorso di caffè. “Tuttavia, c’è qualcosa che non mi convince.” Mirta smise di girare lo zucchero, e lo guardò, in attesa.” Ho avuto l’impressione che suo marito… fingesse. Che in qualche modo falsasse il suo dolore.” La donna aggrottò la fronte, e bevve il caffè tutto in un sorso. “Si spieghi meglio, per favore.” Il dottore annuì, circondando la tazzina con entrambe le mani:” Vede, quando si subisce un lutto, proviamo due sentimenti: dolore e rabbia. Il dolore si manifesta in molti modi: pianto, digiuno, annichilimento… la rabbia invece,è sempre presente, di sottofondo: non riusciamo a spiegarci, a capire l’assenza improvvisa di una persona. Io, in suo marito, ho visto solo rabbia.”

Mirta era accanto al marito, in prima fila. Bruno non aveva mai pensato di mancare, non fosse altro per evitarsi rogne, ma secondo Mirta il merito era del

dottor Coppa,che gli aveva consigliato una terapia d’urto per Bruno. Si sentiva più fiduciosa, mentre pregava per lo zio. Accanto a lei, il marito teneva gli occhi semi aperti, per non guardare la bara e provare l’impulso di sputarci sopra, per lo sgarbo che lo zio gli aveva fatto. Da fuori, però, chiunque lo guardasse provava un moto di pietà, per quel nipote così addolorato, ma così addolorato, che preferiva non guardare la bara.

Era il momento. Con il giornale sottobraccio, Mirta prese un respiro, e si sedette accanto al marito, di nuovo appollaiato in poltrona. Gli mise davanti il giornale, e al suo sguardo interrogativo: “Ultima pagina” gli disse. Bruno obbedì, e si trovò davanti la serie di necrologi per lo zio Fredo: il dottore sperava che leggendoli, trovasse uno stimolo, uno sfogo. Invece, leggendo quelle parole, nero su bianco, l’uomo sentì montare dentro di sé una rabbia famelica: balzando in piedi, stracciò il giornale in mille pezzi: che valore potevano avere, quelle parole? Inutili, Inutili! Che bella sarebbe stata invece, una bella targa!

Ogni personaggio e situazione è frutto della mia fantasia. Questo ovviamente non vale per “Le Idi”: Cicerone e Seneca. Sono realmente esistiti, e nel racconto i luoghi e le date sono anche essi reali : mi sono limitata ad immaginare come due grandi uomini abbiano affrontato i loro ultimi momenti di vita. Anche Fedro, protagonista de “In deorum tutela” è realmente esistito, ma purtroppo non credo gestisca un vivaio.

F.M.

BIBLIOGRAFIA

Elda Bossi ( a cura di ) : Fedro, Favole, “poeti di Roma” , Zanichelli.