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GUASTINI INTERPRETAZIONE DEI TESTI NORMATIVI
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I Capitolo Interpretare: attribuire ―senso‖ o ―significato‖ a qualcosa. Le nozioni di ―senso‖ e ―significato‖ sono, però, ampie quanto quella di interpretazione. 1. interpretare atti o comportamenti significa: I) fare ipotesi intorno agli scopi, alle ragioni o alle intenzioni di un soggetto; II) (sussumere) riportare un certo atto o comportamenti (generali) sotto una classe di atti o di comportamenti (di una certa specie); III) attribuire un valore all‘atto o a un comportamento considerato. 2. interpretare eventi significa: fare ipotesi su una relazione di causa – effetto tra un certo fatto condizionante ed un fatto condizionato. 3.Interpretare testi significa: attribuire significato ad un qualche frammento di linguaggio. (L‘interpretazione giuridica appartiene al genere dell‘interpretazione testuale). La definizione di interpretazione giuridica: 6 accezioni. 1° interpretazione => intesa come attribuzione di significato ad un testo normativo (esclusivamente) in presenza di dubbi o controversie intorno al suo significato o al suo campo di applicazione. (Interpretazione intesa come: chiarire ciò che è oscuro). Osservazioni: 1) questo concetto di interpretazione è strettamente legato ad una teoria dell‘interpretazione secondo la quale essa è: a. attività conoscitiva => quando si esercita su testi chiari e/o in presenza di fattispecie alle quali, il testo oggetto dell‘interpretazione, è sicuramente applicabile; b. attività volitiva e decisoria => quando si esercita su testi oscuri e/o in presenza di fattispecie di dubbia qualificazione. 2) questo concetto di interpretazione si riflette in quella direttiva metodologica che si esprime nelle massime: c. in claris non fit interpretatio; d. interpretatio cessat in claris. Non occorre interpretazione allorché un testo sia chiaro, non dia luogo a dubbi o controversie. 3) coloro che usano ―interpretazione‖ in questo modo ritengono che: in assenza di dubbi o controversie, la decisione circa il significato del testo normativo di cui si tratta non richiede giustificazioni mentre in presenza di dubbi tale decisione esige di essere argomentata. 2° interpretazione => intesa come qualsiasi attribuzione di significato ad una formulazione normativa, indipendentemente da dubbio e controversie. Osservazioni: I) in tal senso qualunque testo richiede interpretazione; II) interpretare un testo è comprenderlo; III) non vi è significato senza interpretazione; IV) l‘interpretazione è presupposto necessario dell‘applicazione; V) questo modo di concepire l‘iterpret. non distingue tra: a. comprensione immediata e irriflessa (cioè che non deriva da nessun altra interpretazione precedente) di un testo; b. l‘attribuzione a un testo di un significato come risultato di un processo di analisi, riflessione e decisione. 2
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3° interpretazione => intesa come attività conoscitiva; qualora un testo esprima potenzialmente una pluralità di significati, costituisce interpretazione, l‟attività consistente nel rilevarli tutti, nel censirli imparzialmente. Osservazioni: questo modo di concepire l‘interpretazione è accettabile se non per il fatto che nell‘uso comune tale termine si usa indifferentemente sia per indicare un‘attività conoscitiva (v. 3° significato) sia per indicare un‘attività decisoria e volitiva (v. 1° e 2° significato => attività consistente nello scegliere un significato scartandone altri). 4° interpretazione => intesa come attività decisoria di casi e controversie. Per tanto la mera attribuzione di significato a un testo senza relazione con alcuna controversia non costituisce genuina interpretazione. Osservazioni: questo modo di concepire l‘interpretazione presenta il grave difetto di ridurre l‘attività interpretativa alla sola interpretazione in concreto (dei giudici) escludendo dal termine stesso l‘interpretazione in astratto (dei giuristi). 5° interpretazione => intesa come quell‘attività di sistematizzazione del diritto consistente nell‘elaborare deduttivamente le conseguenze logiche delle norme espresse, così da ricavarne norme ulteriori non espresse, idonee a risolvere anche questioni non previste dal legislatore. Osservazioni: questo modo ci concepire l‘interpretazione presenta 3 difetti: I) essa usa il vocabolo interpretazione per riferirsi ad un‘attività che non è strettamente interpretativa1 ma al contrario si compie ad interpretazione già avvenuta; II) la maggior parte delle norme inespresse costruite dai giudici mediante procedimenti (come vorrebbe questa concezione) deduttivi al contrario, avvengono per mezzo di procedimenti argomentativi tutt‘altro che deduttivi quali: l‟analogia, l‟argomento a contrario; III) essa sottace che, nel dedurre le conseguenze logiche delle norme, gli interpreti usano per lo più premesse alcune delle quali non sono affatto norme espresse ma, tesi interpretative e/o dogmatiche. 6° interpretazione => intesa come un trattamento dei testi giuridici scorretto o manipolatorio, nel senso che interpretare significa manipolare un testo normativo, allo scopo di eludere la norma da esso (testo) espressa. Osservazioni: questo modo di vedere, apparentato alla prima accezione, assume che un testo chiaro non richiede interpretazione, sicché interpretazione costituisce una contraffazione del significato proprio delle parole. Si deve necessariamente distinguere tra interpretare norme e interpretare atti. 1. Interpretare norme => si usa per dire che l‘interpretazione giuridica ha ad oggetto norme. Osservazione: questo modo di esprimersi è corretto a patto che per norma si intenda un testo normativo e non già il suo contenuto di significato, giacché si interpretano le disposizioni e non le norme (le quali esprimono il loro contenuto di significato solo come conseguenza dell‘attività interpretativa sulle disposizioni). La norma infatti costituisce non l‘oggetto bensì il risultato dell‘interpretazione. 2. Interpretare fatti => si usa dire che gli organi della giurisdizione interpretato non solo norme ma anche fatti.
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Attribuzione di significato ai testi normativi.
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Osservazioni: questo modo di esprimersi è infelice poiché interpretare assume due significati diversi a secondo che oggetto dell‘interpretazione siano: a. testi => interpretazione testuale => interpretazione giuridica => attribuzione di significato; b. fatti => interpretazione di fatti => congetturare una spiegazione causale di un evento, o sussumere il fatto in una classe di fatto, o ascrivere un valore al fatto considerato. Distinzione tra interpretazione e applicazione 1. Interpretazione: Ammette qualsiasi soggetto, giacché chiunque può interpretare; ha ad oggetto testi normativi; precede l‘applicazione. 2. Applicazione: Ammette solo quei soggetti facenti parte degli organi applicativi (giudici, funzionari amm., ecc.); ha ad oggetto norme in senso stretto, intese come il contenuto di significato dei testi normativi); presuppone l‘interpretazione; non si esaurisce nell‘attività interpretativa ma include anche: l‘accertamento dei fatti causali; la qualificazione della fattispecie giuridica di cui si tratta; la decisione della controversia. Distinzioni tra tesi interpretative e tesi dogmatiche. 1. tesi interpretativa => è un enunciato della norma. Stante un enunciato del tipo: la disposizione D esprime la norma N, una tesi interpretativa risponde alla domanda: qual è il significato della disposizione D? Quale norma esprime la disposizione D? Ad esempio, è un problema interpretativo se il principio del ― buon andamento dell‘amministrazione (art. 97 Cost.)‖ valga o no anche per gli organi dell‘amministrazione della giustizia. E sono tesi interpretative sia la tesi secondo cui la risposta è affermativa sia quella secondo cui è negativa 2. tesi dogmatiche => esse sono le dottrine elaborate dai giuristi. Es.: la dottrina del governo parlamentare. Osservazioni: 3 peculiarità delle tesi dogmatiche: I) le tesi dogmatiche sono dottrine che i giuristi costruiscono in modo indipendente e logicamente antecedente all‘interpretazione di qualunque disposizione normativa; II) le tesi dogmatiche condizionano l‘interpretazione, orientandola in un senso rispetto ad un altro o escludendo certe opzioni interpretative altrimenti possibili; III) tali tesi costituiscono premesse di ragionamenti, la cui conclusione è la costruzione di una norma inespressa che si pretenda tuttavia implicita nell‘ordinamento. Es.: ―…un atto del potere legislativo non conforme alla costituzione è nullo‖.
CONCLUSIONI L‘intero discorso si riferisce e ha come base questo assunto: interpretazione giuridica è un‟interpretazione testuale concernerete dunque l‘interpretazione delle fonti atto ovvero del c.d. documenti normativi. Per tanto conviene sottolineare che l‘interpretazione intesa nelle conclusioni non si estende alla consuetudine. L‘espressione interpretazione della consuetudine va intesa in 2 modi:
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1° => per intendere l‘interpretazione delle raccolte di usi e consuetudini. Queste, benché siano fonti di cognizione e non di produzione e per tanto non dovrebbero essere oggetto d‘interpretazione, presentandosi, contrariamente, come altrettanti documenti normativi sotto forma di raccolte, non differiscono in linea di principio dall‘interpretazione delle fonti – atto ovvero dei documenti normativi. 2° => propriamente intesa, l‘interpretazione della consuetudine ha ad oggetto la fonte di produzione detta ―consuetudine‖. Osservazione: così intesa l‘interpretazione della consuetudine e cosa diversa dall‘interpretazione testuale. Infatti, la consuetudine, distinta dalle norme che da essa scaturiscono, non è un testo, ma è un comportamento sociale. L‘interpretazione della consuetudine, così intesa, consiste non nell‘ascrivere significato a formulazioni normative, ma nell‘attribuire senso ad una parassi sociale e precisamente nell‘inferire (produrre/causare) da una prassi sociale, l‘esistenza di norme.
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II Capitolo e IV Capitolo L‘interpretazione è un‘attività mentale; è una congettura psicologica di natura empirica, poiché ha ad oggetto fatti (eventi psichici) non suscettibili di controllo empirico proprio perché risiedono nella psiche/mente. La più nota congettura psicologica sul processo interpretativo è quella che va sotto il nome di: teoria ermeneutica dell‟interpretazione. Essa ritiene che il processo interpretativo abbia un andamento triplicemente circolare. 1° circolo => esso si instaura tra le aspettative dell‟interprete e il testo. - le aspettative => costituiscono l‘ipotesi interpretativa con cui l‘interprete si accosta al testo, interpretando. - l‘ipotesi interpretativa => può trarre origine: a. dalla competenza linguistica dell‘interprete; b. dalla sua padronanza dei metodi d‘interpretazione; c. dalle sue supposizioni intorno alla ratio legis; d. dal suo sentimento di giustizia. Osservazioni: l‘ipotesi normativa può essere confermata dal testo cui si riferisce, ma può esser anche invalidata (infirmata) =>2 sostituzione con una diversa ipotesi normativa che dovrà essere posta nuovamente a confronto con il testo per controllare la fondatezza della nuova ipotesi e così finché ipotesi normativa e testo non si accordino. 2° circolo => esso si instaura tra il testo e il suo co–testo3, nonché tra la norma ed il sistema normativo cui appartiene. Osservazione: in questo secondo circolo si assume l‘idea che la singola disposizione non sia comprensibile se non entro il sistema normativo di cui è parte. Pertanto occorre controllare la coerenza (assenza di contraddizioni) e la congruenza assiologica dell‘ipotesi interpretativa con le altre norme ricavabili dal medesimo testo normativo, nonché con le rimanenti norme del sistema. 3° circolo => esso si instaura tra il fatto e le norme. L‘interprete muove da una ipotesi di qualificazione giuridica del fatto => confronto della stessa con il testo normativo (opportunamente interpretato) => se la norma dovesse smentire l‘ipotesi qualificatoria, occorrerà: a. re - interpretare il medesimo testo; b. rivolgersi ad altri testi;
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Di conseguenza.
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Parti rimanenti del medesimo testo normativo
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c. formulare una diversa ipotesi qualificatoria la quale a sua volta dovrà esser sottoposta a controllo. Una seconda congettura psicologica sul processo interpretativo è quella che si inscrive nella teoria dei giochi normativi. Secondo tale teoria si possono distinguere: 1. i giochi senza reinterpretazione => il processo di interpretazione si esaurisce in un unico atto interpretativo irriflesso, il cui risultato è accettato e non ulteriormente problematizzato; 2. i giochi a reinterpretazione => in essi il processo interpretativo si volge in almeno tre fasi: I) interpretazione irriflessa => c.d. significato prima facie frutto di comprensione irriflessa e tendenzialmente coincidente con il significato letterale; II) il risultato dell‘interpretazione irriflessa, provvisorio, è messo in discussione, ponderato ed eventualmente sostituito mediate la terza fase => c.d. significato post interpretationem frutto di problematizzazione e riflessione; III) eventuale re – interpretazione conseguenza della prima fase => c.d. significato “tutto considerato” frutto di decisone consapevole e ragionata (mediante, se resa necessaria, un‘eventuale re – interpretazione). Partendo dall‘assunto che l‘interpretazione sia un‘attività mentale (non suscettibile di analisi) conviene considerare l‘interpretazione stessa come il: discorso degli interpreti (interpretazione in quanto prodotto). A tal riguardo distinguiamo: una teoria cognitiva, scettica e una teoria eclettica. Osservazioni: a. le teorie in esame hanno (tutte) ad oggetto una risposta alla domanda: l‘interpretazione è un atto di conoscenza o è un atto di volontà? ; b. tali teorie si riferiscono implicitamente alla sola interpretazione giudiziale. 1° La teoria cognitiva (o formalistica) => l‘interpretazione è atto di conoscenza. Osservazioni: I) oggetto di conoscenza è il significato dei testi normativi intesi alternativamente: a. o come contenuto concettuale di un testo (significato oggettivo); b. o come intenzione dell‘autorità normativa (significato soggettivo); II) il significato deve ritenersi incorporato ai testi normativi e precostituito all‘interpretazione, che consiste nel portarlo alla luce; III) Da questo punto di vista ogni testo normativo è suscettibile di una ed una sola interpretazione vera (corretta). Analisi: In quanto teoria del significato, la teoria in esame sostiene 3 tesi: 1. la tesi che il significato sia cosa precostituita all‘interpretazione; 2. la tesi che ogni testo normativo incorpori un solo significato univoco e preciso; 3. la tesi che tale significato sia suscettibile di conoscenza (riconoscendo, tale teoria, l‘interpretazione come atto di conoscenza). In quanto analisi del discorso degli interpreti, la teoria in esame sostiene che tale discorso appartenga al linguaggio fungendo come mezzo conoscitivo o descrittivo. In sostanza gli 7
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enunciati normativi sono enunciati apofantici e in quanto tali veri o falsi (il testo T esprime il significato S) Sulla teoria cognitiva => conclusioni: la tesi che il significato sia cosa precostituita all‘interpretazione è sostenibile ma ciò che non lo è, è che ogni testo normativo esprima un solo significato univoco e preciso, suscettibile di conoscenza, in quanto ciò contrasta con due fenomeni quali: i contrasti interpretativi e i mutamenti di interpretazione. 2° La teoria scettica (o realistica) => l‘interpretazione è un atto di scelta e pertanto di volontà. Oggetto di scelta è ovviamente il significato. Varianti: 1)Teoria scettica estrema: i testi normativi non hanno altro significato che quello deciso discrezionalmente dagli interpreti, liberi di attribuire qualunque significato. Osservazioni: il significato non preesiste all‘interpretazione, è piuttosto il risultato dell‘interpretazione. La tesi dell‟ interpretazione anything goes (“…per il diritto positivo un’interpretazione vale l’altra‖): tale tesi appartiene alla variante estrema della teoria scettica, la quale sostiene che: gli interpreti possono attribuire a qualunque testo normativo qualsiasi significato e che non vi è modo di discriminare tra: -genuina interpretazione => scelta tra più significati possibili; -e creazione di significati nuovi.
A tal riguardo Kelsen, considerato il fondatore della teoria scettica dell‘interpretazione, afferma le seguenti tesi: 1. ogni testo normativo esprime potenzialmente non uno, ma più significati egualmente possibili o ammissibili. Poniamo: S1, S2 e S3; 2. costituisce interpretazione cognitiva: l‘accertamento di tali significati (es.: il testo T può essere interpretato nel senso S1, o S2 o S3); 3. costituisce: interpretazione decisoria la scelta di uno di tali significati (es.: il testo T significa S1). Essa può essere compiuta da: a. giuristi => è una mera direttiva priva di effetti giuridici; b. organi dell‟applicazione => è interpretazione autentica nel senso che produce effetti giuridici, almeno provvisori, almeno inter partes. 4. Talvolta gli interpreti (segnatamente gli organi dell‘applicazione) attribuiscono al testo normativo un significato nuovo che non rientra tra quelli accertati o accertabili in sede di interpretazione scientifica (es.: il testo T significa S4 e non S1, S2 o S3 precedentemente accertati in sede d‘interpretazione scientifica); 5. Il diritto positivo connette conseguenze giuridiche a qualsivoglia decisione interpretativa (anche a queste ultime) degli organi dell‘applicazione, comprese le decisioni che cadono fuori dai significati astrattamente possibili (fuori dalla ―cornice‖). La quinta tesi kelseniana è ciò che si può addurre a favore dello scetticismo estremo, ovvero: giacché tutto è interpretabile e a tutto si può attribuire significato (anche a ciò che è fuori dalla 8
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―cornice‖) in questo senso: anything goes => “…per il diritto positivo un’interpretazione vale l’altra‖. Tuttavia la tesi kelseniana sopraesposta, non è una tesi di teoria dell‘interpretazione (per Guastini/fausto/) ma una descrizione del diritto positivo vigente partendo dalla quale non tutte le interpretazioni si equivalgono dal punto di vista della teoria dell‘interpretazione ma si equivalgono solo dal punto di vista del diritto positivo. N.B. => teoria dell‟interpretazione ≠ dal punto di vista del diritto positivo I) la teoria dell‟interpretazione ha ad oggetto: l‟interpretazione in quanto tale, né l‘applicazione, né la norme giuridiche che ne disciplinano gli effetti; II) per la teoria dell‟interpretazione è rilevante distingue: a. l‘interpretazione dei testi normativi (l‘identificazione delle norme) dall‘applicazione di norme previamente identificate; b. la scelta di un significato (da preesistenti possibili significati) dalla creazione di nuovi significati. Lo scetticismo estremo, nell‘ottica della tesi kelseniana, trascura, giustappunto, questa seconda distinzione, sottolineando che per lo stesso non è necessario sostenere che: a. né tutte le interpretazioni si equivalgono; b. né che di fatto, talora, i giudici creano significati nuovi non inclusi nella cornice ma soltanto che => i giudici hanno sempre discrezionalità, poiché hanno sempre possibilità di scelta tra una pluralità di significati. Analisi: In quanto teoria del significato la prima variante in esame sostiene: I) la tesi che i testi normativi non incorporino alcun significato determinato fino a che l‘interprete non lo attribuisca loro; II) la tesi che, per conseguenza, il significato non sia cosa precostituita all‘interpretazione ma sia anzi il suo risultato; III) la tesi che, pertanto, prima dell‘interpretazione non vi sia alcun significato suscettibile di conoscenza. 2) Teoria scettica moderata: ciascun testo normativo esprime, potenzialmente, una pluralità di significati in competizione; ciò dipende dall‘elasticità delle regole linguistiche e soprattutto dalla varietà dei metodi interpretativi. L‘interpretazione consiste nella scelta discrezionale di un significato a preferenza di altri. Una obiezione anti – scettica e una contro obiezione (v. IV cap. ; § 2 e ss.): contro la tesi scettica si solleva il dubbio inerente alla affermazione che: tutti i testi normativi sono soggetti a interpretazioni configgenti. Al contrario, al teoria anti – scettica, sostiene che non tutti i testi normativi sono soggetti a interpretazioni contrastanti e che all'opposto vi sono innumerevoli enunciati normativi il cui significato è pacifico e indiscusso (cuore della critica anti – scettica). Del resto (sostiene tale critica) se così non fosse non si potrebbe dire esistente alla lettera alcuna norma e, pertanto, non si potrebbe parlare di diritto. Questa obiezione non convince laddove è più adeguato insistere sull‘asserzione che ogni testo normativo è soggetto a molteplici interpretazioni: quanto meno dal punto di vista diacronico (storico/evolutivo). La tesi anti – scettica, al contrario, sarebbe ben fondata se: (a) data una disposizione normativa D e potendo alternativamente essere intesa una volta come esprimente la norma N1 o talaltra la 9
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norma N2, tutte le controversie interpretative fossero di questo tipo. Inversamente, talora, accade che: (b) la disposizione D esprima una norma N1, ma si controverte se sia o no defettibile ossia soggetta ad eccezioni implicite non specificate (e dunque non vie è sempre quella alternatività che darebbe fondamento alla teoria anti – scettica). E cosi via. Dal canto suo lo scetticismo, non pretende che ogni disposizione sia soggetta o debba esse necessariamente soggetta a due o più interpretazioni alternative (N1 o N2?), talché prima dell‘interpretazione non vi sarebbe alcuna norma, ma afferma soltanto che sebbene l‘ipotesi (a) sia rara l‘ipotesi (b) ed altre sono frequenti a tal punto da sostenere che nessuna disposizione normativa si sottragga a queste (ed altre) controversie. Conclusione: l‘esistenza di dissensi interpretativi non esclude l‘esistenza di consensi interpretativi e viceversa. Tuttavia nella teoria contemporanea sembra dominare un modello anti – scettico basato sull‘uso della teoria dell‟interpretazione eclettica, il cui nocciolo è costituito dalla distinzione tra casi facili (chiari) e casi difficili (dubbi). Si afferma: i giudici non sempre hanno discrezionalità, giacché non tutti i casi sono difficili ma vi sono altresì casi facili per i quali non vi è che una soluzione corretta. Ciò posto, la teoria eclettica non è una forma moderata e perciò accettabile di scetticismo, né è una via di mezzo tra cognitivismo e scetticismo, ma è al contrario una teoria neo – formalistica perché: I) nega che gli interpreti abbiano sempre discrezionalità; II) mostra di ritenere che i casi dubbi siano, dopo tutto, marginali. L‘idea che fa da sfondo alla teoria eclettica (la distinzione tra casi chiari e casi dubbi) è che i problemi di interpretazione derivino dalla c.d. ―open texture‖ ossia dalla vaghezza dei termini in cui le norme giuridiche sono formulate. Importa però, sottolineare che la vaghezza (di cui parla la teoria eclettica) è propria delle norme (i significati) non delle disposizioni (gli enunciati). Per tanto la teoria dell‘open texture ha (proseguendo per suddetto ragionamento) non l‘individuazione delle norme, ma l‘applicazione di norme, previamente individuate, a casi concreti. Per essa, dunque, l‘interpretazione si risolve: nell‟applicazione di norme a casi concreti. Se si traspone quanto è stato affermato nell‘attivita scientifica (la dottrina) e in quella pratica (i giudici) ci si renderà conto che così non è, in quanto: a. l‘interpretazione dottrinale non si risolve affatto nell‘applicazione di norme a casi concreti; la dottrina si limita all‘identificazione delle norme (interpretazione in astratto) senza riferirsi ad alcuna fattispecie concreta; b. l‘interpretazione giudiziale benché si risolva nell‘applicazione delle norme da applicare ai casi concreti (interpretazione in concreto), presuppone l‘identificazione delle norme da applicare (interpretazione in astratto). Proprio su quest‘ultimo punto la teoria dell‘open texture non dice nulla, ovvero non dice nulla intorno all‘identificazione delle norme, ai procedimenti intellettuali che dalla disposizione conducono alla norma (interpretazione in astratto). In fine è possibile affermare che è proprio nell‘individuazione della norma (dalla disposizione alla norma => interpretazione in astratto) non nella sua applicazione in concreto, che si esercita primariamente la discrezionalità interpretativa di cui parla la teoria dell‘open texture e non viceversa.
Analisi: In quanto teoria del significato la seconda variante in esame sostiene: 10
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1. la tesi che i testi normativi incorporino non un significato ma una molteplicità di significati in competizione; 2. la tesi che tali significati siano suscettibili di conoscenza; 3. la tesi che il significato che risulta dall‘interpretazione sia frutto di scelta (atto di volontà). In quanto analisi del discorso degli interpreti, entrambe le varianti sostengono che: il discorso degli interpreti appartenga al linguaggio in funzione ascrittiva (costitutiva). In definitiva gli enunciati sono enunciati interpretativi e in quanto tali né veri, né falsi proprio perché non descrivono (come nella teoria cognitiva) ma ascrivono. Sulla teoria scettica => conclusioni: le due varianti della teoria scettica (estrema e moderata) presentano delle differenze: - la teoria intesa in senso estremo: essa è accettabile nella parte in cui asserisce che il significato sia il prodotto e non l‘oggetto dell‘interpretazione, ma non lo è quando l‘indeterminatezza radicale del significato (di cui si fa portatrice questa teoria) impedisce di distinguere tra espressioni significanti e espressioni prive di qualsivoglia significato. - la teoria intesa in senso moderato: essa è accettabile in ciò che asserisce ed è confermata sia dai contrasti interpretativi sia dai mutamenti d‟interpretazione.
3° La teoria eclettica => essa cercando di conciliare le due precedenti (talvolta è atto di conoscenza e talvolta è atto di volontà) è divisibile in 2 versioni. Versioni: I) essa sottolinea l‘irriducibile trama aperta (open texture) ossia, la vaghezza, l‘imprecisione di qualunque disposizione giuridica e distingue accanto ad un ―nocciolo ‖ di significato stabile e accettato, una penombra di incertezza. Pertanto, l‘interpretazione è: a. atto di conoscenza => quando si tratta di decidere la qualificazione giuridica di un caso chiaro; b. atto di volontà => quando si tratta di decidere la qualificazione giuridica di un caso dubbio. Analisi: In quanto teoria del significato la prima versione in esame sostiene: a. che il significato sia parzialmente precostituito all‘interpretazione e suscettibile di conoscenza; b. che ogni testo normativo incorpori un solo significato, ma fatalmente vago, indeterminato, impreciso. I quanto analisi del discorso degli interpreti la prima versione in esame sostiene che il discorso degli interpreti sia mutevole, poiché gli enunciati interpretativi (nei casi facili) sono talvolta enunciati del linguaggio descrittivo (come tali veri o falsi) talaltra (nei casi difficili) enunciati del linguaggio ascrittivo o decisorio (come tali né veri né falsi).
II) ,essa distingue non tra casi facili e difficili ma tra testi chiari e oscuri. Pertanto, l‘interpretazione è: a. mero atto di conoscenza del significato => quando un testo è chiaro ed inequivoco e non vi sono dubbi circa il significato che esso incorpora; 11
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b. atto di volontà => quando un testo giuridico è oscuro od equivoco e pertanto l‘interpretazione consiste nella scelta tra più significati in competizione. Analisi: In quanto teoria del significato la seconda versione in esame sostiene: a. il significato sia talvolta precostituito all‘interpretazione e suscettibile di conoscenza, talaltra no; b. alcuni testi normativi incorporino, in virtù della loro formulazione, un significato univoco e preciso, mentre altri no. I quanto analisi del discorso degli interpreti la seconda versione sostiene che il discorso degli interpreti non abbia sempre lo stesso statuto metodologico, poiché gli enunciati interpretativi sono talvolta (di fronte a testi chiari) enunciati del linguaggio descrittivo (come tali veri o falsi) talaltra (di fronte a testi equivoci od oscuri) enunciati del linguaggio ascrittivo o decisorio (come tali né veri né falsi). Sulla teoria eclettica => conclusioni: Prima variante: a. essa tralascia interamente i problemi dell‘interpretazione in astratto ovverosia i problemi di identificazione delle norme in quanto tali o di risoluzione dell‟equivocità dei testi normativi. b. Quanto alla tesi che gli enunciati interpretativi abbiano carattere ora descrittivo, ora ascrittivo a secondo che il significato attribuito al testo sia pacifico o controverso, non si vede come tali caratteri possano dipendere dal significato che esso attribuisce al testo interpretato e non dall‘identità professionale dell‟interprete e dalle circostanze pragmatiche dell‟interpretazione. Seconda variante: 1. anche se ammette l‘equivocità dei testi normativi, mostra di credere che tale equivocità sia una proprietà oggettiva dei testi stessi e sia pertanto necessaria. Ciò asserito non è corretto in quanto l‘equivocità dei testi normativi è il prodotto non solo della loro formulazione ma anche e soprattutto di 2 altri fattori: I) la circostanza che il gioco dell‘interpretazione giuridica è un gioco non cooperativo ma conflittivo (es. gli avvocati o il p.m.); II) la circostanza che sull‘interpretazione dei testi giuridici si proiettano inevitabilmente le dottrine (dogmatiche) dei giuristi e queste sono capaci di rendere equivoco anche il più chiaro dei documenti legislativi. Per queste ragioni, tutti i documenti normativi sono potenzialmente equivoci e l‘interpretazione giudiziale esige una scelta e l‘enunciato che esprime questa scelta ha necessariamente carattere decisorio.
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III Capitolo Definire e interpretare sembrano che siano due specie di un medesimo genere: - il genere => è la determinazione del significato di espressioni in lingua; - la specie => è il tipo di espressioni in lingua cui ci si riferisce. Si parla infatti, di: a. definizione in riferimento alla determinazione del significato di singoli vocaboli e/o sintagmi; b. interpretazione in riferimento alla determinazione del significato sia di singoli vocaboli, sia di enunciati completi. Analisi del termine: definizione: esso è comunemente usato per riferirsi: 1. ad un atto di linguaggio => (c.d. definizione – processo/attività) => denotato dall‘esecuzione dell‘atto linguistico consistente nel determinare il significato di un termine o di un sintagma; 2. al prodotto dell‟atto di linguaggio => (c.d. definizione prodotto) => è il risultato/prodotto dell‘esecuzione dell‘atto di linguaggio, ossia un enunciato. Il risultato e un: enunciato definitorio Distinzioni rilevanti: I) definizioni lessicali => si definiscono tali le definizioni che descrivono il modo in cui un dato vocabolo o sintagma è effettivamente usato da qualcuno (es.: nei dizionari). Caratteristiche: Le definizioni lessicali, in quanto descrivono gli usi linguistici di qualcuno sono: enunciati fattuali => enunciati del discorso descrittivo => come tali veri o falsi. II) Definizioni stipulative => si definiscono tali le definizioni che propongono un certo vocabolo o sintagma in un modo determinato a preferenza di altri, risultando necessarie ogni qual volta si introduce nel discorso o un vocabolo nuovo o un nuovo sintagma. 13
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Caratteristiche: le definizioni stipulative, non descrivendo alcunché, sono enunciati né veri né falsi. Le definizioni stipulative si possono ulteriormente distinguere in: II. 1.) stipulazioni pure => è tale l‘attribuzione ad un vocabolo o un sintagma di un significato nuovo, che non trova alcun riscontro negli usi linguistici preesistenti; II. 2.) ridefinizioni => stante il presupposto per il quale tutti o quasi tutti i vocaboli o sintagmi di uso comune hanno un significato impreciso, costituisce ridefinizioni l‘attribuzione ad un vocabolo o sintagma in uso di un significato non ambiguo e/o meno vago. Analisi del termine interpretazione: esso è comunemente usato per riferirsi: 1. Da un lato la c.d. interpretazione attività/processo, consistente nel determinare il significato di singoli vocaboli, sintagmi, o enunciati completi; 2. Dall‘altro l‘interpretazione prodotto, riguardante il risultato o prodotto di questa attività. È possibile distinguere ulteriormente: a. l‘interpretazione cognitiva => consistente, in generale, nell‘accertare il significato/i di una data espressione. Essa, in quanto tale è atto di conoscenza (es.: giurista). In particolare può consistere a seconda dei casi: i. nel constatare le diverse interpretazioni che un certo enunciato ha ricevuto (i diversi significati che gli sono stati attribuiti); ii. nel congetturare i diversi significati possibili di un enunciato tendo conto: - delle regole della lingua; - delle tecniche interpretative; - delle tesi dogmatiche, ecc. Osservazioni: in entrambi i casi (a) e (b) l‘interpretazione cognitiva si esprime mediante enunciati del linguaggio descrittivo e come tali veri o falsi. Nessun testo normativo può dirsi provvisto di un solo significato non equivoco. Pertanto l‘interpretazione cognitiva non può che assumere la forma di una lista dei diversi significati che il testo interpretato può esprimere: ―il testo T significa S1 o S2 o S3 …‖ b. l‘interpretazione decisoria => consistente nel proporre o nel decidere di attribuire ad una data espressione un significato determinato a preferenza di altri. Essa, in quanto tale è una stipulazione : un atto di volontà (es.: l‘interpretazione giudiziale è sempre interpretazione decisoria). L‘interpretazione decisoria si esprime mediante enunciati non descrittivi ma ascrittivi, come tali né veri né falsi. L‘interpretazione decisoria si può ulteriormente distinguere in: interpretazione decisoria del primo tipo => consistente nello scegliere un significato univoco a preferenza di altri nell‘ambito di quelli ammissibili; interpretazione decisoria del primo tipo => consistente nell‘attribuire ad un testo normativo un significato nuovo, che non trova alcun riscontro negli usi linguistici esistenti e/o nelle decisioni interpretative precedenti. Osservazioni: I) l‘interpretazione decisoria presuppone l‘interpretazione cognitiva; II) l‘interpretazione cognitiva mette in luce l‘indeterminatezza dell‘ordinamento (l‘equivocità dei testi normativi), l‘interpretazione decisoria la risolve; 14
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III) IV) V)
l‘interpretazione giudiziale non è mai mera interpretazione cognitiva, è sempre interpretazione decisoria; qualunque interpretazione giudiziale consiste necessariamente nell‘attribuire un significato determinato agli enunciati proferiti dal legislatore; un enunciato interpretativo, prodotto di una interpretazione decisoria, non appartiene al discorso descrittivo e per tanto non può dirsi né vero né falso.
V Capitolo Le FONTI DEL DIRITTO sono ↓ TESTI NORMATIVI (documenti esprimenti norme)i quali sono ↓ SEQUENZA DI ENUNCIATI (disposizioni) i quali sono ↓ SEQUENZE DI PAROLE DI SENSO COMPIUTO La norma non è l‘enunciato stesso ma il suo significato estrapolato dall‘interpretazione dell‘enunciato normativo medesimo (disposizione). Pertanto: l‟interpretazione è l‟attività che consiste nel determinare il significato degli enunciati delle fonti (disposizioni) ed è dunque un‘attività che si esercita: a. su testi normativi; b. da essi (testi normativi) si ricavano le norme. In questo senso, le norme non sono l‘oggetto, ma piuttosto il prodotto dell‟interpretazione. Osservazioni: I) mai o quasi, un enunciato normativo si presenta con un significato univoco e ben definito, tutti gli enunciati si prestano ad una pluralità di interpretazioni; II) ciascuna norma è fatalmente vaga ed i suoi contorni indefiniti. A proposito dell‟equivocità normativa 15
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I testi normativi sono equivoci e l‘equivocità è fonte di dubbi e controversie interpretative. A loro volta le controversie interpretative dipendono non dalla formulazione linguistica delle disposizioni bensì da 3 fattori: I fattore => è rappresentato dal contesto in cui ciascun enunciato si colloca, in quanto se da un lato il contesto getta luce sul significato dall‘altro può anche renderlo equivoco e con esso indeterminato l‘ordinamento; difatti, il contesto stesso oltre ad esser rappresentato dagli enunciati circostanti è costituito anche dall‘intero ordinamento giuridico. (ad esempio in una norma la parola ―famiglia‖ dovrà essere intesa in riferimento al solo coniuge e ai figli, altrove comprenderà anche i genitori e i fratelli, etc…) II fattore => esso è rappresentato dalla dogmatica. Difatti gli interpreti in generale e i giudici si accostano all‘interpretazione dei testi normativi assistiti da costruzioni dogmatiche (elaborate prima e indipendentemente dall‘interpretazione di qualsivoglia enunciato normativo) destinate inevitabilmente a condizionare e ad orientare le decisione interpretative. Es.: la dottrina dei principi costituzionali supremi. III fattore => costituito dalla pluralità di tecniche interpretative. Difatti, nella maggioranza dei casi un medesimo enunciato esprime significati diversi a seconda che sia sottoposto all‘una o all‘altra tecnica interpretativa. ESEMPI DI EQUIVOCITÁ: 1) Accade che un enunciato normativo esprima alternativamente una pluralità di significati. Data una disposizione D, taluni ritengono che essa esprima la norma N1, altri che esprima invece la normaN2. L‘art. 40 Cost. dispone che ―il diritto di sciopero si esercita nell‘ambito delle leggi che lo regolano‖. Dobbiamo intendere che, in mancanza di leggi regolatrici del diritto di sciopero, tale diritto si esercita senza limiti, o invece che non si esercita affatto fino a che tali leggi non siano promulgate? 2) Si conviene che una certa disposizione D esprima una data norma N1, ma è dubbio se essa esprima anche altre norme e, in caso affermativo, quali (non c‘è un‘alternanza di significati ma un significato si aggiunge ad un altro). Innumerevoli disposizioni costituzionali fanno rinvio alla ―legge‖: dobbiamo intendere che il rinvio si riferisca alla sola legge dello Stato o anche alle leggi regionali? Alla sola legge formale o anche agli atti aventi forza di legge? 3) Si conviene che una certa disposizione esprima una data norma, ma è dubbio se la norma in questione sia defettibile, ossia soggetta ad eccezioni implicite non specificate e, in caso affermativo, quali. Una disposizione statuisce che non sono ammessi veicoli nel parco. Ebbene la norma vale anche per le autoambulanze o per le auto dei vigli del fuoco, che sono sì veicoli ma di un tipo speciale? 4) Si conviene che una data disposizione D – diciamo ―Se F1, allora G‖, dove F1 sta per una classe di fattispecie e G per la relativa conseguenza giuridica – disciplini le fattispecie F1. Alcuni tuttavia ritengono che D non disciplini alcuna fattispecie diversa da F1. Altri invece ritengono che D disciplini altresì le fattispecie F2, simili a F1 (―se F2, allora G‖). 5) Si conviene che una data disposizione D – diciamo ―Se F, allora G‖ – esprima una norma applicabile alle fattispecie F (e pertanto non alle fattispecie diverse da F); è dubbio tuttavia se se le fattispecie non-F restino prive di qualsivoglia disciplina, o se invece la disposizione in questione disciplini (tacitamente) anche le fattispecie non-F connettendo ad esse la conseguenza giuridica opposta, non-G. Dispone l‘art. 32, comma 1, Cost. ―la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti‖. Quid dei facoltosi e dei benestanti? Si può sostenere che la Costituzione nulla disponga in proposito, e
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sia dunque lacunosa, o che al contrario la Costituzione tacitamente escluda i non-indigenti dalle cure gratuite (interpretazione a contrario). 6) Si conviene che la disposizione D1 esprima la norma N! e che la disposizione D2, successiva a D1, esprima la norma N2; si conviene altresì che N2 sia in conflitto con N1. Sennonché N1 è ―speciale‖ rispetto a N2. Sicché, secondo alcuni N1 deve ritenersi abrogata in virtù del principio ―lex posterior derogat priori‖, mentre secondo altri N1 deve ritenersi vigente in virtù del principio ―lex posterior generalis non derogat priori speciali‖ (ipotesi di successione di norme. Prevale la specialità o la posteriorità? La posteriorità.). A proposito della vaghezza normativa Risolta l‘equivocità di un testo i problemi di interpretazione non sono ancora terminati, giacché all‘interprete si presentano ormai della norme, ma ogni norma ha una trama aperta (teoria dell‘open texture), ossia contorni indefiniti, sicché possono darsi casi rispetto ai quali l‘applicabilità della norma è dubbia e controvertibile. Per esempio per ―compravendita‖ s‘intende, grosso modo, lo scambio di merci contro denaro. Supponiamo che il prezzo di mercato di una data merce M sia 100. Lo scambio di M contro 100, 98 o 102 costituisce sicuramente una compravendita. Ma chiaramente lo scambio di M contro 1 non è più compravendita ma una donazione dissimulata. Quindi il problema è dove finisce la compravendita e inizia una donazione dissimulata?non si può fissare una linea di demarcazione netta tra compravendita e donazione dissimulata. Ciò è quanto dire che il termine compravendita è vago o ―open textured‖: il suo riferimento è come una trama aperta. Al centro della trama, troviamo casi evidenti di compravendita, fuori di essa troviamo casi non meno evidenti di donazioni dissimulate, ma ai margini della trama, troviamo una vasta area di ―penombra‖. La vaghezza delle espressioni usate nel linguaggio delle fonti, fa si che l‘interprete di fronte ad un caso marginale, possa decidere discrezionalmente se la fattispecie in esame debba o non debba essere inclusa nel campo di applicazione della norma in questione.
ANTINOMIE E LACUNE Si dà una antinomia ogniqualvolta un caso concreto sia suscettibile di due diverse ed opposte soluzioni. Il caso, ammettendo due soluzioni, può essere deciso indifferentemente in un modo o nell‘altro. In un ordinamento giuridico vi è una lacuna ogniqualvolta si presenti una fattispecie per la quale nessuna norma dell‘ordinamento preveda una conseguenza giuridica qualsivoglia. I problemi che nascono dalle antinomie e dalle lacune non sono propriamente problemi interpretativi in quanto si presentano ad interpretazione già avvenuta. L‘interpretazione può solo evitarle ma non risolverle. Pertanto, mentre l‘equivocità richiede una decisione interpretativa tra due o più significati in competizione e la vaghezza richiede una decisione interpretativa circa i confini del significato, la soluzione di lacune e/o antinomie richiede qualcosa di diverso. (Sul discorso delle lacune e delle antinomie si tornerà successivamente).
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VI Capitolo Il diritto presenta una duplice indeterminatezza, cui corrispondono due distinti problemi d‘interpretazione. 1) È indeterminato l‟ordinamento: a causa dell‘equivocità dei testi normativi, è dubbio quali norme appartengono ad esso. L‘indeterminatezza dell‘ordinamento solleva problemi di identificazione delle norme vigenti: Interpretazione in astratto. 2) È indeterminata ogni singola norma vigente: a causa della strutturale vaghezza del linguaggio, è dubbio quali fattispecie ricadono nel suo campo di applicazione. L‘indeterminatezza delle norme solleva problemi di sussunzione, ossia problemi di accertamento del contenuto di norme previamente identificate come vigenti: Interpretazione in concreto. Riprendendo una distinzione fatta nel cap. III pag. 16 – 17 è possibile distinguere: - l‟interpretazione cognitiva => accertamento di un significato (giurista), si esprime mediante enunciati del linguaggio descrittivo, come tali veri o falsi;
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- l‟interpretazione decisoria => decisione di un significato scartando tutti i rimanenti (giudice), l‘interpretazione decisoria presuppone logicamente l‘interpretazione cognitiva, si esprime mediante enunciati ascrittivi, come tali né veri né falsi; - l‟interpretazione creativa => essa consiste nell‘attribuire ad un enunciato un significato del tutto nuovo, non incluso nel novero dei significati accertati o accertabili in sede di interpretazione cognitiva, come tale quindi => creazione di un significato (assimilabile alla legislazione). L‟interpretazione creativa si esprime in enunciati ascrittivi e pertanto né veri né falsi. Osservazioni: l‘interpretazione di un testo normativo va tenuta distinta dall‘integrazione del diritto. i. l‘interpretazione consiste nell‘attribuire significato ad un testo normativo; ii. l‘integrazione del diritto consiste nel formulare norme inespresse, ossia che non costituiscono il significato di alcuna disposizione. Proseguendo, è opportuno distinguere tra: I) interpretazione in astratto (orientata ai testi) => consiste nel determinare quali norme un testo normativo esprima, senza riferimento ad alcun caso concreto. L‘ interpretazione in astratto può essere un‘: a. interpretazione cognitiva; b. interpretazione decisoria; c. interpretazione creativa. Osservazioni: l‘interpretazione in astratto decisoria consiste nel riformulare, nel tradurre l‘enunciato interpretato. Il risultato è un nuovo enunciato che l‘interprete assume come sinonimo dell‘enunciato interpretato. La formula standard di un enunciato interpretativo, che sia frutto di interpretazione decisoria in astratto, è: ―D significa N‖, dove D sta per disposizione e N sta per norma. interpretazione in concreto (orientata ai fatti) => consiste nell‘applicare o no ad una singola fattispecie la norma previamente individuata in sede di interpretazione in astratto. Osservazioni: 1. l‘applicazione di una norma ad una fattispecie concreta e ciò che si dice sussunzione4. 2. se l‘interpretazione in astratto mette in luce o risolve l‘equivocità dei testi normativi, l‘interpretazione in concreto riduce o risolve la vaghezza delle norme; 3. ogni interpretazione in concreto presuppone logicamente un interpretazione in astratto; 4. l‘interpretazione in concreto quando è compita da un giudice è ciò che si usa chiamare applicazione (di una norma ad un caso concreto). 5. La forma standard di un enunciato interpretativo, che sia frutto di interpretazione in concreto, è: ―la fattispecie F ricade o meno nel campo di applicazione della norma N‖. II)
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Sussumere: filos., ricondurre un concetto particolare a un concetto più generale; dir., riferire un caso specifico alla norma di legge
che lo contempla
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La distinzione sopraesposta ci introduce alla comprensione di un‘ulteriore distinzione riferita a specifici soggetti interpretanti: I) interpretazione dottrinale => è quella compita dai giuristi accademici nei loro studi. Essa può essere: a. essenzialmente interpretazione in astratto; b. indifferentemente: - attività cognitiva => di accertamento contribuendo alla conoscenza del diritto; - attività decisoria => c.d. politica del diritto tesa a proporre (e influenzare) gli organi dell‘applicazione. II) interpretazione giudiziale => è quella compiuta dai giudici nell‘esercizio della funzione giurisdizionale. Essa è: a. sempre interpretazione in concreto; b. sempre interpretazione decisoria. c. l‘interpretazione giudiziale ha effetti giuridici per le parti, i loro eredi o aventi causa; d. efficace solo inter partes => ciò significa che: - nessuna decisione giurisdizionale può produrre effetti in capo a terzi estranei al processo; - nessun giudice, in linea di principio, ha l‘obbligo di conformarsi alle scelte interpretative di alcun altro giudice. III) interpretazione autentica => è l‘interpretazione della legge compiuta dallo stesso legislatore mediante una legge successiva, il cui contenuto sia appunto la determinazione del significato di una legge precedente. Essa è: a. un‘interpretazione in astratto; b. un interpretazione decisoria, c. contenuta in una legge (per tanto) è vincolante; d. efficace erga omnes; Osservazioni: le leggi di interpretazione autentica non innovano il diritto ma si limitano a determinare il significato di una legge preesistente quindi sono semplicemente ricognitive di norme preesistenti. Per questa ragione esse sono comunemente ritenute retroattive e cioè perché si suppone che la legge avesse già il significato che ora il legislatore le attribuisce. Quesiti: I) come identificare una legge interpretativa e come distinguerla da una innovativa (una legge cioè che modifica il diritto vigente)? Questa domanda ammette almeno 2 risposte. a. Le leggi interpretative si identificano sulla base di indizi puramente testuali quali il titolo della legge (es.: Legge di interpretazione autentica); b. le leggi interpretative sarebbero identificabili precisamente per la circostanza che esse dettano non propriamente norme ma meta–norme (o norme di II grado) che hanno ad oggetto solo il significato delle disposizioni interpretate. Osservazione: 20
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una legge interpretativa è tale a condizione che non sia per sé idonea a risolvere controversie, se non in combinazione con la disposizione interpretata, con la quale si salda così da formare un unico testo normativo. II) In che senso diciamo autentica l‘interpretazione della legge compiuta mediante legge successiva? Ciò viene espresso per indicare il fatto che la legge interpretativa sia, in quanto legge, non diversamente dalla legge interpretata, vincolante per gli organi dell‘applicazione. Da ciò risulta chiaro che l‘interpretazione autentica legislativa non ha proprio nulla di autentico e la sua pretesa retroattività non ha alcuna plausibile giustificazione. III) la legge interpretativa costituisce genuino atto di interpretazione della legge autenticamente interpretata? c. Chi ritiene di no adduce, come motivazione, che una legge consta di disposizioni e non di norme. È di tutta evidenza che, operando su norme mediante disposizione, il legislatore non fa opera d‘interpretazione, bensì di posizione di nuovo diritto scritto; d. chi ritiene di si sostiene che. È vera la premessa che il legislatore non può fare altro che disposizioni e le leggi interpretative constano appunto di disposizioni, ma la conclusione non può essere condivisa perché se è vera la premessa è ugualmente vero che anche l‘interpretazione si esprime attraverso enunciati in lingua (disposizioni). Osservazioni punto (b): l‘interpretazione di un enunciato normativo consiste nel formulare un enunciato che si assume sinonimo dell‘enunciato interpreto => l‘enunciato interpretante (prodotto dell‘attività interpretativa) non è che una riformulazione dell‘enunciato interpretato IV) l‘interpretazione autentica ha natura dichiarativa/ricognitive o decisoria e innovativa del diritto vigente? I) L‘interpretazione autentica costituisce atto di decisione e non di conoscenza; II) è possibile introdurre una distinzione tra varie ipotesi: a. esiste una cornice di molteplici interpretazioni giurisprudenziali preesistenti e divergenti e la legge interpretativa sceglie un significato nell‘ambito di questa cornice => in questo caso l‘interpretazione autentica è genuina interpretazione e non innova il diritto; b. esiste una cornice di molteplici interpretazioni giurisprudenziali preesistenti, ma la legge interpretativa sceglie un significato al di fuori di questa cornice => in questo caso vi è creazione di una nuova norma (legislazione innovativa); c. non vi è affatto una molteplicità di interpretazioni divergenti ma vi è invece diritto vivente (diritto vivente => ossia una ‗interpretazione giudiziale consolidata) e la legge interpretativa impone un significato diverso da quello ormai accettato => in questo caso vi è creazione di una nuova norma (legislazione innovativa). Osservazione sub (b) e (c): non vi è nulla di sbagliato nell‘innovare il diritto ma in queste circostanze la forma della legge interpretativa e la sua conseguente retroattività non ha alcuna plausibile giustificazione. V) secondo una parte minoritaria della dottrina la legge interpretativa e la legge interpretata sono sempre incompatibili, e pertanto l‘una abroga tacitamente l‘altra in virtù del criterio cronologico 21
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di soluzione delle antinomie. Ciò nonostante è opportuno distinguere i diversi effetti della legge interpretativa sulla legge interpretata in ragione delle operazioni compiute dal legislatore: 1. nell‘ipotesi in cui il legislatore si limi a scegliere un significato nell‘ambito dell‘interpretazione già presenti in giurisprudenza (genuina interpretazione) non pare che la legge interpretativa sia incompatibile con la legge interpretata => se non vi è incompatibilità non vi è neppure abrogazione tacita; 2. nelle ipotesi rimanenti, in cui il legislatore attribuisce alla legge interpretata un significato che cade fuori dalla cornice, o un significato difforme dal diritto vivente, l‘incompatibilità è evidente => l‘abrogazione – sostituzione della legge precedente dovrebbe essere la fatele conseguenza VI) L‘interpretazione autentica può essere giustificata con due diversi argomenti. a. Il primo fa riferimento alla dottrina democratica della sovranità popolare => l‘interpretazione autentica consente l‘effettiva prevalenza del potere normativo sul potere interpretativo e per tanto consenta la perfetta corrispondenza con il principio che: il diritto è fatto dal legislatore, il suo contenuto è quello da esso stabilito (giudice soggetto alla legge art. 101, comma 2, cost.); b. Il secondo fa riferimento alla dottrina del bilanciamento dei poteri => attraverso le leggi interpretative il potere legislativo controlla e controbilancia il potere giurisdizionale. VII) qual è il rapporto legislatore – giudice? Il principio di separazione dei poteri implica: 1. che sia vietato al legislatore l‘interpretazione in concerto con efficacia inter partes; 2. che sia vietato al giudice interpretare in astratto con efficacia erga omnes. Il vocabolo ―interpretazione‖ può essere usato per riferirsi sia ad un‘attività, sia al suo prodotto. Rispetto al prodotto dell‟interpretazione (che altro non è che il significato attribuito al testo interpretato) distinguiamo: a. il significato oggettivo => per il quale si intende il contenuto concettuale di un testo per sé preso, facendo astrazione da ogni altra considerazione (il significato testuale, letterale); b. il significato soggettivo => per il quale si intende la soggettiva intenzione del legislatore (il significato intenzionale) a. il significato originario => che è quello che un testo normativo ha al momento della sua entrata in vigore => questa è la c.d. interpretazione originalista; b. il significato odierno => che è quello che un testo normativo assume nel momento in cui viene interpretato e/o applicato => questa è la c.d. interpretazione evolutiva. Capitolo VII È bene distinguere: 1. disposizione => intesa come ogni enunciato normativo contenuto in una fonte del diritto; 2. norma => intesa come il contenuto di significato della disposizione; 3. interpretazione => essa è l‘operazione intellettuale che conduce dall‟enunciato al significato. ↓ ↓ 22
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(disposizione) (norma) FONTE DEL DIRITTO ↓ DISPOSIZIONE (contenuta in una fonte del diritto ed oggetto dell‘interpretazione) ↓ NORMA (contenuto di significato della disposizione e risultato dell‘interpretazione) ↓ INTERPRETAZIONE (operazione intellettuale: disposizione => norma) Osservazione: è falso che ad ogni disposizione corrisponda una ed una sola norma e viceversa. Distinzioni nel rapporto disposizione – norma: I) disposizioni esprimenti più norme => molte disposizioni esprimono non già una solo norma, bensì una molteplicità di norme congiunte => 1 D + N (congiunte). Ad esempio l‘art 25, comma 2, Cost. prescrivendo ―nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso‖ esprime sia il principio della riserve di legge assoluta in materia penale, sia il principio di irretroattività della legge penale; II) disposizioni ambigue => molte disposizioni sono ambigue e dunque possono essere interpretate in modo diversi. Ad ogni interpretazione (della disposizione) corrisponde una diversa norma => 1 D + N (disgiunte). Ad esempio la disposizione che stabilisce che ―non può essere depositata richiesta di referendum abrogativo nell‘anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere‖può essere intesa alternativamente: o nel senso che la richiesta di referendum non può essere depositata nell‘anno solare anteriore alla scadenza di una Camera, o nel senso che la richiesta di referendum non può essere depositata nei 365 g. antecedenti la scadenza; III) disposizioni sinonime o parzialmente => può accadere che due disposizione abbiano il medesimo significato => 2 D = 1 N, o che siano parzialmente sinonime nel senso che ciascuna di esse esprime una pluralità di norme tale che una o più norme espresse dalla prima disposizione siano anche espresse dalla seconda. Ad esempio la norma secondo cui gli atti governativi che hanno valore o forza di legge devono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio è espressa sia dall‘art. 89, comma 2, Cost. sia dalla l. n°400/‘88; IV) norme ricavate da più disposizioni => accade che una norma sia il prodotto di una interpretazione effettuata su una pluralità di disposizioni combinate e ciò porta il nome di combinato disposto. Ad esempio la norma secondo cui se qualcuno, non commettendo un reato, cagiona ad altri un danno ingiusto che non abbia carattere non patrimoniale, allora costui deve risarcire il danno, si ricava dal combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c. e 185 c.p. ; V) disposizioni senza norme => può dirsi che una disposizione non esprima alcuna norma in due sensi: a. o che è completamente priva di qualsivoglia significato normativo. Ad esemp 23
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a. b. 1. 2.
b. io un‘invocazione alla divinità; c. o che il suo contenuto normativo (se sussiste) non è suscettibile di identificazione in sede interpretativa. VI) Norme prive di disposizione => sono prive di disposizione: le norme di fonte consuetudinaria; ogni norma che non possa essere riferita ad una precisa disposizione come suo significato essendo meramente implicita o inespressa. Per tanto distinguiamo: norme espresse => è ogni norma che possa essere imputata ad una precisa disposizione come suo significato; norme inespresse => è ogni norma di cui non si possa dire che costituisce il significato di una determinata disposizione.
Osservazione: ogni norma inespressa è ricavata da una o più norme espresse mediate un ragionamento in cui: le premesse => norme espresse le conclusioni => norme inespresse. Ma se ogni norma inespressa è frutto di un ragionamento occorre distinguere 4 ragionamenti le cui conclusioni sono, per l‘appunto, norme inespresse. I)
ragionamento => vi sono norme inespresse ricavate da norme espresse mediante ragionamenti deduttivi in cui le premesse sono norme espresse. Ad esempio data una norma espressa N1 che statuisce ―i maggiorenni hanno diritto di voto‖, e un‘altra norma espressa N2 che statuisce ― i diciottenni sono maggiorenni‖, si può deduttivamente inferire la norma inespressa N3 ―i diciottenni hanno diritto di voto‖; osservazione => le norme inespresse del I rag. possono essere considerate implicite in senso stretto (cioè in senso logico) sebbene non formulate. II) ragionamento => vi sono norme inespresse ricavate da norme espresse mediante ragionamenti deduttivi in cui le premesse sono enunciati interpretativi come definizioni di termini usati nella formulazione di norme espresse. Ad esempio una norma espressa statuisce che ―contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinnanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (art. 113 Cost.)‖. Ebbene, chi, da questa norma, volesse trarre la conclusione che è ammessa tutela giurisdizionale non solo per i provvedimenti della p.a. ma anche per i regolamenti, dovrebbe aggiungere la premessa che per ―atti amministrativi‖ deve intendersi qualunque atto proveniente dalla p.a. Siffatta premessa costituisce l‘interpretazione del sintagma ―atti amministrativi‖: essa è dunque un enunciato interpretativo; osservazione => le norme inespresse del II rag. sono il prodotto di una combinazione tra deduzione logica e interpretazione. III) ragionamento => vi sono norme inespresse che sono il frutto di ragionamenti tra le cui premesse figurano enunciati che sono tesi dogmatiche costruite previamente ed indipendentemente dall‘interpretazione di qualsiasi enunciato normativo. Ad esempio la Costituzione esige che il Governo abbia la fiducia delle Camere, la Costituzione ha dunque instaurato un governo parlamentare, nel governo parlamentare il Capo dello Stato ha solo funzioni di garanzia costituzionale pertanto non può rifiutare l‘emanazione degli atti deliberati dal Governo se non quando si tratti di atti palesemente incostituzionali;
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osservazione => le norme inespresse del III rag. sono il prodotto di una combinazione tra interpretazione e dogmatica. IV) ragionamento => vi sono norme inespresse che sono ricavate a partire da norme espresse secondo schemi di ragionamento non deduttivi (es.: l‘argomento analogico; l‘argomento a contrario). Ad esempio una certa disposizione di legge impone un obbligo ai cittadini, argomentando a contrario si può sostenere che la disposizione in questione esclude gli stranieri e gli apolidi dalla soggezione a tale obbligo. osservazione => le norme inespresse del IV rag. sono il frutto di creazione del diritto da parte degli interpreti.
VIII Capitolo 25
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Nel complesso di questa esposizione intendiamo definire il ragionamento come una sequenza di enunciati uno dei quali svolga la funzione di tesi (conclusione) e i rimanenti svolgano la funzione di ragioni in favore di esso (premesse). Ma con ragionamento si può intendere anche il processo mentale attraverso cui si perviene ad una conclusione o decisione. Tipi di ragionamento I) ragionamenti aletici (o teorici) => ragionamenti in cui le premesse e Criterio di conclusioni sono tutti enunciati del discorso conoscitivo o descrittivo e come classificazione attinente agli elementi tali veri o falsi; che compongono un II) ragionamenti normativi (o pratici) => è un ragionamento la cui conclusione è ragionamento. una norma (enunciato prescrittivo o direttivo) come tale né vera né falsa. Osservazione: il ragionamento giuridico è un ragionamento normativo caratterizzato dal fatto che la conclusione è una norma giuridica. Criterio di classificazione attinente alla struttura logica del ragionamento.
III) ragionamento deduttivi => ha struttura deduttiva quel ragionamento nel quale la conclusione è logicamente implicita nelle premesse IV) ragionamenti non deduttivi => sono ragionamenti di cui si può rifiutare la conclusione, pur accettando le premesse (pongono dubbi). Le premesse non garantiscono la conclusione.
Combinazione tra i primi 4 tipi di ragionamento: 1. un ragionamento aletico (aletico deriva dal greco e significa verità) è logicamente valido allorché ha carattere deduttivo: se le premesse sono vere, allora, necessariamente, anche la conclusione è vera; 2. un ragionamento normativo non è logicamente valido e pertanto non ha carattere deduttivo in quanto esso essendo un enunciato prescrittivo o direttivo, non è né vero né falso (un rag. normativo è composto da norme le quali non hanno affatto valori di verità: non sono né vere né false) e, pertanto ancora, non possono esser applicate le stesse condizioni di validità dei ragionamenti aletici (che sono veri o falsi, e tali condizioni possono essere accertate mediante deduzione). Osservazioni: vi è, a proposito del ragionamento normativo, una consapevolezza e cioè: se da un alto, nonostante la difficoltà sopra indicata, sembra ovvio che siano possibili validi ragionamenti normativi dall‘altro tale consapevolezza intuitiva non pare essere una risposta sufficiente. A tal riguardo si pone il c.d. dilemma di Jørgensen; esso si fonda su questa assunto: se le relazioni di implicazione logica si definiscono in termini di verità, allora non possono esservi relazioni di implicazione logica tra norme (poiché le norme essendo enunciati prescrittivi o direttivi, come tali sono né veri né falsi). Il dilemma di Jørgensen ammette diverse risposte: I) i ragionamenti normativi sono perfettamente possibili in quanto le norme hanno valore di verità (ovvero possono esse, a dispetto di quanto si sostiene, vere o false) e il dilemma non ha ragion d‘essere, giacché nasce da un presupposto errato (es. di enunciato normativo vero: ―È vero che non si deve uccidere‖). Le norme sono vere allorché corrispondono a doveri o valori
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oggettivamente esistenti nella ―natura delle cose‖ e riconoscibili mediante l‘uso della ―retta ragione‖. Modo di vedere caratteristico del giusnaturalismo; II) i ragionamenti normativi sono frutto di illusione, di auto-inganno. Malgrado le apparenze, nessun ragionamento normativo è valido. Si assume che le norme sono fatti (accadimenti causali) e tra i fatti, al più, si instaurano relazioni causali e non certamente relazioni di implicazione logica. Ciò che chiamiamo norma è interamente riducibile o all‘atto di comando di un‘autorità normativa, o all‘atto di accettazione di un destinatario. Cosi ad esempio dal fatto che il legislatore abbia comandato la punizione di tutti gli assassini non segue che il legislatore abbia altresì comandato la punizione dell‘assassino Tizio (questo comando verrà eventualmente dal giudice). Questa seconda possibile risposta è opposta alla prima. Le norme non hanno valore cognitivo ma sono frutto di scelte, di fatti (si a da un essere a un dover essere); III) essendo le norme prive di valori di verità, per esse non si può ragionare deduttivamente. Ma se non si può ragionare con norme, si può tuttavia ragionare con proposizioni fattuali che asseriscono il soddisfacimento di norme. Osservazione: in un certo senso, la logica può applicarsi alle norme: ma solo indirettamente per il tramite di proposizioni fattuali che vertono sul loro soddisfacimento. Cosi ad esempio dalla proposizione secondo cui la norma ―gli assassini devono essere puniti‖ è adempiuta si può inferire la proposizione secondo cui la norma ―l‘assassino Tizio deve essere punito‖ è, anche essa, adempiuta. I) I componenti dei ragionamenti normativi sono enunciati deontici (ossia enunciati in termini di ―dovere‖). Siffatti enunciati tuttavia sono ambigui in quanto possono essere usati per esprimere sia norme, sia proposizioni normative (ossia proposizioni che vertono su norme). Sebbene le norme siano prive di valori di verità, non ne sono però prive le proposizioni che vertono su di esse. Ebbene nei ragionamenti normativi gli enunciati deontici esprimono proposizioni normative. Chi, ad esempio, dalla premessa che gli assassini devono essere puniti conclude che l‘assassino Tizio deve essere punito, inferisce una proposizione da un‘altra proposizione. Se la prima proposizione è vera, allora anche la seconda sarà vera. II) Ogni norma può essere ultimamente ridotta alla forma standard ―è obbligatorio che p‖ (dove p sta per proposizione): ad esempio è obbligatorio che i ladri siano puniti. Questa formulazione normativa può essere analizzata in due componenti: una qualificazione normativa di un comportamento (è obbligatorio che …) ed una descrizione del comportamento in questione (… che tutti i ladri siano puniti). La parte descrittiva è una proposizione della quale si può predicare la verità o la falsità. III) Il dominio della logica è più ampio del dominio della verità. Le norme non hanno valori di verità, ma non per queste sono prive di valori logici. Esse hanno valori logici come i valori della validità, intesa come giustizia, obbligatorietà, come forza vincolante. I valori di validità hanno un comportamento logico analogo ai valori di verità. Se di un ragionamento normativo è valida la premessa normativa, allora sarà egualmente valida la conclusione. Ragionamenti normativi invalidi: È senz‘altro invalido qualunque ragionamento la cui conclusione sia una norma, ma le cui premesse siano tutte proposizioni, e viceversa, è invalido qualunque ragionamento la cui conclusione sia una proposizione ma le cui premesse siano tutte norme. Si usa chiamare legge di Hume quella legge della logica, secondo la quale non si possono validamente inferire conclusioni normative (cioè norme) da premesse esclusivamente conoscitive (cioè proposizioni), né conclusioni conoscitive da premesse puramente normative.
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Pertanto, in un ragionamento normativo, una norma deve figurare tra le premesse, a pena di invalidità. Cosi, ad esempio, è invalido il ragionamento ―Tizio ha promesso di pagare a Caio 100 euro. Pertanto Tizio deve pagare a Caio 100 euro‖, a meno di aggiungere tra le premesse la norma ―le promesse devono essere adempiute‖ . Esistono una varietà di ragionamenti nel diritto e ciò dipende dalla varietà dei soggetti che compiono siffatti ragionamenti. Si fa riferimento ai legislatori, ai giudici e alla p.a. Tuttavia, la letteratura in tema di ragionamento giuridico è essenzialmente dedicata al ragionamento giudiziale. I ragionamenti del legislatore non sono oggetto di studio per via del fatto che la legislazione è ritenuta un‘attività ―libera nel fine‖(in pratica il legislatore non è tenuto a perseguire alcun fine in particolare). Sicché il legislatore non è tenuto nemmeno a motivare le sue decisioni. L‘assenza di studi sul ragionamento dei funzionari della p.a. è meno comprensibile. L‘attività della p.a. non è ―libera nel fine‖ ma ―discrezionale‖, essendo il fine prefissato dalla legge. L‘attività giurisdizionale è concepita come un‘attività di mera applicazione di norme generali precostituite a casi individuali. Un‘attività siffatta esige un ragionamento deduttivo (un sillogismo). Negli ordinamenti giuridici moderni, l‘attività dei giudici è retta dal principio di legalità. In virtù di tale principio, ogni decisione giurisdizionale deve essere fondata su una norma giuridica preesistente pena l‘incertezza del diritto. Per questa ragione le decisioni giurisdizionali devono essere motivate sulla base della legge e i ragionamenti compiuti per giungere ad una decisone devono essere resi pubblici. In relazione alle decisioni giurisdizionali conviene distinguere tra il processo psicologico attraverso cui il giudice perviene alla decisione ed il discorso attraverso il quale egli la argomenta o giustifica pubblicamente. Il giudice deve mostrare infatti che la sua decisone è fondata su norme giuridiche positive. Nel nostro ordinamento tutte le sentenze presentano una struttura comune: DISPOSTIVO più MOTIVAZIONE. Il contenuto del dispositivo può essere configurato come la conclusione di un ragionamento; la motivazione come l‘insieme degli argomenti addotti a giustificazione della decisone. In essa dunque è depositata il ragionamento del giudice. Nel ragionamento giudiziale, si possono distinguere due livelli di argomentazioni: I) la giustificazione interna => è costituita dall‘insieme delle premesse (che devono includere norme) per sé necessarie e sufficienti a fondare logicamente la decisione => la decisione è il dispositivo della sentenza => il dispositivo della sentenza è la conclusione del ragionamento; Osservazione: a. la giustificazione interna è sempre necessaria poiché in sua assenza la decisione sarebbe priva di fondamento e dunque arbitraria; b. la giustificazione interna ha carattere logico – deduttivo. II)
la giustificazione esterna => è costituita dall‘insieme delle ulteriori premesse che sono necessarie a fondare la scelta delle premesse, che a loro volta costituiscono giustificazione interna.
Osservazioni: a. la giustificazione esterna è necessaria se e solo se le premesse della giustificazione interna siano di fatto contestate o comunque contestabili, b. la giustificazione esterna ha carattere retorico/entimematico ovvero è basato su un sillogismo in cui le premesse non sono certe. 28
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LA GIUSTIFICAZIONE INTERNA La giustificazione interna delle decisioni giurisdizionali deve avere struttura deduttiva. Il contenuto della decisone deve essere logicamente dedotto da una norma in congiunzione con una proposizione conoscitiva. In generale, ogni norma giuridica, può essere ricostruita come un enunciato del tipo: ― Se F allora G‖ (dove F sta per una classe di fattispecie, e G per la relativa conseguenza giuridica). Per esempio ―se uccido allora obbligo di punizione‖ (art. 575 c.p.). Ebbene, l‘applicazione giudiziale di una norma generale ad un caso individuale può essere configurata come un semplice ragionamento deduttivo: Se F, allora G (premessa normativa) F (premessa conoscitiva) quindi G (conclusione deduttiva). Il carattere deduttivo dell‘argomentazione garantisce la validità logica della conclusione, ma non la sua fondatezza giuridica. La conclusione è giuridicamente fondata se la premessa normativa è una norma positiva valida, la premessa conoscitiva è una proposizione vera, la cui verità sia stata provata. LA GIUSTIFICAZIONE ESTERNA La giustificazione esterna non ha carattere logico-deduttivo. Questa consiste in 2 distinte catene di argomenti: a) insieme di argomenti addotti a sostegno delle scelta della premessa normativa; b) insieme di argomenti addotti a sostegno delle scelta della premessa conoscitiva. La giustificazione esterna della premessa normativa può sollevare 3 ordini di problemi. I) Esso attiene alla validità formale dei testi normativi (leggi, regolamenti ecc.) da cui la norma, assunta come premessa nella giustificazione interna, è ricavata. Di regola, infatti, le norme giuridiche sono ricavate, mediante interpretazione, dai testi normativi. Ma non sarebbe giustificata una decisione fondata sopra una norma ricavata da un testo normativo invalido. Generalmente parlando si può dire che un testo normativo sia valido quando sia stato prodotto: a) da un‘autorità competente; b) secondo il procedimento prescritto. II) Esso attiene all‘interpretazione dei testi normativi onde ricavarne la norma cui si da applicazione. Ciò costituisce il problema centrale della giustificazione esterna della premessa normativa e si snoda in 4 sotto-problemi: 1. raramente i testi normativi si presentano con un significato univoco e ben definito, quasi sempre sono equivoci. L‘interpretazione non è conoscenza di un significato precostituito all‘interprete, ma scelta tra una pluralità di significati possibili. L‘interpretazione giudiziale è atto di volontà e l‘interpretazione prescelta deve essere argomentata, giustificata. 2. il diritto è sovente incoerente. Difatti, accade che due norme disciplinino lo stesso caso o una stessa classe di casi, in modi difformi configurando le c.d. antinomie , e consentendo per la stessa controversia soluzioni differenti. I criteri di soluzione di quest‘ultime posso essere: 29
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a. lex superior derogat inferiori; b. lex posterior derogat priori; c. lex spcialis derogat generalis. Ma vi sono antinomie per le quali non sussiste alcun criterio di soluzione, o ne sussistono di più concorrenti e configgenti. Per questo anche la soluzione di antinomie esige argomentazione. 3. il diritto è anche lacunoso. Difatti, accade che un caso non sia disciplinato da alcuna norma o almeno da una norma espressa. Il giudice tuttavia anche in caso di una lacuna non può esimersi dal decidere la controversia ―secondo diritto‖. Ciò esige che il giudice ricavi dai testi normativi una norma implicita, inespressa. Sia l‘esistenza di una lacuna, sia la costruzione della norma inespressa idonea a colmare la lacuna esigono argomentazione. 4. inoltre occorre decidere se il caso sottoposto all‘attenzione del giudice ricada nel campo di applicazione della norma, la c.d. concretizzazione successiva all‘interpretazione testuale su norma generale e/o astratta. Anche la concretizzazione della norma richiede argomentazione. Osservazione sul punto (4): la decisione di includere un caso concreto (species) in una classe di casi (genus) é la c.d. sussunzione e costituisce la c.d. qualificazione giuridica del caso in questione. III) esso attiene alla validità materiale della norma assunta come premessa nella giustificazione interna e si atteggia diversamente a seconda che si tratta di una norma espressa o inespressa: a. validità materiale di norma espressa => la norma è materialmente valida quando non sia in contrasto con altre norme sovraordinate; b. validità materiale di norma inespressa => per essa devono essere soddisfatte le seguenti condizioni, ovvero che la norma sia ricavabile in modo persuasivo da una o più norme espresse mediate un procedimento argomentativo: 1. espressamente prescritto; o 2. consentito dal diritto stesso; 3. e/o comunemente accettato dalla cultura giuridica. La validità materiale delle norme applicate esige argomentazione almeno ogniqualvolta sia contestata da una delle parti. LA GIUSTIFICAZIONE ESTERNA DELLA PREMESSA CONOSCITIVA: si deve distinguere il ragionamento dei giudici di merito da quello dei giudici di legittimità. Nel ragionamento dei giudici di merito la premessa conoscitiva della giustificazione interna è un asserto fattuale(―Tizio ha cagionato la morte di Caio‖), assunto come vero. Due osservazioni: a- i procedimenti di accertamento fattuale impiegati da un giudice, a differenza di quelli impiegati da uno scienziato empirico, non sono interamente ―liberi‖. Sono variamente condizionati da norme giuridiche; in particolare, dalle orme che regolano la raccolta e l‘uso delle prove. b- I fatti che il giudice accerta direttamente sono solo le prove, non i fatti provati. Una prova è un fatto che induce a ritenere vero un altro fatto: quest‘ultimo è, dal giudice, non già osservato direttamente, bensì inferito dalle prove. Questa inferenza non ha carattere deduttivo: tra le due proposizioni vi è non già un nesso di implicazione logica, ma piuttosto un più debole nesso di ―congruenza narrativa‖. La congruenza somiglia alla coerenza logica, ma è diversa da essa. Mentre la coerenza è una qualità negativa (assenza 30
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di contraddizioni) la congruenza è una qualità positiva. Inoltre, mentre la coerenza è un concetto a due valori (un insieme di proposizioni o è coerente o non lo è) la congruenza è questione di grado( un insieme di proposizioni può essere meno congruente di un altro senza essere, tuttavia, incongruente). Nel ragionamento dei giudici di legittimità la premessa conoscitiva della giustificazione interna è una proposizione la quale asserisce l‘esistenza di una contraddizione, secondo i casi, tra una decisione individuale e una norma, ovvero tra due norme.
IX Capitolo Per tecnica interpretativa si intende generalmente: un procedimento che muove da una disposizione e perviene ad una norma. Il procedimento in questione può esser riguardato come: a. un procedimento mentale => ossia come un procedimento di scoperta che inizia nella mente dell‘interprete attraverso il quale si attribuisce significato ad un testo normativo; b. un procedimento discorsivo => consistente in un‘argomentazione in favore di una conclusione interpretativa che può avvenire a sua volta a livello psicologistico o analitico – linguistico. Tecniche interpretative (Il diritto è un‘attività, è un‘esperienza, è una pratica sociale in cui vi è un circolo ermeneutico. Questa pratica sociale è basata su regole che la determinano e la pratica a sua volta determina il significato delle regole). Le diverse tecniche interpretative possono essere disposte in 2 classi. La prima classe è occupata interamente dall‘interpretazione letterale, la quale può essere giustificata o facendo appello al significato comune delle parole o argomentando a contrario. La seconda classe comprende tutte le rimanenti tecniche interpretative. Tali tecniche sono riconducibili all‘argomento dell‟intenzione del legislatore che può essere usato in 2 modo distinti: a) come argomento autonomo e per sé concludente; b) come argomento ausiliario, parte di una più grande strategia argomentativa. Prima di procedere all‘analisi delle diverse tecniche interpretative è necessario fare una precisazione circa la relatività dei metodi. I metodi (o argomenti) interpretativi sono tanti e giungono a conclusioni diverse. Non esiste però una gerarchia tra questi metodi anche se generalmente viene preferita l‘interpretazione letterale rispetto agli altri metodi interpretativi.
L‟interpretazione letterale (I classe) => 5 significati: I significato: Interpretazione prima facie o “a prima vista”=> frutto di comprensione irriflessa, di intuizione linguistica dipendente dalle competenze linguistiche e dalle aspettative dell‟interprete. L‘interpretazione letterale così intesa si contrappone all‘interpretazione tutto considerato (all things considered) => frutto di problematizzazione del significato prima facie e di ulteriori riflessioni. 31
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II significato L‘interpretazione non contestuale => che si limita ad applicare le regole semantiche e sintattiche della lingua di cui si tratta riflettendo il contenuto concettuale del testo normativo, per sé preso, senza riguardo ad altri elementi; III significato L‘interpretazione non-correttiva => la quale né estende, né restringe il supposto significato naturale (oggettivo) del testo normativo, cioè quell‘interpretazione che si astiene dal restringere e/o dall‘estendere il campo di applicazione di una disposizione.
IV significato Può intendersi un‘interpretazione che si astiene dal costruire norma inespresse, norme cioè che non sono espresse dalla disposizione interpretata letteralmente. V significato In senso strettissimo per interpretazione letterale può intendersi un‘interpretazione che riproduce la disposizione interpretata, evitando di parafrasarla o riformularla con l‘aggiunta, l‘eliminazione o la sostituzione di qualunque parola. L‘interpretazione letterale si argomenta essenzialmente facendo appello o 1) al significato proprio delle parole o 2) ricorrendo all‘argomento a contrario. 1. il significato proprio delle parole => consistente nel fare appello alle regole semantiche e sintattiche della lingua o del linguaggio settoriale in cui il testo normativo è formulato; 2. l‘argomento a contrario nella sua variante interpretativa => induce ad escludere che si possa attribuire ad una data disposizione normativa un significato diverso (più ampio) da quello letterale. L‘argomento si regge sulla presunzione di una perfetta corrispondenza tra: l‘intenzione del legislatore e il testo normativo. Chi argomenta a contrario si attiene al significato naturale del testo e rifiuta di estenderlo. Supponiamo che una certa disposizione (es. art. 48 cost.) conferisca un certo diritto ai cittadini. Argomentando a contrario si sosterrà che tale disposizione conferisce il diritto solo ai cittadini e taccia sugli stranieri e gli apolidi. Da questo punto di vista manca una disposizione che conferisca il diritto agli stranieri e agli apolidi, ma altresì manca anche una norma che neghi tale diritto agli stranieri e agli apolidi. Quindi l‘argomento a contrario si risolve nella produzione di una lacuna. L‟intenzione del legislatore (II classe) QUI!! L‘argomento dell‘intenzione del legislatore può essere impiegato o come: 1) argomento autonomo 2) argomento ausiliario (serve per farci comprendere che l‘interpretazione letterale è insufficiente ma non attribuisce esso stesso significato alla norma). 1) In quanto argomento autonomo l‘intenzione del legislatore vale a sostenere direttamente una conclusione interpretativa. ―La diposizione D esprime la norma N‖ perché questa era l‘intenzione del legislatore. Di tale argomento si incontrano diverse varianti, le quali possono essere raggruppate in 3 coppie: 32
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i) volontà del legislatore vs. volontà delle legge: dove la volontà del legislatore è l‘intenzione del legislatore storico ―in carne ed ossa‖ (generalmente ci si avvale dei lavori preparatori); e la volontà della legge si identifica con la ratio legis, ossia la ragione, il motivo per cui una certa norma è stata emanata. Alcuni ritengono che sia più importante la volontà della legge che l‘intenzione del legislatore perché quest‘ultima sarebbe un qualcosa di effimero. La legge, si ritiene, sopravvive all‘intenzione del legislatore. ii) intenzione fattuale vs. intenzione controfattuale. - L‘intenzione fattuale è quella che può essere ricostruita, sulla base dei lavori preparatori, in relazione alla fattispecie che si suppone la legge abbia disciplinato. Occorre un testo non chiaro dietro al quale cerco l‘intenzione del legislatore. L‘intenzione fattuale è un argomento che serve per selezionare un significato. In pratica, è un argomento è un argomento per selezionare un significato, cioè per attribuire ad un testo normativo un significato a preferenza di altri. - L‘intenzione controfattuale è quella che si può attribuire al legislatore in relazione a fattispecie che si conviene la legge non abbia disciplinato: ―se il legislatore avesse previsto la fattispecie F , avrebbe disposto che …‖. L‘intenzione contro fattuale è una tecnica per colmare le lacune, per trovare la disciplina di fattispecie sulle quali il legislatore non ha avuto alcuna intenzione. iii) intenzione vs. scopo. - Strettamente intesa l‘intenzione del legislatore è ciò che il legislatore intendeva dire con le parole della legge. (argomento c.d. psicologico) - Latamente intesa l‘intenzione del legislatore è identificata con il suo scopo, ossia con ciò che il legislatore intendeva fare mediante la legge, gli effetti che intendeva conseguire. (argomento c.d. teleologico) 2) In quanto argomento ausiliario l‘intenzione del legislatore vale a respingere l‘interpretazione letterale in favore di un‘interpretazione diversa. Occorre integrare l‘intenzione del legislatore facendo ricorso ad altre tecniche interpretative come: l‘argomento a contrario nella sua variante produttiva, l‘argomento analogico, l‘interpretazione sistematica, l‘interpretazione adeguatrice. L‘argomento a contrario nella sua variante produttiva => essa è quella tecnica (produttiva di norme) mediante la quale, data una norma che connette una qualsivoglia conseguenza giuridica G ad una qualunque fattispecie F, si costruisce una norma implicita che riconnette una conseguenza giuridica opposta non – G alla fattispecie opposta non – F (se non-F allora non-G). In questa seconda variante il testo normativo, esprimendo sia la norma esplicita che conferisce, sia la norma inespressa che nega, è lungi dall‘essere lacunoso grazie alla formulazione di una norma inespressa che disciplina anche la fattispecie non letteralmente prevista. Es. supponiamo che una disposizione normativa (come l‘art. 48 comma I Cost.) conferisca un certo diritto D ai cittadini. Argomentando a contrario, si sosterrà che la disposizione conferisca il diritto D solo ai cittadini e, così facendo, positivamente escluda gli stranieri e gli apolidi dal godimento di tale diritto.
L‟argomento analogico => esso si fonda: a. o sull‘assunto che la formulazione legislativa non rifletta la reale volontà del legislatore; b. o sull‘assunto che il legislatore, pur non avendo contemplato una certa fattispecie, l‟avrebbe tuttavia contemplata qualora l‟avesse presa in considerazione. L‘analogia è l‘operazione che si compie risalendo da una norma espressa ad un principio in essa contenuto e dal quale è dato ridiscendere alla formulazione di una norma inespressa, quella appunto che contiene la regola del caso analogo a quello espressamente disciplinato. 33
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Naturalmente l‘argomentazione analogica, presuppone la previa identificazione della sua c.d. ratio, ovvero lo scopo per cui la norma fu disposta. Inoltre, essa può servire: 1. per dare sostegno ad una tesi strettamente interpretativa che si risolve nell‘estensione del campo di applicazione della disposizione di cui si tratta; 2. per la formulazione di una norma nuova, onde colmare una lacuna (per tanto in senso produttivo). Es. l‘art. 101 comma 2 cost. ―i giudici sono soggetti solo alla legge‖, la cui ratio è quella di salvaguardare l‘imparzialità nell‘amministrazione della giustizia, si riferisca non solo ai giudici in senso stretto, ma altresì ai magistrati del p.m. Stante le caratteristiche dell‘argomentazione analogica, si dibatte se essa coincida o no con l‘interpretazione estensiva.
L‟interpretazione estensiva => essa può consistere: a. nell‘attribuire ad un termine un significato più ampio di quello comune o prima facie così da far cadere nel campo d‘applicazione della disposizione interessata anche fattispecie che secondo l‘interpretazione letterale non vi rientrerebbero; b. nell‘attribuire ad un termine vago un significato tale da includere nel suo riferimento anche fattispecie che si situano nella ―zona di penombra‖. L‘esito di un‘interpretazione estensiva è un enunciato interpretativo della forma ―T significa SE‖, dove T è il termine interpretato, e SE o più esteso di quello ordinario, o tale da includere anche fattispecie marginali. Osservazioni: Tra l‘analogia e l‘interpretazione estensiva vi sono esiti identici, benché distinte sul piano concettuale ovvero: I) entrambe si risolvono nel connettere una conseguenza giuridica ad una fattispecie che non ricade nel significato letterale della disposizione di cui si tratta; II) non si vede che altro possa giustificare una interpretazione estensiva se non un giudizio di somiglianza tra i casi marginali o dubbi e quelli letteralmente inclusi nel campo di applicazione della norma. Per contro, l‘applicazione analogica è un atto di creazione normativa: consiste nell‘applicare una conseguenza giuridica ad una fattispecie non prevista, ancorché simile a quella prevista, e ciò costituisce per l‘apppunto creazione di una norma nuova. Finzioni giurisprudenziali => essa denota una tecnica giurisprudenziale diretta ad innovare una norma esistente, ormai percepita come ingiusta o inadeguata, così da adattarla a mutate condizioni sociali. Essa consiste nel sussumere una fattispecie sotto una norma che palesemente non sarebbe, a quella fattispecie, applicabile. Effetto => è quello di estendere ad A un trattamento (x) fino a quel momento riservato a B attraverso un intervento giurisprudenziale in assenza di un intervento legislativo (non differendo tanto dall‘applicazione analogica).
L‟argomento a fortiori (“a maggior ragione”) => esso si fonda sull‘assunto che il legislatore pur non avendo disciplinato una certa fattispecie, l‘avrebbe tuttavia disciplinata, a maggior ragione, in quel modo qualora l‘avesse presa in considerazione. Quindi anche questo argomento è uno strumento utile ad estendere il campo di applicazione di una norma 34
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oltre il suo significato letterale. Ad esempio, se ai sensi dell‘art 11. disp. prel. c.c. la legge non ha effetto retroattivo, allora – a maggior ragione – non può avere effetto retroattivo il regolamento (quindi bisogni individuare la ratio della disposizione per poter vedere se a maggio ragione può valere per un‘altra norma). Esso assume due forme diverse a seconda che sia adoperato in riferimento a: 1. posizioni soggettive vantaggiose => in esse assume la forma dell‘argomento a majori ad minus. Es.: se è consentito praticare interessi del 20 % ―a maggior ragione‖ è possibile praticarli al 10%; 2. posizioni soggettive svantaggiose => in esse assume la forma dell‘argomento a minori ad majus. Es.: se è vietato introdurre animali domestici in un locale, allora ―a maggior ragione‖ e vietato introdurre tigri. E‘ precisamente questo l‘aspetto che l‘argomento a fortiori condivide con l‘argomento a simili: entrambi presuppongono una congettura intorno alla ratio legis, ossia intorno al principio che dà giustificazione alla disposizione che si va interpretando. L‘argomento a fortiori si differenzia dall‘argomento a simili solo per il fatto che non richiede assunzioni intorno alla ―somiglianza‖ delle due fattispecie. Anche l‘argomento a fortiori, come quello analogico può essere raffigurato: sia come un argomento interpretativo, il cui esito è semplicemente l‘interpretazione (estensiva) di una posizione preesistente; sia (più plausibilmente) come un argomento ―produttivo il cui esito è la formulazione di una norma nuova.
L‟argomento della dissociazione (si tende a restringere il significato della norma )=> che si fonda su una distinzione. L‘interpretazione restrittiva consiste: a. nell‘attribuire ad un termine un significato meno esteso di quello comune o prima facie, così da escludere dal campo di applicazione della disposizione interessata fattispecie che secondo l‘interpretazione letterale vi rientrerebbero (problema dell‘equivocità); b. nell‘attribuire ad un termine vago un significato tale da escludere dal suo riferimento fattispecie che si situano nella zona di penombra (problema della vaghezza). La tecnica della ―dissociazione‖ (o della distinzione) si fonda o: a. sull‘assunto che il legislatore abbia sottinteso una certa distinzione; b. o sull‘assunto che il legislatore, pur non avendo fatto una certa distinzione, tuttavia l‘avrebbe fatta se avesse preso in considerazione il caso. Ad esempio, l‘art. 1428 c.c. dispone che, in certe condizioni, l‘errore è causa di annullamento del contratto. Il legislatore non distingue tra l‘ipotesi che l‘errore sia stato commesso da uno solo dei contraenti (errore unilaterale) o da entrambi (errore comune). La ratio della norma è la tutela della buona fede e nel caso dell‘errore comune il problema di tutela della buona fede neanche si pone. Pertanto, l‘art 1428 c.c. deve essere inteso nel senso che essa si riferisca solo all‘errore unilaterale. L‘esito di questa argomentazione è un‘interpretazione restrittiva. Così intesa infatti la disposizione si applica non all‘intera classe degli errori, ma solo alla sottoclasse degli errori unilaterali (qui si opera la dissociazione). Insomma il legislatore detta una disposizione che si applica all‘errore, senza distinguere tra diverse specie di errori; l‘interprete, al contrario, distingue là dove il legislatore non l‘ha fatto. Es.2: L‘art. 14 disp. prel. c.c. dispone che ―le leggi penali non si applicano oltre I casi ed I tempi in esse considerate‖. Ora, secondo dottrina e giurisprudenza, vi sono due modi distinti di applicare una legge penale ―oltre i casi ed i tempi‖ in essa considerati: l‘uno è l‘interpretazione ―estensiva‖, l‘altro è l‘interpretazione ―analogica‖. In verità, la distinzione, in questo caso, è assai
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speciosa. Ma, come che sia, la disposizione in esame è comunemente intesa nel senso che è vietata solo l‘interpretazione analogica, e non anche quella estensiva, delle leggi penali. In generale si può dunque dire questo: l‘argomento nella dissociazione consiste nell‘introdurre surrettiziamente nel discorso del legislatore una distinzione cui il legislatore non ha pensato affatto, in modo tale da sottoporre l‘antecedente della norme ad un‘eccezione implicita e così ridurre il campo di applicazione di una disposizione ad alcune soltanto delle fattispecie da essa previste (da essa previste, si intende, secondo un‘interpretazione letterale).
L‟interpretazione sistematica in senso lato => essa è usata per designare, non già una singola tecnica interpretativa, ma piuttosto un‘intera famiglia di tecniche interpretative diverse, il cui unico tratto comune è quello di fare appello al contesto entro cui si colloca la disposizione da interpretare e alla presunzione di coerenza (assenza di antinomie) e congruenza (assenza di disarmonie assiologiche) dell‘ordinamento giuridico. Si dice sistematica ogni interpretazione che mostri di desumere il significato di una disposizione dalla sua collocazione nel sistema del diritto. Per tanto si fa interpretazione sistematica ogni qualvolta, per decidere il signifato di una disposizione, non si guarda alla disposizione isolata, ma si guarda al contesto in cui è collocata. - Alcune tecniche appartenenti all‘interpretazione sistematica in senso lato sono: a. combinato disposto => che consiste nel combinare tra loro diversi frammenti di disposizione, così da ricavarne una norma completa detta: combinato disposto; b. sedes materiae => che si usa ogni qualvolta si adduca che una certa disposizione deve essere intesa in un dato modo in virtù della sua collocazione nel discorso legislativo. Si poggia sull‘argomento topografico (si guarda in che capo del codice si colloca la norma); c. costanza terminologica => (riferita al linguaggio legislativo) secondo la quale il legislatore impiega ciascun termine sempre con lo stesso significato e reciprocamente, quando il legislatore impieghi termini diversi, questi non possono avere un medesimo significato. Non (dovrebbero) esistere sinonimi nel linguaggio giuridico. Quindi costanza nell‘impiego del termine; d. incostanza terminologica => in opposizione alla precedente essa ritiene che ogni espressione del linguaggio legislativo riceva significato dal peculiare contesto in cui è collocata; pertanto non è detto che una medesima espressione conservi lo stesso significato al mutare del contesto; e. costruzioni dogmatiche => sempre riconducibili all‘interpretazione sistematica, quelle soluzioni interpretative che dipendono da precostituite costruzioni dogmatiche, che l‘interprete cala sui testi normativi dall‘esterno (―ab extra‖). Si assume come premessa una costruzione dogmatica; Es. Si ritiene che nel nostro ordinamento costituzionale, il governo debba godere solo della fiducia parlamentare, e non anche della fiducia del capo dello stato. Questa tesi potrebbe essere sostenuta, molto semplicemente, argomentando a contrario dall‘art. 94 comma I Cost. secondo cui ―il governo deve avere la fiducia delle due camere‖. Tuttavia la tesi in questione è solitamente argomentata sulla base della dottrina secondo cui la Costituzione configura il Presidente della Repubblica come un ―potere neutro‖ con funzioni di equilibrio tra i poteri e di garanzia della legalità costituzionale. f. prevenzione di antinomie => Sono tipici della interpretazione sistematica alcuni dei diversi procedimenti comunemente impiegati per risolvere delle antinomie. Essa avviene mediante l‘applicazione del principio: ―lex specialis derogat legi generali” oppure tramite l‘interpretazione adeguatrice; g. prevenzione e soluzione di lacune => usate per prevenire e/o colmare lacune, tra esse ricordiamo: 36
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- l‘applicazione analogica; - la costruzione e l‘uso di principi, ecc. Quindi nel caso sub f. e g. l‘interpretazione sistematica viene utilizzata per la prevenzione delle antinomie o per prevenire o risolvere lacune.
L‟interpretazione sistematica in senso stretto => essa è detta tale quando è tesa a prevenire le antinomie nell‘ambito di un singolo testo normativo, evitando di ricavare da una data disposizione (es.; l‘art. x di una certa legge) una norma che sarebbe in conflitto con un‘altra norma, previamente ricavata da un‘altra disposizione del medesimo testo normativo (es.: l‘art. y della stessa legge). Si fa interpretazione sistematica ogniqualvolta si esclude una certa attribuzione di significato che , se ammessa, renderebbe un testo normativo internamente incoerente. Es. L‘art. 95 comma II Cost. dispone che i ministri sono ―responsabili collegialmente‖ degli atti del consiglio dei ministri. La locuzione ―responsabilità collegiale, astrattamente considerata potrebbe essere intesa come riferentesi anche alla responsabilità penale. Ma questa possibilie interpretazione è esclusa dal contesto, giacché l‘art. 27 comma I cost. statuisce espressamente che la responsabilità penale può solo essere personale.
L‟interpretazione adeguatrice => è una specie del genere interpretazione sistematica latamente intesa. Essa previene le antinomie tra norme espresse da testi normativi diversi e gerarchicamente ordinati, evitando di ricavare da una data disposizione una norma che sarebbe in conflitto con un‘altra norma, previamente ricavata da una disposizione appartenente ad un testo normativo diverso e gerarchicamente superiore (si adatta il significato di una disposizione ad altre di rango superiore). Tale superiorità può essere: a. materiale => tra legge e Costituzione; b. strutturale => tra legge delega e decreto legislativo; c. assiologica => tra i principi fondamentali e le rimanenti norme.
La “reductio ad absurdum” (la tecnica della riduzione all‟assurdo)=> consistente nello scartare una certa interpretazione possibile adducendo l‘argomento che tale interpretazione darebbe luogo ad una norma assurda. Es. L‘art. 89 comma I cost., il quale esige che ogni atto del capo dello stato sia controfirmato dal ministro proponente può essere inteso nel senso che il capo dello stato non possa compiere alcun atto se non su proposta di un ministro. Ma questa interpretazione deve essere scartata, poiché sarebbe assurdo che il capo dello stato non possa compiere alcun atto di sua iniziativa, cioè senza proposta ministeriale. È appena il caso di osservare che la percezione di ciò che è assurdo e di ciò che è ragionevole è coa tuttaffatto soggettiva e, per tanto, quasi sempre controvertibile.
L‟interpretazione originalista => è quella interpretazione che attribuisce a ciascun testo normativo il suo significato originario, cioè il significato che il testo aveva al momento della sua entrata in vigore;
L‟interpretazione evolutiva => contrapposta a quella originalista, si fonda sull‘assunto che anche quando i testi normativi restino immutati, la volontà della legge sia tuttavia mutevole e continuamente si adatti alle circostanze. Questa interpretazione quindi attribuisce ai testi normativi significati nuovi adatti alle mutate circostanze. Tale interpretazione può avere esiti restrittivi o estensivi nel senso che può, a secondo dei casi, restringere o estendere il campo si applicazione delle disposizioni interpretate. 37
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Due classificazioni degli argomenti: Per chiarire meglio le tecniche interpretative esaminate, risulta utile classificarle secondo due criteri: a. Il primo criterio attiene alla distinzione tra interpretazione in astratto (identificazione della norma) e interpretazione in concreto (concretizzazione della norma, su applicazione ad un caso concreto). In linea di principio, dovrebbe essere possibile, da un lato le tecniche interpretative che servono ad identificare le norme vigenti e, dall‘altro, quelle che servono piuttosto a delimitare il campo di applicazione delle norme previamente identificate. Ma, a ben vedere, mentre vi sono talune tecniche che servono univocamente all‘identificazione delle norme tutte le rimanenti possono servire indifferentemente sia ad identificare la norma sia a concretizzarla. Parrebbero tecniche di identificazione delle norma: l‘argomento a contrario nelle due varianti interpretativa e produttiva, l‘interpretazione sistematica in senso stretto e l‘interpretazione adeguatrice. Tutte le rimanenti sono ambivalenti. b. Il secondo criterio attiene alla distinzione tra interpretazione dei testi normativi e produzione di norme nuove inespresse. In linea di principio, dovrebbe essere possibile distinguere, da un lato, le tecniche interpretative che si risolvono nell‘attribuzione di significato ad un testo normativo e, dall‘altro, quelle che si risolvono nella formulazione di una norma nuova. Ebbene, sono certamente tecniche puramente interpretative: l‘argomento del significato proprio delle parole, l‘intenzione del legislatore, l‘argomento a contrario nella sua variante interpretativa, l‘interpretazione sistematica, l‘interpretazione adeguatrice, la reductio ad absurdum, l‘interpretazione evolutiva. E‘ una tecnica sicuramente produttiva l‘argomento a contrario in fuzione prduttiva. Le tecniche restanti sono ambivalenti. Capitolo X: La disciplina positiva dell‟interpretazione Per i giuristi l‘interpretazione è un‘attività del tutto libera. Non è così per gli organi dell‘applicazione, e segnatamente per i giudici. L‘interpretazione giudiziaria dei testi normativi è disciplinata dal diritto stesso. Nel diritto vigente si incontrano diversi tipi di disposizioni che riguardano l‘interpretazione delle fonti, si possono distinguere: da un lato, quelle disposizioni che vertono direttamente sull‘interpretazione; dall‘altro, quelle che pur non disciplinandola direttamente possono in vario modo condizionarla. Si possono ulteriormente distinguere: da un lato le disposizioni che disciplinano l‘attività interpretativa in generale; dall‘altro, quelle che disciplinano l‘interpretazione di una serie circoscritta di fonti, o di un singolo documento normativo. 1. La prima classe di disposizioni si esaurisce, per quanto è a mia conoscenza, nell‘articolo 12 comma I disp. Prel. Cod. civ. (il secondo comma, a rigore, concerne non tanto l‘0interpretazione, quanto piuttosto, l‘integrazione del diritto). 2. La seconda classe di disposizioni, che riguardano l‘interpretazione di parti determinate del discorso legislativo, include principalmente: l‘art. 1 cod. pen. E l‘art. 14 disp. Prel. Cod. civ. (divieto di estensione delle norme penali e delle norme eccezionali); le leggi di interpretazione autentica; le definizioni legislative. Riguardano indirettamente l‘interpretazione tutte quelle disposizioni che, in vari modi, possono orientarla o condizionarla. Art. 12 comma I disp. Prel. Cod. Civ.: ―nell‘applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore‖. 38
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Questa disposizione disciplina quella che abbiamo convenuto di chiamare l‘interpretazione decisoria e segnatamente l‘interpretazione giudiziale. Questa prescrive ai giudici di scegliere quel significato che corrisponde: - al significato proprio delle parole (secondo la loro connessione sintattica), ossia al significato letterale; - all‘intenzione, alla volontà, del legislatore o, più in generale, dell‘autore del testo normativo in questione. Peraltro, anche l‘art. 12 comma I, come ogni altra disposizione normativa, deve essere interpretato. Tale disposizione si colloca nell‘ambito di un documento normativo intitolato ―disposizioni sulla legge in generale‖: tali disposizioni sono premesse al codice civile del 1942. Il capo secondo (nel quale si inserisce l‘art.12) si intitola ―dell‘applicazione della legge in generale‖: anche in esso si trovano disposizioni relative a fonti del diritto diverse dalla legge formale. Sembra perciò naturale intendere il vocabolo ―legge‖, nel contesto dell‘art. 12 comma I, come riferito alla legge ―in senso materiale‖: insomma, a tutte le fonti del diritto senza eccezioni. Resta dubbio, tuttavia, se il significato del vocabolo ―legge‖ possa essere esteso fino ad includere anche la Costituzione. Un secondo problema riguarda il significato dell‘espressione ―significato proprio delle parole‖. Vi sono due possibilità: - il senso che le parole assumono nel linguaggio ordinario: il significato ―comune‖; - il senso che le parole assumono nel linguaggio giuridico: il significato ―tecnico-giuridico‖. L‘alternativa si pone solo per tutti quei vocaboli che trovano uso sia nel linguaggio ordinario, sia nel linguaggio dei giuristi, e che assumono significati almeno parzialmente diversi nei due linguaggi. Un terzo problema riguarda la ―intenzione del legislatore‖. Chi è il legislatore e come accertare la sua intenzione? Nell‘ordinamento vigente quasi tutte le fonti del diritto promanano da organi collegiali. È quantomeno dubbio che ad un organo collegiale si possa riconoscere una ―intenzione‖ nello stesso senso in cui si parla di intenzione in relazione a singoli individui. Accade sovente che un testo normativo non nasca dalla volontà di un singolo soggetto, ma sia frutto di attività negoziale: tra ministri, tra maggioranza e opposizione, tra governo e parti sociali, e così via. Ad ogni modo con riferimento alla legge formale, sembra naturale pensare che l‘intenzione del legislatore debba essere desunta dallo studio dei ―lavori preparatori‖, ossia dagli atti parlamentari; con riferimento alla costituzione, pare ovvio che l‘intenzione del legislatore debba essere ricavata dagli atti dell‘assemblea costituente. Senonché in giurisprudenza è diffusa l‘idea che per intenzione del legislatore debba intendersi non già la ―soggettiva volontà dei legislatori‖, bensì una cosa misteriosa chiamata ―volontà oggettiva della legge‖. Il che non vuol dire nulla di preciso, se non questo: che per decidere il significato dei testi normativi i lavori preparatori sono irrilevanti. Un quarto problema riguarda i possibili conflitti tra significato proprio delle parole e significato desumibile dall‘intenzione del legislatore. Quando i due significati non coincidono, quale significato dobbiamo preferire? L‘art. 12 non offre una disposizione univoca a questa domanda. La giurisprudenza e la dottrina sono decisamente inclini a preferire l‘intenzione del legislatore, quale che sia il significato letterale. Ciò non porta diverse conseguenze: si corre il rischio di allontanarsi non poco dal significato letterale delle parole; l‘intenzione del legislatore è comunque nella maggior parte dei casi inconcludente (nel senso che i dubbi interpretativi più 39
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frequenti riguardano questioni che il legislatore non si è neppure posto, non avendole affatto previste). Sicché, quando gli interpreti attribuiscono al legislatore una certa intenzione, di solito non stanno constatando ciò che il legislatore ha effettivamente inteso o voluto, ma stanno congetturando ciò che avrebbe voluto se si fosse posto il problema. Come è facile capire, siffatte congetture sono prime di qualsivoglia riscontro empirico: sicché l‘una interpretazione vale l‘altra. Di qui la molteplicità di tecniche interpretative, per nulla previste dall‘ art. 12 comma I, ma comunemente usate dai giudici. La disciplina dell‟integrazione del diritto: L‘ art. 12 comma II: ―se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell‘ordinamento giuridico dello stato‖. L‘ordinamento giuridico, infatti, presenta una lacuna allorquando la controversia in esame ―non può essere decisa con una precisa disposizione‖. I metodi prescritti per colmare le lacune sono: l‘analogia e il ricorso ai principi generali. Più precisamente: -in presenza di una lacuna, si deve ricorrere, ove possibile, all‘analogia; e -quando neppure l‘analogia soccorra, si deve ricorrere ai principi generali. Tuttavia è vietata l‘applicazione analogica delle norme penali e delle norme eccezionali (art. 14 disp. Prel. Cod. civ. e l‘art. 1 cod. pen.). Si osservi che l‘art.12 comma 2 prescrive di usare le tecniche di integrazione ora menzionate non in alternativa, ma in sequenza: più precisamente, prescrive che si faccia ricorso ai principi solo quando ―il caso rimane ancora dubbio‖. E‘ pacifico, peraltro, che tra analogia strettamente intesa (c.d. analogia legis) e ricorso ai principi (c.d. analogia juris) non corra una precisa linea di confine: non foss‘altro perché come abbiamo visto l‘applicazione analogica si una norma suppone la previa individuazione del principio che ne sta a fondamento.
Divieto di applicazione analogica: La struttura dell‘argomento analogico è la seguente: a- Si assume, in primo luogo che una certa fattispecie non sia disciplinata da alcuna norma esplicita e che dunque il diritto sia prima facie lacunoso; b- Si assume in secondo luogo, che la fattispecie non disciplinata somigli sotto un profilo rilevante o essenziale ad una diversa fattispecie, essa sì regolata da una norma esplicita, la quale riconnette ad essa una certa conseguenza giuridica. c- Si conclude costruendo una norma inespressa, la quale riconnette la medesima conseguenza giurdica anche alla fattispecie non prevista. Come si vede l‘argomento analogico è un argomento ―produttivo‖ di diritto. Orbene, l‘art.14 disp. prel. cod. civ. dispone che ―le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati‖. E‘ importante sottolineare, dal momento che la cosa non è ovvia, che il divieto di analogia si risolve nell‘obbligo di argomentare a contrario. Più precisamente: di usare l‘argomento a contrario in modo non meramente interpretativo, ma produttivo. Quanto alle leggi penali: nel testo dell‘art.14 l‘espressione ―legge penale‖ si riferisce, per comune opinione della dottrina e della giurisprudenza, a quelle disposizioni che prevedono i singoli reati e stabiliscono le pene relative, o che comunque restringono la sfera della libertà individuale. 40
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Il divieto di applicazione analogica non riguarda invece le disposizioni che esprimono norme ―di favore‖ per l‘imputato. Si noti che l‘applicazione analogica delle leggi penali è altresì vietata dall‘art. 1 c.p. Ma in verità, il divieto di analogia in diritto penale, benché espressamente statuito nei codici civile e panale fascisti, deve ormai ritenersi implicitamente costituzionalizzato nell‘art.25 comma 2 cost (e forse anche nell‘art.13 comma 2) sottoforma di principio di tassatività dei reati e delle pene. Quanto alle leggi eccezionali: secondo l‘opinione prevalente, si deve considerare eccezionale ogni norma che non sia riconducibile ai principi generali o fondamentali dell‘ordinamento giuridico ma che anzi faccia eccezione ai principi o sia in contrasto con essi. Questa tesi da fondamento a quel modo di vedere, assai diffuso, secondo il quale le norme eccezionali non sottendono a loro volta principi, sicché non solo è preclusa la loro applicazione analogica, ma non è neppure ammesso usarle per costruire principi generali impliciti. Principi generali (cenno e rinvio): L‘espressione ―principi generali dell‘ordinamento giuridico dello stato‖, che compare nell‘articolo 12 comma 2, richiede qualche parola di commento. Per apprezzarne la peculiarità, occorre confrontarla con l‘analoga disposizione premessa al c.c. del 19865 (art.3 comma 2) che così recitava: ―qualora una controversia non si possa decidere con una precisa disposizione di legge, si deciderà secondo i principi generali del diritto. Orbene, vigente il c.c. del 1965, la disposizione ora citata era stata intesa da una parte della dottrina come un rinvio ai principi non già dell‘ordinamento positivo vigente, bensì del diritto naturale. Per contro, l‘espressione usata dal legislatore del c.c. del 1942, per comune opinione della dottrina (e secondo quanto risulta del resto da i lavori preparatori del c.c. stesso) è inteso a precludere al giudice ogni forma di eterointegrazione del diritto lacunoso. Il giudice, in altre parole, non è autorizzato a colmare le lacune facendo ricorso al c.d. ―diritto naturale‖ ossia a principi di giustizia non positivizzati nella legislazione vigente. Insomma, la forumla dell‘art.12 comma 2 si riferisce principi di diritto positivo e ad essi solo. Si pone dunque il problema di distinguere i principi di diritto positivo dai principi che positivi non sono. Sono principi di diritto positivo tutti e solo quelli che sono o direttamente espressi o, comunque, sebbene inespressi, persuasivamente desumibili da disposizioni positivamente formulate nelle fonti del diritto vigente. Il che è quanto dire che il giudice nel dare applicazione ad un ―principio generale, ai sensi dell‘art.12 comma 2, deve mostrare in modo persuasivo che il principio in questione è riconducibile ad una disposizione positiva valida come suo significato o come suo implicito fondamento.
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CAP XI Norme vs. principi — In dottrina si usa distinguere tra norme particolari o specifiche e principi generali e/o fondamentali. L‘ari. 117, comma 3, cost. dispone che « Nelle materie cli legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato ». Bisogna distinguere tra principi espressi (quelli che risultano da « leggi che espressamente il stabiliscono») e principi inespressi (quelli che appunto non sono espressamente stabiliti da leggi ma che tuttavia « si desumono » da leggi). L‘art. 12, comma 2, disp. prel. cod. civ. dispone che « se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione si decide secondo i principi generali dell‘ordinamento giuridico dello Stato». Occorre prendere atto che non vi è, nell‘uso comune, un solo concetto di principio.
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I principi sono norme ―a fattispecie aperta‖ e/o ―norme defettibili‖ La fattispecie (l‘antecedente) di una norma è ―chiusa‖ allorché la norma enumera esaustivamente sia i fatti in presenza dei quali si produce la conseguenza giuridica che essa stessa dispone, sia le eventuali eccezioni, ossia i fatti in presenza dei quali la conseguenza giuridica non si produce. La fattispecie (l‘antecedente) di una norma è ―aperta‖ allorché la norma non enumera esaustivamente i farti in presenza dei quali si produce la relativa conseguenza, ovvero non enumera esaustivamente le eccezioni in presenza delle quali la conseguenza non si produce. Una norma è ―indefettibile‖ allorché non ammette eccezioni o, per meglio dire, non ammette altre eccezioni se non quelle espressamente statuite dalla norma stessa o da altre norme dell‘ordinamento. Una norma è ―defettibile‖ allorché ammette eccezioni implicite, non statuite dalla norma in questione, né da alcuna altra norma dell‘ordinamento, e pertanto del tutto indeterminate. Esempio. L‘art. 3, comma 1, cost. — «Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» — ammette due distinte interpretazioni: può essere inteso alternativamente come a) norma specifica, a fattispecie chiusa, o come b) norma defettibile, a fattispecie aperta ossia come principio. a) Nella prima interpretazione, la disposizione esprime la norma seguente: se una legge distingue tra cittadini secondo il sesso, lii razza, etc. (fattispecie), allora essa è costituzionalmente illegittima (conseguenza giuridica). Per un verso, una norma siffatta non ammette eccezioni: è escluso che una legge, la quale discrimini secondo il sesso, la razza, etc., possa mai essere conforme a costituzione. Per un altro verso, una norma siffatta ha una fattispecie chiusa: è escluso che (ai sensi di questa norma) una legge possa essere costituzionalmente illegittima qualora discrimini per ragioni diverse dal sesso, dalla razza, etc.[se si discrimina in un diverso campo la legge quindi sarebbe valida] b) Nella seconda interpretazione, la stessa disposizione esprime un generico principio di eguaglianza, che si usa formulare cosi: i casi eguali devono essere trattati in modo eguale, i casi diversi devono essere trattati in modo diverso.[spirito della norma] Per un verso, questo principio ammette eccezioni: non è affatto escluso che una legge possa essere costituzionalmente legittima pur discriminando tra cittadini, ad esempio, secondo il sesso (malgrado l‘identico sesso, le situazioni possono ben essere ―oggettivamente‖ diverse e, per l‘appunto il legislatore deve trattare in modo diverso situazioni oggettivamente diverse). Per un altro verso, questo principio ha una fattispecie aperta: non è affatto escluso che una legge possa essere costituzionalmente illegittima perché discrimina secondo criteri diversi dal sesso, dalla razza, etc. Secondo un diverso modo di vedere, i principi sono norme ―generiche‖ (a), le quali: (i) esigono l‘emanazione di altre norme che diano loro attuazione o concretizzazione; ma (ii) possono essere attuate e concretizzate in molti modi diversi e alternativi. esempio. L‘art. 139 casi. dispone che la ―forma repubblicana‖ dello stato non può essere oggetto di revisione costituzionale. Ciò che l‘art. 139 cost. vieta è alterare o sopprimere principi che sottostanno alle due norme in questione: ossia il principio della elettività del capo dello Stato e il principio della temporaneità del suo mandato. Altrimenti non ci troveremmo più nella forma repubblicana. Si noti che appartengono alla classe delle norme ―generiche‖ anche le norme ―ideologiche‖ quelle norme, cioè, che esprimono solennemente un valore, di cui raccomandano la realizzazione, 43
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ovvero indicano un Erie da perseguire. Ne sono esempi paradigmatici le numerose norme ―programmatiche‖ di cui è affollata la costituzione: art. 3, comma 2; art. 4, comma 1; art. 5; art. 6; art. 31; art. 32, comma 1. Secondo un modo di vedere ancora diverso, principi si distinguono dalle norme specifiche non per la «posizione» che occupano nell‘ordinamento giuridico, o in qualche suo particolare settore. I principi sono norme «fondamentali». Ciò in un duplice senso. a) in primo luogo, i principi sono norme ―fondamentali‖ perché danno fondamento e/o giustificazione ad altre norme. Es. Ogni complesso di norme presuppone e sottintende dei valori, delle scelte politiche caratterizzanti, delle idee di giustizia: per esempio, la divisione dei poteri, l‘eguaglianza tra i cittadini, la pace tra le nazioni, la c. d. certezza del diritto. b In secondo luogo, i principi sono norme ―fondamentali‖ nel senso che non richiedono fondamento o giustificazione poiché sono percepiti come ovvi, autoevidenti, o come intrinsecamente giusti. Insomma, i principi sono norme che, agli occhi di chi parla, rivestono una speciale ―importanza‖. Esempio: in diritto costituzionale, principio della sovranità popolare; principio della divisione dei poteri; in diritto civile, principio dell‘autonomia privata; in diritto penale, principio ―nullum crimen, nulla poena, sine lege‖. Classificazione dei principi: I principi costituiscono una categoria eterogenea sotto diversi profili. In primo luogo, occorre distinguere tra i principi di rango costituzionale e quelli di rango semplicemente legislativo. I principi costituzionali sono assolutamente vincolanti per il legislatore (es. principio di irretroattività in materia penale: art. 25, comma 2, cost.); mentre i principi legislativi possono essere, dalla legge stessa, derogati o abrogati ( principio di irretroattività fuori della materia penale: art. 11, comma 1, disp. prel. cod. civ.). Peraltro, la Corte costituzionale ritiene che, nell‘ambito dei principi costituzionali, ve ne siano alcuni, i c.d. principi ―supremi‖ dell‘ordinamento, che non possono essere derogati, abrogati, o sovvertiti in alcun modo (legittimo) — neppure dalla legge costituzionale — e che, pertanto, sono in un certo senso ―sovra-costituzionali‖. In secondo luogo, occorre distinguere tra i principi che abbracciano l‘intero ordinamento (principi generali in senso stretto) e quelli che riguardano solo un suo specifico settore o, addirittura, una singola materia (principi settoriali). I principi generali in senso stretto, per lo più, sono al tempo stesso principi costituzionali. Es. eguaglianza, libertà personale. Ma non mancano principi generali di rango semplicemente legislativo: ad esempio, il principio di irretroattività fuori della materia penale. Tra principi settoriali ve ne sono alcuni di rango costituzionale, altri di rango legislativo. Ad esempio: in diritto amministrativo, ha rango costituzionale il principio di buon andamento e imparzialità dell‘amministrazione (art. 97, comma I, cost.), mentre ha rango legislativo il principio del giusto procedimento. In terzo luogo, occorre distinguere tra principi espressi e quelli inespressi o impliciti. Principi espressi sono quelli che sono esplicitamente formulari in un‘ apposita disposizione normativa (costituzionale o legislativa), dallo quale possono essere ricavati (come qualsiasi altra norma) mediante interpretazione. 44
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Principi inespressi sono quelli « privi di disposizione » ma elaborati o ―costruiti‖ dagli interpreti. I principi inespressi sono frutto non di interpretazione ma di integrazione del diritto ad opera degli interpreti. Ad esempio: in diritto civile, è espresso il principio dell‘autonomia privata; mentre è inespresso il principio di tutela dell‘affidamento, che si desume dalle disposizioni sull‘errore quale causa di annullamento del contratto. Riscontriamo almeno tre diverse tecniche di costruzione di principi inespressi. a) Una prima tecnica di costruzione consiste nella ―induzione‖ di norme generali — mediante astrazione, generalizzazione — a partire da norme particolari. Si tratta di un procedimento altamente discrezionale. ―Se A e B e C, allora Z‖. Un esempio: dagli artt. 1573 cod. civ. (la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i trent‘anni), 2097 cod. civ. (il contatto di lavoro non può essere stipulato per una durata superiore cinque o dieci anni), ecc., la giurisprudenza ricava il principio secondo cui i rapporti obbligatori devono avere durata limitata. b) Una seconda tecnica di costruzione consiste nell‘avanzare congetture intorno alle ragioni — agli scopi, alle intenzioni, ai valori — del legislatore. E ciò che si fa ogniqualvolta si desume da una norma (o da un complesso di norme) la sua ratio. Siffatte congetture sono ovviamente discrezionali, e dipendono da valutazioni. Ad esempio, la norma (costituzionale) che richiede la controfirma ministeriale quale condizione di validità di tutti gli atti presidenziali può essere ricondotta indifferentemente ad almeno due scopi distinti: affrancare il Capo dello stato da ogni responsabilità giuridica e politica, oppure garantire un controllo governativo sugli atti del Presidente. e) Una terza tecnica di costruzione consiste: per un vero nell‘elaborare una norma implicita che si suppone strumentale all‘attuazione di un principio (previamente riconosciuto come tale); e, per un altro verso, nell‘elevare poi al rango di principio la norma implicita cosi costruita. L‘uso dei principi nella interpretazione del diritto. — I principi, soprattutto quelli di rango costituzionale, sono impiegati in genere per giustificare una interpretazione ―adeguatrice‖. Poniamo che una disposizione ammetta due confliggenti interpretazioni, N1 e N2 tali che N1 sia conforme a un principio e N2 sia in contrasto con esso. Ebbene, si fa interpretazione adeguatrice interpretando la disposizione in questione nel senso N1 e respingendo il senso N2. Si ritiene, in particolare, che l‘interpretazione della legge, ove possibile, debba essere adeguata ai principi costituzionali. In generale, in sede di interpretazione, argomentare per principi consiste nel fare appello ad una norma (esplicita o implicita), di cui si assume la ―superiorità‖ rispetto alla disposizione da interpretare, onde adeguare a quella il significato di questa. L‘uso dei principi nella integrazione del diritto. — L‘art. 12, comma 2, disp. prel. cod. civ dispone: « Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell‘ordinamento giuridico dello Stato ». I principi, dunque, sono qui richiamati quali strumenti di integrazione del diritto in presenza di lacune; ad essi il giudice è autorizzato a fare ricorso dopo avere inutilmente esperito l‘argomento analogico. 45
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Peraltro, generalmente parlando, i principi non sono per sé idonei ad offrire la soluzione di specifiche controversie, per lo più essi richiedono ―concretizzazione‖. La costruzione di questa norma specifica costituisce appunto ―concretizzazione‖ del principio. Il bilanciamento dei principi costituzionali — Può accadere che due principi entrino in conflitto. I conflitti tra principi — esempio paradigmatico: i conflitti tra principi costituzionali (cui è circoscritto il discorso che segue) — presentano generalmente tre caratteristiche. a) i conflitti tra principi costituzionali sono per lo più antinomie tra norme coeve e pariordinate nella gerarchia delle fonti. b) i conflitti tra principi sono per lo più antinomie ―in concreto‖. c) i conflitti tra principi sono per lo più antinomie del tipo parziale bilaterale. Ecco dunque che i conflitti tra principi — o almeno quelli tra principi costituzionali — non possono essere risolti con le stesse tecniche abitualmente usate per risolvere conflitti tra norme. La tecnica appropriata è quella del ―bilanciamento‖ o ―ponderazione‖ . Il bilanciamento di principi consiste nell‘istituire tra due principi confliggenti una gerarchia assiologica mobile. i) Una gerarchia assiologica è una relazione di valore istituita dall‘interprete mediante un soggettivo giudizio di valore. Istituire una gerarchia assiologica consiste nell‘accordare ad uno dei due principi confliggenti un maggior ―peso‖, ossia un maggior valore, rispetto all‘altro. Il principio dotato di maggior valore prevale, nel senso che è applicato; il principio assiologicamente inferiore soccombe — non nel senso che risulti invalido o abrogato, ma — nel senso che viene accantonato. In questo contesto, ―bilanciare‖ significa sacrificare o scartare senz‘altro un principio, applicando l‘altro. ii) Una gerarchia mobile è una relazione di valore instabile, mutevole, che vale per il caso concreto ma che potrebbe invertirsi in relazione ad un caso concreto diverso. Per istituire questa relazione gerarchica il giudice valuta il possibile impatto della loro applicazione al caso concreto. Per conseguenza, il conflitto non è risolto stabilmente, una volta per tutte; ogni soluzione del conflitto vale solo per il caso concreto. Secondo esempio: talora la Corte ha ritenuto che li principio di eguaglianza formale, di cui all‘art. 3, comma 1, cost, debba prevalere sul principio di eguaglianza sostanziale, di cui all‘art. 3, comma 2, cost.; talaltra ha ritenuto all‘opposto che il principio di eguaglianza sostanziale debba prevalere sul principio di eguaglianza formale.
XII Capitolo In dottrina si parla di lacune in riferimento ad quattro fenomeni diversi. I) lacune normative => si presentano ogni qualvolta si presenti una fattispecie per la quale nessuna norma dell‘ordinamento preveda una qualunque conseguenza giuridica; II) lacune tecniche => si presentano allorché manca, nell‘ordinamento, una norma la cui esistenza sia condizione necessaria per l‘efficacia di un‘altra norma. Ad esempio una norma prescrive la periodica convocazione di un organo, ma nessuna norma determina quale soggetto sia competente a convocarlo; 46
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III) lacune assiologiche (legate ad un giudizio di valore ) (da Rosina: create dall‗interprete) => si presentano allorché una data fattispecie è disciplinata ma in modo insoddisfacente, per tanto manca nell‘ordinamento una norma giusta. Quest‘ultima può essere identificata: a. come una norma che sia richiesta dal senso di giustizia di chi parla, es. una disposizione riconnette una qualsivoglia conseguenza giuridica alla fattispecie ―danno non patrimoniale‖ (se danno non patrimoniale, allora x). Si danno due tipi ben distinti di danni non patrimoniali: i danni morali e i danni biologici, i quali meritano discipline distinte ( è questa la tecnica della dissociazione). La disciplina in questione deve dunque essere intesa come soggetta ad una eccezione implicita :‖se danno non patrimoniale, a meno che danno biologico, allora x‖ (la disposizione esprime una norma defettibile). Sicchè la conseguenza giuridica x si applica solo ad una sottoclasse dei danni non patrimoniali: i danni morali (interpretazione restrittiva). Per conseguenza, la fattispecie ―danno biologico‖ resta priva di disciplina: l‘ordinamento è insomma lacunoso in relazione a questa fattispecie. b. come una norma la cui emanazione è richiesta da un‘altra norma. (ci sono 2 casi paradigmatici di violazione del principio di eguaglianza (art. 3, comma 1, cost.): 1) Il legislatore non ha preso in considerazione una differenza (a giudizio dell‘interprete) ―rilevante‖ tra due fattispecie, e ha dettato per esse la medesima disciplina, omettendo così di adottare una norma differenziatrice: sicchè a fattispecie ―sostanzialmente ― diverse è connessa una stessa conseguenza giuridica. 2) Il legislatore, nel disciplinare una data fattispecie, ha omesso di disciplinare nello stesso modo un‘altra fattispecie, ritenuta dall‘interprete sostanzialmente eguale alla prima: sicché manca una norma eguagliatrice (differenza ragionevole ex art. 3 Cost.) IV) lacune istituzionali => si presentano allorché in un ordinamento giuridico, qui inteso non come insieme di norme ma come complesso di istituzioni, per cause di fatto viene meno una delle istituzioni che sono essenziali al suo funzionamento. es. il Presidente della Repubblica o le Camere omettono di sostituire i giudici costituzionali. Ciò detto, al contrario di che designano le lacune, un insieme di norme privo di lacune si dice: completo. Secondo alcuni autori ogni ordinamento giuridico sarebbe un insieme di norme completo (chiuso). Questo modo di vedere è ciò che viene chiamato: dogma (verità non dimostrabile) della completezza. Quest‘ultimo è strettamente legato al liberismo giuridico (cioè alla teoria del moderno stato di diritto) il quale a sua volta è composto da alcuni principi fondamentali: a. l‘obbligo del giudice di decidere qualunque controversia a lui sottoposta. Se il diritto non fosse completo, fatalmente vi sarebbero controversie indecidibili, e pertanto il giudice non potrebbe adempiere il suo obbligo di giudicare sempre e comunque; [art. 12 disp. Prel. cc.] b. il principio di legalità della giurisdizione combinato con l‘obbligo di motivazione in virtù del quale il giudice deve motivare ogni sua decisione sulla base di una norma giuridica preesistente. Se il diritto non fosse completo, vi sarebbero controversie non decidibili sulla base di norme già date; [artt. 101, 111 cost.] c. il principio della separazione dei poteri che esclude la giurisprudenza dal novero delle fonti del diritto, monopolio del potere legislativo. Se il diritto fosse incompleto, i giudici avrebbero l‘occasione di completarlo creando nuove norme ad hoc per risolvere alcune delle controversie a loro sottoposte;[artt. 70, 101 cost.] d. il principio di certezza del diritto in virtù del quale ciascuno deve avere la possibilità di prevedere le conseguenze giuridiche delle proprie azioni e, dunque, di prevedere le decisioni
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giurisdizionali. Evidentemente non sarebbe prevedibile una decisione giurisdizionale che applicasse una norma non preesistente al giudizio; [principio della Corte Costituzionale] e. il principio di irretroattività del diritto la creazione giurisprudenziale di diritto è necessariamente una sorta di legislazione ex post facto. [e inderogabile per la legge penale] Il dogma della completezza non è del tutto fondato nel senso che gli ordinamenti possono essere anche lacunosi (la lacuna è una mancanza oggettiva, è una regola che non c‗è). Il contenuto normativo dell‘ordinamento è una variabile dipendente dell‟interpretazione (l‘individuazione di una lacuna è frutto dell‘attività interpretativa). Le lacune sono spesso presentate come un peculiare problema di interpretazione che merita alcune e complesse precisazioni: 1. l‘interpretazione può prevenire una lacuna nel senso che i testi normativi possono essere interpretati in modo tale che la lacuna neppure si presenti; 2. l‘interpretazione può anche produrre lacune nel senso che i testi normativi possono essere interpretati in modo tale che una lacuna si presenti, venga evidenziata; 3. l‘interpretazione non può colmare le lacune in quanto queste si presentano solo ad interpretazione ormai avvenuta. Per colmarla non resta che creare diritto nuovo (integrare), [l‘interpretazione creativa della disposizione non avrà efficacia erga omnes!] (interpretare significa che una disposizione di base c‘è, se invece la disposizione non esiste la lacuna allora andrà colmata con l‘integrazione del diritto: funzione creatrice). Tra le possibili tecniche interpretative idonee a produrre lacune (tecniche per produrre lacune) si possono menzionare: a. l‘argomento a contrario nella variante interpretativa => può essere utilizzato a sostegno di un‘interpretazione letterale così da escludere che la disposizione interpretata possa applicarsi a fattispecie diverse e ulteriori rispetto a quelle incluse nel suo significato letterale più immediato. Es.: se possessori di gatti allora è obbligatorio pagare l‘imposta, è escluso che l‘obbligo tributario valga anche per i possessori dei cani/tigri (fattispecie che in ipotesi sfugge da ogni fattispecie giuridica); b. l‘argomento della dissociazione => consiste nell‘introdurre una distinzione estranea alla disposizione stessa nel suo significato letterale così da sostenere che la norma si applica non a tutte le fattispecie letteralmente contemplate ma solo ad una sottoclasse di esse. Di conseguenza la sottoclasse rimanente fuoriesce dal campo di applicazione della disposizione e risulta (in ipotesi) del tutto priva di disciplina giuridica. Ad esempio, di fronte ad una disposizione che statuisce ―se possessori di gatti, allora obbligatorio pagare un imposta‖, si può argomentare che, i gatti sono di 2 specie, domestici e selvatici, e che, secondo l‘intenzione del legislatore, solo i possessori dei gatti salvatici sono soggetti all‘imposta. Con la conseguenza che la fattispecie possessori di gatti domestici risulta non disciplinata. (Lacuna assiologica). 2. tecniche per prevenire e/o colmare lacune => tra esse si possono menzionare: a. l‘argomento controfattuale (non dimostrabile dal punto di vista fattuale) del legislatore => per trovare congetturalemente la disciplina di fattispecie sulle quali il legislatore non ha avuto alcuna intenzione. Se il legislatore avesso previsto la fattispecie F, avrebbe disposto che…, b. l‘argomento a contrario nella variante produttiva => può esser utilizzato per ricavare dalla disposizione interpretata una norma implicita che connette una conseguenza giuridica (contraria) a tutte le fattispecie non letteralmente incluse nella disposizione di cui tratta. Es.: se non possessori di gatti allora non pagare un‘imposta le fattispecie non letteralmente incluse
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nella disposizione non rimarranno prive di disciplina perché ad esse verrà connessa una conseguenza giuridica opposta rispetto a quella che vale per le fattispecie letteralmente incluse. c. l‘interpretazione estensiva => si estende il significato letterale di una disposizione cos‘ da includere nel suo campo di applicazione anche fattispecie che, secondo l‘interpretazione letterale, non vi rientrerebbero. Siffatta interpretazione può essere argomentata facendo ricorso ali argomenti analogico e a fortiori. In questo modo è possibile ricondurre sotto il dominio di una norma anche fattispecie che diversamente resterebbero (in ipotesi) totalmente prive di disciplina giuridica la disposizione valevole per la fattispecie ―possessori di gatti‖ disciplina anche quelle dei possessori di cani e di tigri. d. l‘interpretazione evolutiva => si tende ad adattare vecchie disposizioni a fattispecie concrete nuovo, non incluse nel significato originario. Anche in questo modo è possibile ricondurre sotto il dominio di una norma anche fattispecie che diversamente resterebbero (in ipotesi) totalmente prive di disciplina giuridica es. oggi è abitudine avere in casa cani e tigri, quindi la disciplina che valeva per i possessori di gatti domestici vale per queste due fattispecie. Le lacune poi rivestono un ruolo importante nel modo di ragionare della Corte Costituzionale in non meno di 4 tipi di contesti: 1) L‟abrogazione => ha l‘effetto di sopprimere norme. Sicché ogni atto d‘interpretazione produce una lacuna. * lacuna apparente per abrogazione divieto penale: l‘abrogazione fa sì che il comportamento venga permesso. 2) La dichiarazione di legittimità costituzionale => ognuna di questa produce una lacuna in quanto annulla una norma e, così facendo, la sottrae all‘ordinamento, senza sostituirla in alcun modo. * lacuna apparente: è possibile che venga dichiarata illegittima una norma che aveva abrogato quella precedente che quindi torna in vigore. 3) Si usa chiamare additive quelle sentenze di accoglimento, mediante le quali la Corte annulla una disposizione ―nella parte in cui non prevede‖ una certa cosa che dovrebbe invece prevedere per essere conforme a costituzione. Es. Trattamento diverso di fattispecie uguali: la legge connette alla fattispecie F una certa conseguenza giuridica ma omette di connettere la medesima conseguenza ad una diversa fattispecie che per la Corte è simile a quella disciplinata. La omessa disciplina di una data fattispecie costituisce palesemente una lacuna assiologia. 4) si usa chiamare sostitutive quelle sentenze di accoglimento, mediante le quali la Corte annulla una disposizione ―nella parte in cui prevede x piuttosto che y‖. La Corte non si limita a dichiarare costituzionalmente illegittima una certa norma, ma contestualmente la sostituisce con una norma diversa. La Corte mentre annulla la norma incostituzionale al tempo stesso colma la lacuna che tale annullamento provocherebbe.
XIII Capitolo
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Si verifica una antinomia, ogniqualvolta due norme statuiscono per una medesima fattispecie conseguenze giuridiche tra loro incompatibili. Detto altrimenti, c‘è antinomia quando un caso concreto sia suscettibile di due diverse ed opposte soluzioni. In queste circostanze il caso (detto: indecidibile) ammettendo due soluzioni, può essere deciso indifferentemente in un modo o in un altro. A tal riguardo si dice coerente un insieme di norme privo di antinomie; si dice incoerente un insieme di norme che presenti anche una sola antinomia. Tipi di antinomie 1. antinomie in astratto o necessarie (più rare) => si presentano ogniqualvolta due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili a fattispecie astratte. Ciò significa che l‘antinomia è identificabile già in sede di interpretazione testuale in astratto. Se, ad esempio, una prima norma vieta l‘aborto ed una seconda norma permette l‘aborto terapeutico, l‘antinomia può essere riconosciuta in astratto. 2. antinomie in concreto o contingenti => si verificano allorché (in sede applicativa) due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. Ciò accade quando una fattispecie concreta ricada simultaneamente in due classi di fattispecie concettualmente indipendenti, per le quali il diritto statuisca conseguenze giuridiche incompatibili. Sicchè l‘antinomia può essere identificata solo in sede di applicazione delle norme a un caso concreto. Immaginiamo che una prima norma disponga ―i cittadini devono pagare le imposte‖, ed una seconda norma disponga ―nessuna imposta è dovuta dai disoccupati‖. In questo caso l‘antinomia si presenta ogniqualvolta sia in discussione l‘obbligo tributario di un cittadino disoccupato (qui quindi l‘antinomia non è necessaria ma contingente). Queste due classi generali di antinomie sovrapponendosi possono dar luogo a: a. antinomie totali => essa si genera da una sovrapposizione totale di due norme le quali connettono conseguenze incompatibili alla medesima classe di fattispecie. Es.: una norma qualifica lecito ed un'altra illecito il divorzio; b. antinomie parziali => esse si dividono in: - antinomie parziali unilaterali: può accadere che la classe di fattispecie disciplinata da una norma sia interamente inclusa nella classe di fattispecie disciplinate dall‘altra. Ad esempio una norma vieta l‘aborto, un‘altra norma permette l‘aborto terapeutico. Si dà antinomia quando siano in discussione aborti terapeutici, che sono permessi dalla seconda norma ma non dalla prima, e non invece quando siano in discussione aborti non terapeutici. - antinomie parziali bilaterali: può accadere che le due classi di fattispecie si intersechino, sicché alcune, delle fattispecie disciplinate da una norma coincidano con alcune, delle fattispecie disciplinate incompatibilmente dall‘altra. Ad esempio una norma detta una qualsivoglia disciplina della fattispecie regolamenti, mentre un‘altra norma detta una disciplina incompatibile per la fattispecie atti ministeriali. Si dà antinomia quando siano in discussione regolamenti ministeriali (disciplinati incompatibilmente da entrambe le norme), e non invece quando siano in discussione atti ministeriali non regolamentari o regolamenti non ministeriali. Rapporto tra antinomie (conflitti tra norme) e interpretazione I) un‘antinomia può esser evitata per mezzo di opportuni accorgimenti interpretativi, nel senso che i testi normativi possono essere interpretati come esprimenti norme tra loro compatibili, in modo che nessuna antinomia si presenti; II) un‘antinomia può essere anche prodotta mediante interpretazione, nel senso che i testi normativi possono esser interpretati come esprimenti norme incompatibili;
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III) ovviamente, l‘identificazione di un‘antinomia presuppone l‘interpretazione, giacché l‘antinomia medesima si può solo presentare ad interpretazione avvenuta; IV) poiché le antinomie sono frutto o seguono l‘interpretazione, ogni antinomia non può risolversi mediante interpretazione poiché: 1. l‘antinomia si presenta ad interpretazione avvenuta; 2. per eliminare l‘antinomia occorre eliminare una delle due norme in conflitto (o entrambe) e l‘eliminazione di una norma è cosa che attiene alla produzione del diritto, piuttosto che all‘interpretazione. A fronte di quanto è stato esposto, si deve distinguere tra tecniche interpretative idonee a prevenire le antinomie; le tecniche interpretative idonee a provocarle e le tecniche idonee a risolverle: 1. prevenire antinomie => tra queste possiamo distinguere: a. l’interpretazione sistematica (in senso stretto). Permette di prevenire l‘antinomia nell‘ambito di un singolo testo normativo, evitando di ricavare dalle disposizioni che lo compongono norme tra loro confliggenti; b. l’interpretazione adeguatrice. Permette di prevenire l‘antinomia fra testi normativi tra loro gerarchicamente ordinati, evitando di ricavare dal testo normativo subordinato norme che entrerebbero in conflitto con le norme del testo sovraordinato; c. l’argomento a contrario (nella variante interpretativa). Permette di escludere che la disposizione interpretata si estenda a fattispecie, non incluse nel suo tenore letterale, disciplinate in modo incompatibile anche da un‘altra disposizione. d. l’interpretazione restrittiva. Permette di restringere il campo di applicazione di una disposizione escludendone fattispecie che risultano disciplinate in modo incompatibile anche da un‘altra disposizione. 2. produrre antinomie => non sembrano esservi tecniche per produrre antinomie, le quali si produrrebbero semplicemente interpretando alla lettera i testi normativi, astenendosi dall‘usare tecniche interpretative che potrebbero evitarla; 3. risolvere antinomie => le tecniche di soluzione delle antinomie sono disciplinate da norme giuridiche positive e sono diverse a secondo del tipo di fonte coinvolta. Modi di soluzione delle antinomie: un‘antinomia può presentarsi in almeno 5 circostanze diverse: I) antinomie tra norme “contigue” cioè appartenenti ad un unico e medesimo documento normativo (ad es. uno stesso codice)=>generalmente si tratta di 2 norme [che non hanno lo stesso campo d‘azione] : l‘una costituisce una regola generale, l‘altra stabilisce un‘eccezione [antinomia parziale unilaterale]. Andrà applicato il principio di specialità: la norma speciale fa eccezione a quella generale (lex specialis derogat legi generali-non si tratta di un principio positivo ma dottrinale/giurisprudenziale). II) antinomie tra norme provenienti da due fonti distinte ma dello stesso tipo (es.: 2 leggi ordinarie) => in questi casi l‘antinomia si risolve dando preferenza alla norma più recente nel tempo. Questo è il c.d. metodo cronologico (lex posterior derogat legi priori); la precedente sarà applicata e la successiva abrogata. III) antinomie tra norme provenienti da fonti di tipo diverso => 51
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III.a. è possibile che le due fonti stiano tra loro in relazione gerarchica (legge e costituzione). Questa situazione viene risolta mediante l‘uso del principio gerarchico: lex superior derogat legi inferiori. La norma superiore rende invalida quella inferiore; III.b. è possibile che le due fonti siano pariordinate nella gerarchia delle fonti e che abbiano altresì lo stesso ambito di competenza (legge e decreto legge). In questi casi si applica il criterio cronologico; III.c. è possibile che le due fonti abbiano ambiti di competenza distinti e che una delle due abbia invaso la sfera di competenza dell‘altra (legge regionale pretende di disciplinare una materia che la costituzione ha riservato alla legge dello Stato). In questi casi, in virtù del principio di competenza, la norma che proviene dalla fonte competente deve essere applicata, mentre la norma proveniente dalla fonte incompetente è invalida. IV) Antinomie tra norme statali e norme comunitarie: 1. norma comunitaria e legge: in questo caso deve essere applicata la norma comunitaria e deve essere disapplicata quella interna. Quest‘ultima, sebbene disapplicata, non è né abrogata, né invalida è semplicemente accantonata temporaneamente; 2. norma comunitaria e costituzione: a. in generale => la norma comunitaria prevale sicché quella costituzionale deve essere disapplicata; b. in particolare => la norma comunitaria soccombe quando sia in conflitto con i principi costituzionali supremi o con le norme costituzionali che garantiscono diritti inviolabili. V) Antinomie tra principi costituzionali => si tratta di antinomie in concreto, del tipo parziale bilaterale, la cui soluzione non è disciplinata da alcuna norma positiva. Le norme in questione sono pari-ordinate nella gerarchia delle fonti (quindi non è utilizzabile il principio gerarchico). Sono coeve, a meno che non siano state modificate successivamente alla cost. (quindi non è utilizzabile il principio cronologico e non è utilizzabile neppure quello di specialità perché le classi di fattispecie si intersecano). La tecnica di risoluzione impiegata dai giudici costituzionali è quella della ponderazione (o bilanciamento) dei principi, consistente nell‘istituire tra i due principi coinvolti una gerarchia: (a) assiologica; (b) mobile: a. consiste nell‘accordare ad una norma maggior valore (e dunque applicazione) che prevale rispetto all‘altra (che viene per tanto disapplicata); b. in tale gerarchia il giudice costituzionale non soppesa il valore dei due principi, ma valuta il possibile impatto della loro applicazione al caso concreto. Poiché si tratta di una gerarchia mobile, non è escluso che in un caso diverso il principio che oggi è stato accantonato trovi applicazione, e il principio oggi usato venga invece accantonato. Le inferenze tra i criteri si soluzione delle antinomie => i criteri della soluzione delle antinomie - ―lex specialis‖, ―lex superior‖, ―lex posterior‖ - possono interferire l‘uno con l‘altro. 1) Interferenze tra criterio di specialità e principio gerarchico => in due diverse circostanze: a) la norma speciale è gerarchicamente sovraordinata a quella generale. In questi casi è il principio gerarchico che deve essere applicato. La noma speciale in questo caso prevale su quella generale inferiore non in quanto speciale, bensì in quanto gerarchicamente superiore; [la norma generale sarà invalida] b) la norma speciale è gerarchicamente subordinata a quella generale (ad esempio legge e Costituzione). La norma speciale in contrasto con una norma generale ad essa sovraordinata è
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invalida quindi anche in questo caso si applica il criterio gerarchico.[la norma speciale sarà invalida] 2) Interferenze tra criterio di specialità e principio cronologico: i) la norma speciale è antecedente a quella generale. Prevale il criterio cronologico che non ammette eccezioni neppure da parte di leggi speciali. [la norma speciale è tacitamente abrogata per intenzione del legislatore] ii) la norma speciale è successiva a quella generale. Prevale anche qui il criterio cronologico, la norma speciale più recente costituisce tacita abrogazione della norma più vecchia. 3) Interferenze tra principio gerarchico e principio cronologico => che si verifica ogniqualvolta le due norme configgenti non solo siano disposti su piani diversi nella gerarchia delle fonti, ma siano anche state emanate in tempi diversi. Tale interferenza può presentasi in 2 circostanze diverse: - può darsi un‘antinomia tra 2 norme, una delle quali sia al tempo stesso gerarchicamente inferiore ma cronologicamente successiva, e l‘altra gerarchicamente superiore ma cronologicamente antecedente. In caso di conflitto il principio gerarchico prevale su quello cronologico. Sicché la norma inferiore, indipendentemente dal fatto che sia precedente o successiva, è invalida quando contrasta con una norma superiore. - può darsi un‘antinomia tra 2 norme, una delle quali sia al tempo stesso e gerarchicamente superiore e cronologicamente successiva all‘altra. In questa circostanze, i 2 criteri non configgono: la norma anteriore e inferiore può indifferentemente essere considerata o abrogata in quanto anteriore (in virtù del principio cronologico), o invalida in quanto inferiore (in virtù del principio gerarchico). Peraltro una norma legislativa in contrasto con la costituzione, ma antecedente ad essa, deve ritenersi non semplicemente abrogata, ma invalida, per illegittimità costituzionale sopravvenuta. L‘illegittimità costituzionale sarà quindi necessariamente accertata dalla Corte Costituzionale.
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CAPITOLO XIVfunzione riepilogativa INTERPRETAZIONE E CREAZIONE DI DIRITTO Le norme sono tutte equivoche, serve un interprete. In teoria del diritto si discute se i giudici creino diritto. Esistono quattro varianti. 1. I giudici creano diritto solo occasionalmente, quando ―manipolano‖ testi normativi. 2. I giudici contribuiscono alla creazione del diritto solo occasionalmente: in modo ―interstiziale‖(nelle fessure dell‘ordinamento), come si usa dire, quando incontrano e colmano lacune. 3. I giudici, concretizzando norme generali, creano norme individuali e, per questa via, contribuiscono sempre (legame con la cornice dei possibili significati) alla creazione del diritto [tesi di Kelsen]. 4. I giudici, decidendo il significato dei testi normativi, creano tutto il diritto, sicché non vi è alcun diritto preesistente alle decisioni giurisdizionali: non vi è, per così dire, altra fonte di diritto che la giurisprudenza (i testi diventano norme solo quando sono interpretati e applicati). Tuttavia, nessuna di queste quattro tesi è convincente (per Guastini). Critiche: 1. La prima tesi assume che i testi normativi siano dotati di un significato intrinseco oggettivo, e afferma che i giudici creano diritto quando disattendono tale significato. Ma disgraziatamente non esiste affatto il significato oggettivo dei testi normativi. Ogni testo normativo è, almeno potenzialmente, equivoco. Quindi non è possibile asserire che il giudice manipola. 2. La seconda tesi asserisce che i giudici creano diritto quando colmano lacune. È UN‘OVVIETA‘! E‘ ovvio che per colmare una lacuna occorra creare diritto (creare una nuova norma)! TUTTAVIA la tesi omette di precisare che le lacune non precedono l‘interpretazione, ma al contrario ne dipendono. 3. La terza tesi è fallace. Una decisione giurisdizionale è giustificata solo se la norma individuale che statuisce è ricavata deduttivamente da una norma generale. Non sembra appropriato chiamare ―creazione‖ ciò che è invece una deduzione, sicchè, se mai il giudice crea qualcosa, non è già la norma individuale (contenuta nel dispositivo), ma piuttosto la norma generale (contenuta in motivazione) che giustifica la sua decisione. 4. La quarta tesi (scettica) si regge su un‘assunzione vera e una falsa. VERO: i testi normativi sono equivoci (esprimono una pluralità di significati alternativi); norma = significato = prodotto dell‘interpretazione. FALSO: tutti i testi normativi sono soggetti a interpretazione giudiziale (ossia tutto il diritto è creazione del giudice) poiché sarebbero non giuridiche quelle norme non sottoponibili a controllo giurisdizionale es. norme costituzionali. se l‘attribuzione di significati è in parte dovuta all‘interpretazione allora in parte è dovuta anche al legislatore!
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TESI ALTERNATIVA (di Guastini) — Il diritto è un insieme di norme. Ma il vocabolo ‗norma‘ è usato in modo ambiguo. Lo stesso vale per il vocabolo diritto che può designare ora un insieme di enunciati; ora un insieme di significati. Per conseguenza, anche l‘espressione ―creazione di diritto‖ può essere usata per riferirsi ora alla produzione di enunciati, tipica della legislazione (in senso ‗materiale‖); ora, alla produzione di significati, che è propria dell‘interpretazione. In nessun caso si può dire che giudici creino diritto nello stesso senso in cui diciamo che crea diritto la legislazione. L‟espressione „creazione di diritto‟ acquista due significati distinti nei due contesti, giacché produrre un testo e attribuirgli significato sono attività evidentemente diverse. Se il diritto è un insieme di significati, allora esso è una variabile dipendente dell‘interpretazione. Ergo il diritto non è creato dagli interpreti perché non vi è interpretazione senza un testo da interpretare. Sicché il diritto nasce dalla combinazione di legislazione (in senso ―materiale‖) e interpretazione. La produzione di diritto è un fenomeno complesso. Per descriverlo occorre introdurre una serie di definizioni preliminari: a) Disposizione: un enunciato delle fonti ―formali‖ del diritto; b) Norma espressa: un enunciato che costituisce uno dei significati di una disposizione; c) Norma inespressa: un enunciato normativo, prodotto dagli interpreti, che non costituisce significato di una disposizione. I legislatori (in senso materiale) producono disposizioni attraverso attività creativa, ogni disposizione quindi ha un significato equivoco e indeterminato. Pertanto, ammette una pluralità di interpretazioni, ossia esprime potenzialmente non già una sola norma dai confini determinati, ma (come dice Kelsen) una ―cornice‖ di significati, una moltep1icità di norme alternative. I giudici creano davvero quando fuoriescono dalla cornice dei possibili significati che è il limite oltre il quale non è prudente spingersi nell‘attribuire un significato ad un testo. La cornice è frutto anch‘essa di comunicazione, accordo tra gli interpreti. L‘interpretazione cognitiva consiste nel determinare tutte le norme espresse, ovvero la ―cornice‖ di significati potenzialmente espressi, da una disposizione. L‘interpretazione decisoria consiste nella scelta di un significato, e dunque di una norma espressa, a preferenza delle altre potenzialmente espresse dalla disposizione. Talora, gli organi dell‘applicazione attribuiscono ad una disposizione un significato che non ricade nella ―cornice‖ dei significati possibili, usando poi questo significato — questa norma inespressa — per giustificare una decisione. Tale operazione non può dirsi ―interpretazione‖ ma costituisce piuttosto ―creazione‖ di una norma inespressa. Talora, gli organi dell‘applicazione ―trovano‖ una lacuna nell‘ordinamento, e provvedono a colmarla elaborando una norma inespressa. Tale operazione costituisce anch‘essa una creazione. Produzione di diritto è sia introduzione di nuove disposizioni e/o norme, sia l‘eliminazione di disposizioni e/o norme preesistenti poiché vi è comunque innovazione del sistema (diritto esistente). In molti ordinamenti, l‘eliminazione di disposizioni e/o norme preesistenti può avvenire in almeno due modi distinti: -abrogazione espressa (è atto del legislatore); -annullamento (è atto giurisdizionale).
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APPENDICE L‟INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALE Non esistono metacriteri interpretativi: non sappiamo se la scelta è giusta. L’esattezza fa parte delle scienze matematiche. Noi dobbiamo motivare in maniera adeguata affinché il discorso sia coerente e sia in armonia con i principi costituzionali. L‘interpretazione costituzionale non presenta alcuna specificità rispetto all‘interpretazione di qualunque altro documento giuridico. Nondimeno, si può ipotizzare che l‘interpretazione costituzionale presenti qualche peculiarità sotto altri profili. La specificità dell‘interpretazione costituzionale potrebbe riguardare: A) gli agenti dell‘interpretazione; B) le tecniche interpretative (strumento per la specificità dell‘interpretazione); C) i problemi d‘interpretazione. Possiamo dire che si attua una interpretazione meno legata al significato letterale, più vicina ad un significato morale (per Omaggiosi fa riferimento sempre alla RAGIONEVOLEZZA, al BILANCIAMENTO TRA PRINCIPI), si tratta di una specialità che non è da considerarsi però come AUTONOMIA ( Guastini la pensa diversamente perché è uno scettico). A)DOMANDA: Chi sono gli organi competenti a decidere in ultima istanza il significato del testo costituzionale? Dipende da diverse variabili. 1) la struttura della costituzione, la costituzione può essere: -―breve‖ (quando contiene esclusivamente disposizioni sull‘organizzazione dei pubblici poteri e non un catalogo di diritti); -―lunga‖(quando accanto alle disposizioni sull‘organizzazione dei poteri include altresì un elenco dei diritti). 2) la eventuale garanzia giurisdizionale della costituzione (la costituzione è garantita se è prevista una qualche forma di controllo giurisdizionale sulle leggi), può essere: - rigida (per cambiarla si deve seguire un percorso aggravato); - flessibile (non garantita). In seno alle costituzioni garantite, occorre poi ulteriormente distinguere tra due modi di organizzare il controllo giurisdizionale sulle leggi: a) controllo ―diffuso‖ (quando può essere esercitato da qualunque giudice nell‘ambito delle competenze giurisdizionali sue proprie, cioè in occasione della soluzione di qualunque controversia a lui sottoposta); b) controllo ―accentrato‖ (quando è sottratto ai giudici comuni, ed è riservato ad un apposito tribunale costituzionale). *ecco la specificità nel nostro ordinamento: esiste il più economico controllo di legittimità INCIDENTALE, esercitato dal giudice a quo (che deve valutare che la questione non sia irrilevante e manifestamente infondata). 56
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3) la concezione della funzione della costituzione diffusa nella cultura giuridica: di organizzazione, distribuzione, e limitazione del potere politico, o invece di organizzazione della società civile. B) Dal punto di vista delle tecniche interpretative — ossia, concretamente, delle tecniche di argomentazione delle decisioni interpretative — l‘interpretazione costituzionale non presenta alcuna specificità rispetto all‘interpretazione dì qualsiasi altro testo normativo. Esempi: i) La Corte costituzionale rifiuta l‘interpretazione estensiva, e interpreta alla lettera (cioè secondo il significato ordinario delle parole) l‘ari. 134 cost. quando afferma che i regolamenti parlamentari non sono inclusi espressamente nella classe degli « atti, aventi forza di legge, dello Stato », e aggiunge che neppure possono esservi ricondotti « in via interpretativa ». interpretazione letterale ii) La Corte costituzionale rifiuta l‘interpretazione estensiva, e interpreta alla lettera l‘art. 72, comma 4, cost, quando esclude che quanto ivi disposto per le leggi « in materia elettorale » possa estendersi anche alle leggi in « materia referendaria». interpretazione letterale iii) La Corte costituzionale rifiuta l‘interpretazione letterale: l‘art. 40 cost affida alla legge il potere di disciplinare non solo i limiti all‘esercizio del diritto di sciopero, ma « il diritto di sciopero in genere e, quindi, appare suscettibile di rivolgersi a ciascuno degli elementi che entrano a comporlo, compresi in essi anche i soggetti che ne possono essere titolari» tecnica estensiva iv) La Corte costituzionale rifiuta l‘interpretazione letterale quando, ai fini dell‘applicazione dell‘art. 72, comma 4, cost. — equipara le leggi «in materia costituzionale », ivi menzionare, alle «leggi costituzionali» di cui all‘art. 138, adducendo la «scarsa importanza della diversità di formulazione». v) La Corte costituzionale interpreta estensivamente l‘art. 97., comma 1, cost., quando estende il principio di « buon andamento dell‘amministrazione » a « l‘ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l‘aspetto amministrativo » . la corte ha esteso il significato vi) La Corte costituzionale opera un‘interpretazione sistematica degli artt. 24. primo comma, Cost. (diritto di azione) e 102, primo commna, Cost. (riserva della funzione giurisdizionale ai giudici ordinari, salve le eccezioni di cui all‘articolo seguente), quando afferma che il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti. Interpretazione originalista e interpretazione evolutiva. Si dice originalista quella interpretazione che attribuisce al testo costituzionale il significato che quel testo aveva nel momento in cui entrò in vigore. Vi sono due varianti: 1. testualista: si fa riferimento al significato originario ―oggettivo‖, quale risulta dagli usi linguistici dell‘epoca; 2. intenzionalista: si fa riferimento al significato originario ―soggettivo‖ quale risalta dalla supposta intenzione o volontà dei padri costituenti, ricostruita a partire dai lavori preparatori. Si dice evolutiva quella interpretazione che attribuisce al testo costituzionale significati nuovi, diversi da quello originario, adattatii alle mutate circostanze. L‘interpretazione letterale si avvale principalmente dell‘argomento a contrario (nella sua variante interpretativa). Vale come norma solo ciò che il legislatore ha stabilito, il resto vale come lacuna. Esempio: ―sono elettori tutti i cittadini…‖, non siamo in grado di dire se i non cittadini hanno o no il diritto di voto. L‘argomento a contrario dà fondamento alla tesi che l‘autorità normativa, nel conferire un diritto ai soli cittadini, non lo abbia contestualmente negato agli stranieri e agli 57
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apolidi: semplicemente non abbia disciplinato la fattispecie. Sicché le autorità norrnative subordinate possono disciplinare la fattispecie in questione come meglio credono. La sovrainterpretazione consiste in quell‘insieme di tecniche di integrazione del diritto che consistono nel manipolare un testo normativo così da ricavarne delle norme inespresse, implicite. Ogni norma inespressa è ricavata da una o più norme espresse mediante un ragionamento, nel quale le norme espresse costituiscono premesse e la norma inespressa costituisce conclusione. Ma, se ogni norma inespressa è frutto di un ragionamento, occorre tuttavia distinguere i diversi tipi di ragionamento la cui conclusione è una norma inespressa. Torniamo all‘esempio della disposizione che conferisce un diritto ai ―cittadini‖: -se nell‘ambito dell‘interpretazione letterale l‘uso dell‘argomento a contrario si risolveva nella produzione di una lacuna; -in questo caso, il medesimo argomento, esclude qualsivoglia lacuna, grazie alla formulazione di una norma inespressa che disciplina anche la fattispecie non espressamente prevista, e opposta a quella prevista: la disposizione in questione escluda gli stranieri e gli apolidi dal godimento di tale diritto. Mentre quindi l‘interpretazione letterale produce l‘effetto di riconoscere nel diritto costituzionale una grande quantità di lacune in virtù delle quali il legislatore è libero di disporre in un senso, nel senso opposto, o di non disporre affatto; per contro, la sovrainterpretazione del testo costituzionale consente di ricavare dal testo costituzionale norme idonee a disciplinare — tendenzialmente — qualsivoglia aspetto della vita sociale e politica, dunque non vi è spazio per alcuna discrezionalità legislativa. Esempi di interpretazione letterale nella giurisprudenza costituzionale: 1) L‘art. 52, comma 2, impone ai cittadini l‘obbligo di prestare servizio militare. Il silenzio della norma costituzionale non comporta divieto [per il legislatore di esigere il servizio militare anche da stranieri]. 2) L‘art. 25, comma 2, cost., che statuisce il divieto di leggi penali retroattive, « riguarda soltanto la materia penale ». Sono perciò ammissibili leggi non penali retroattive. Anche qui la Corte usa l‘argomento a contrario nella variante interpretativa. Esempi di sovrainterpretazione: 1)L‘art. 3, comma 1, cost. statuisce espressamente l‘eguaglianza dei « cittadini ». Quanto agli stranieri, l‘art. 10, comma 2, dispone: «La condizione giuridica dello straniero é regolata dalla legge in conformità. delle norme e dei trattati internazionali ». Interpretando alla lettera, se ne potrebbe concludere: (a) che non sì dà (o almeno non si dà necessariamente) eguaglianza tra cittadini e stranieri; (b) che neppure si dà eguaglianza tra stranieri e stranieri appartenenti a stati diversi. Ma non è questa l‘opinione della Corte costituzionale, secondo la quale: « Se è vero che l‘art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare diritti fondamentali ». « L‘eguaglianza davanti alla legge è garantita agli stessi stranieri, là dove si tratti di assicurare la tutela dei diritti inviolabili dell‘uomo ». Con Sentenza n. 364 dell‘88 la corte ha modificato l‘Art 5 cost (nessuna norma dice che la conoscibilità della legge penale è condizione per essere puniti ma la corte ha dato copertura costituzionale a tale principio): Ignorantia legis non exusat a meno che non ci sia errore scusabileinevitabile.
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Il soggetto per essere ritenuto colpevole deve essere imputabile, aver agito con dolo o colpa e deve essere rimproverabile. La corte cost. ha insistito sull‘art 27 comma 3 cost: la conoscibilità della legge penale è presupposto della repressione penale. [Artt. 2- 3-13 inviolabilità della libertà personale-15-27 rieducazione del condannato] BILANCIAMENTO: tecnica di soluzione delle antinomie tra i principi costituzionali. Può accadere che due principi costituzionali si rivelino in conflitto quando si tratti di applicarli a casi concreti. La tecnica impiegata dal giudice costituzionale va sotto il nome di ponderazione o bilanciamento dei principi, e consiste nell‘istituire tra i due principi coinvolti una gerarchia: a) assiologica, b) mobile. Non essendo applicabili i tradizionali criteri di soluzione delle antinomie (cronologico, gerarchico, di specialità) non vi è altro modo di trattare un‘antinomia tra norme coeve, pariordinate, e che non siano tra loro in rapporto di regola-eccezione. La gerarchia di cui parla Guastini dipende da una scelta arbitraria del giudice. Il limite principale della tesi di Guastini è che dà una definizione di bilanciamento che non coincide con quella che è la prassi dei giudici costituzionali. L‘essenza del bilanciamento è quella che entrambi i principi trovino attuazione ma non anche nella misura in cui essi potrebbero pienamente avere. Può la legge disciplinare l’interpretazione della costituzione? Art. 12, comma 1, delle disposizioni preliminari al codice civile: «Nell‘applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore». Ebbene ci si può domandare se le regole legali sull‘interpretazione valgano anche per l‘ interpretazione del testo costituzionale, ossia di un documento normativo che è, al tempo stesso, superiore e posteriore. La questione ammette ovviamente due risposte: 1. La risposta negativa — le regole legali sull‟interpretazione non valgono per l‟interpretazione costituzionale — può essere sostenuta adducendo uno o più d‘uno degli argomenti seguenti. a) Le disposizioni preliminari al codice civile (1942) sono anteriori alla costituzione (1947), e non si vede come il legislatore del 1942 potesse aver l‘intenzione di disciplinare l‘interpretazione di un documento normativo allora inesistente. b) Le disposizioni preliminari al codice civile hanno rango meramente legislativo, e non sì vede come l‘interpretazione di un qualsivoglia documento normativo possa essere disciplinata da una fonte a questo subordinata. Se si ammettesse ciò il giudice costituzionale sarebbe messo « alla mercé degli organi di legislazione ordinaria » e ne risulterebbe in qualche modo frustrata la rigidità costituzionale. Solo la costituzione può stabilire criteri per l‟interpretazione di se stessa (ma comunque mancano). 2. La risposta positiva — le regole legali sull‘interpretazione valgono anche per l‘interpretazione costituzionale — può essere sostenuta adducendo l‘uno o l‘altro degli argomenti seguenti (o entrambi, s‘intende). a) I documenti costituzionali, pur presentando alcune peculiarità quanto alla formulazione e alla materia disciplinata, sono tuttavia comuni testi normativi, e non si vede perché non possano essere interpretati adottando quegli stessi metodi che sono comunemente impiegati nell‘interpretazione della legge.
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b) L‘interpretazione è, per definizione, ricerca del significato. D‘altro canto, il vocabolo ‗significato‘ è ambiguo: denota talora il senso ordinario (o ―proprio‖) delle parole, talaltra l‘intenzione dell‘autore del testo . Ebbene, l‘art. 12, comma 1, disp. prel. cod. civ. non fa che prescrivere agli interpreti di cercare il significato, in entrambe le accezioni di questa parola. I criteri dell‟art. 12 sono criteri naturali. La tecnica del bilanciamento non può essere sempre utilizzata: dir. alla vita – dir. di staccare i presidi che mi tengono in vita. (incompatibilità invalicabile)
PROBLEMI DI INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALE Nell‘ipotesi in cui un testo fondamentale (costituzione, trattato internazionale) non inizi con l‘art.1, ma con un preambolo si deve ritenere che il preambolo esprima genuine norme giuridiche o, invece, che costituisca una sorta di manifesta politico, privo, come tale, di qualsivoglia effetto giuridico? Tesi negativa: il preambolo non ha un genuino contenuto normativo, indica obiettivi che attraverso quel testo si vogliono conseguire (dichiarazione d‘ intenti), inoltre non sono presenti operatori deontici (si può, si deve). Tesi positiva: il preambolo non è un discorso esterno al testo in esame che è un vero e proprio testo normativo nel suo complesso. *I lavori preparatori sono diversi perché vengono prima. La costituzione italiana vigente è priva di preambolo, ma è ricca di disposizioni programmatiche e di principio, che sollevano un problema di interpretazione in tutto analogo a quello dei preamboli. Nel periodo intercorrente tra l‘entrata in vigore della costituzione (1948) e la concreta attivazione della Corte costituzionale (1956), la Corte di cassazione usava distinguere due tipi di norme costituzionali: norme ―precettive‖ e norme ―programmatiche‖ sostenendo la non idoneità di queste ultime ad abrogare per incompatibilità leggi antecedenti. Le norme precettive sono formulate in modo chiaro e preciso e sono immediatamente utilizzabili per la decisione; le norme programmatiche, indicanti principi, potevano essere utilizzate per verificare la legittimità costituzionale di una decisione del caso ma non per decidere il caso. Per le norme emanate prima, con l‘entrata in vigore della costituzione si è ritenuto che tutte le norme costituzionali avrebbero comportato l‘abrogazione di fatto delle norme legislative incompatibili fasciste. Per le norme emanate dopo l‘entrata in vigore della costituzione esistono alcune norme più precise e direttamente applicabili e altre che necessitano dell‘intervento del legislatore. Per quanto attiene ai principi essi non vivono isolati ma entrano in conflitto con altri principi. Es. diritto del lavoro/libertà di iniziativa economica privata. La distinzione tra norme precettive e programmatiche non ha più tanta rilevanza, si richiede una scelta discrezionale del legislatore per regolamentare il modo attraverso cui si può essicurare l‘esercizio del diritto al lavoro e favorire la libertà di iniziativa economica. I diritti fondamentali previsti in costituzione sono a) RICONOSCIUTI o b) ATTRIBUITI? 60
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a) esistevano prima, sono diritti naturali dell‘uomo (tesi di carattere giusnaturalistico) E‘ ammessa l‘integrazione del diritto costituzionale mediante la trascrizione di diritti naturali inespressi che il costituente aveva dimenticato di inserire. È vietata la revisione costituzionale. b) sono stati attribuiti dal potere costituente ai membri di una certa comunità (positivismo giuridico) *il potere costituente adotta la costituzione, è esercitato dal popolo che ha eletto l‘assemblea costituente. il potere costituito è il potere legislativo esercitato dal parlamento. Il potere costituente non incontra limiti e quindi i diritti fondamentali potrebbero anche cambiare. La cost. prevede infatti all‘art. 139 il potere di revisione, e quindi anche dell‘abolizione possibile di tali diritti. Ma la cost. esclude la possibilità di eliminare i cd. Diritti supremi che si pongono in posizione di totale intangibilità. Es. forma repubblicana. Art 2 cost. ―La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale‖. I diritti inviolabili sono quelli riconosciuti in costituzione espressamente o il catalogo è da considerarsi aperto? Corte Costituzionale: oscilla, prima considerava il catalogo chiuso; oggi lo considera aperto (anche in forza dell‘evoluzione scientifica, etc.). Il diritto alla vita, il diritto alla privacy non sono previsti in costituzione ma vi rientrano proprio in forza dell‘art 2 cost. che viene considerato un catalogo aperto.
EFFICACIA DELLE NORME COSTITUZIONALI I diritti menzionati in costituzione devono ritenersi ―diritti pubblici soggettivi‖, ossia diritti conferiti e garantiti (solo) ―contro lo stato‖, o invece devono ritenersi diritti soggettivi ―erga omnes‖ cioè conferiti e garantiti (anche) nei confronti dei privati cittadini? Si poteva invocare la norma costituzionale solo se lo stato violava la norma stessa [rapporti verticali stato-cittadino]. Dopo si è arrivati alla soluzione che la corte cost può essere adita anche nel caso di rapporti orizzontali [cittadino- cittadino] portata espansiva del diritto costituzionale, sovranità popolare.
FINE
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