Anna Maria Miccoli
Tutti promossi all’unanimità tranne Uno
Youcanprint Self-Publishing
Titolo | Tutti promossi all'unanimità tranne uno Autore | Anna Maria Miccoli
ISBN | 9788893067225 Prima edizione digitale: 2015
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I
“ Ciao Andrea, sono Guido. Allora che fai? … Vieni alla cena di domani?” “No … non posso” “Non puoi, o non vuoi?” “ Certo che voglio, ma …” “ Senti Andrea, non trovare scuse. Se è una questione di soldi possiamo anticiparteli noi, se invece i compagni di classe ti stanno sul …” “ Ma che dici! Mi piacerebbe are la serata con voi ma devo assolutamente mettermi sotto a studiare. Dopodomani mi voglio fare interrogare in matematica” “Dopodomani?! Cioè l’ultimo giorno di scuola … Sei proprio fuori di testa!” “Non ti ci mettere pure tu, Guido. Sai che periodo di merda sto ando” “Non è cambiato niente?” “No” “Tua madre come sta?” “È incazzata con tutti: con me, con i vicini, col gatto. E quando non sbraita dorme … È depressa; d’altronde anche io non sto bene” “Ma tuo padre non viene a trovarvi?” “Si, si … certo. Viene qui solo per prendersi le sue cose … e litigare con sua moglie” “ Non intendono proprio rappacificarsi?”
“Scherzi? Ormai lui ama un’altra. Sta da lei, a casa sua.” Un silenzio imbarazzante attraversò il filo del telefono. Guido pensò di eluderlo con una domanda sulla scuola ma Andrea lo precedette. “Sai se il prof chiede anche le formule di Briggs?” “Non ci pensa neppure … ammesso che lui le sappia. È fissato con la relazione fondamentale della goniometria, definizione di tangente, seno, coseno, insomma niente di cervellotico . Sei hai bisogno di qualche aiutino, chiedi a Giulia, ma stai lontano dagli altri che ne sanno meno di te” “ Va bene … Ah! Guido, ti chiedo un favore: te la senti di assistere alla mia interrogazione?” “ Vuoi dire se me la sento di rinunciare alla beata dormita mattutina per venire a scuola con te, proprio l’ultimo giorno? E rivedere la faccia di quel paranoico prof di matematica?” “ Se non vuoi, posso chiederlo ad Antonio, oppure a …” “ Lascia stare, ci vengo. Ma non aspettarti da me suggerimenti, non ci capisco nulla di seni e coseni. O meglio, se si tratta di seni femminili, lì ti sfodero tutto il mio sapere” “ Si, vabbè . Ti saluto, vado a studiare. Non dimenticarti … dopodomani, alle otto, a scuola” “ D’accordo, rompipalle. E se dovessi cambiare idea per domani sera, fammelo sapere. Ciao.” Andrea pose la cornetta e rimase in piedi accanto al tavolino, lo sguardo fermo sul ritratto del suo primo compleanno: un tempo in cui bastava un sorriso o una parola balbettata per tirare a sé i genitori. Ora neppure lo sfacelo della sua vita, né il fallimento scolastico erano stati sufficienti a farli avvicinare. Era finito tutto, proprio tutto. La maschera bellissima delle prime illusioni si era incomprensibilmente stracciata mostrando la faccia orribile della realtà. Una realtà ingiusta, dolorosa, impensabile. Era arretrato davanti ad essa, inciampando e gemendo.
Si era infine accasciato su una quotidianità sterile, stringendo al petto i ricordi di un tempo incantato. Distolse a fatica gli occhi spenti da quelli vividi del ritratto. Dalla cucina la madre gli chiese qualcosa; fece finta di niente e si chiuse in camera. Scartabellò il testo di matematica e lasciò che le processioni goniometriche gli sfilassero davanti: non le avrebbe mai raggiunte, non in così poco tempo. Cercò le parti che Giulia aveva evidenziato: teoremi e formule che il professore avrebbe chiesto, ma anche quelle gli sembrarono inaccessibili. Ad ogni modo doveva tentare di capirci qualcosa. Non poteva deludere la compagna; lo aveva già fatto col suo cuore l’estate scorsa quando non si era presentato all’appuntamento. Le parole che avrebbe voluto dirle quella sera erano ancora lì nella sua memoria, cristallizzate dall’illusione di poterle rivelare un giorno. Avrebbe dovuto confessarle che non l’amava più, che non sentiva più niente per lei se non affetto e amicizia. Il desiderio di incontrarla per poterla stringere tra le braccia, e baciarla, e fare l’amore con lei, non c’era più. Svanito! Risucchiato da un improvviso senso di solitudine e disincanto, lo stesso che aveva inghiottito la sua fiducia nella vita. Le avrebbe confidato tutto il suo sconforto stringendole le mani, perché potesse comprendere che non era lei la causa di tale distacco e che non c’era nessun’altra ragazza. Era accaduto e basta. Filava con lo scooter verso la spiaggia dove lei lo aspettava già da un’ora. Piangeva riflettendo su quelle parole troppo dolorose da ascoltare, troppo dure da proferire. Non era riuscito a dirle, né quella sera né mai più. Fermò lo sguardo sulla prima relazione fondamentale della goniometria, esageratamente evidenziata da Giulia: doveva trattarsi di una formula importante se la compagna l’aveva messa così in risalto. “ Seno al quadrato più coseno al quadrato è uguale ad uno” lesse e ripeté più volte “ Vabbè, e che diavolo sono il seno e il coseno? ”
Cercò nell’indice i nomi delle due funzioni. Non era abituato a studiare a memoria: il suo cervello immagazzinava solo ciò che la ragione setacciava. “Ah, ecco! Il seno è definito come il rapporto …” Lo sbattere della porta e la voce modulata del padre nell’ingresso lo fermarono. Smise di leggere e con l’immaginazione andò dietro alla familiare presenza. Pensò alla sua andatura ciondolante e alla maniera di guardarsi intorno flettendo un poco la testa; pensò al suo mezzo sorriso quando era di buonumore. La voglia infantile di corrergli incontro gli scudisciò la bocca dello stomaco. Si alzò rimanendo ritto a guardare fuori della finestra, con i pensieri orientati verso quell’uomo. Sebbene avesse abbandonato la famiglia l’anno prima per seguire un’altra donna, Andrea non riusciva a biasimarlo, anzi sentiva per lui un’infinita tenerezza. Lo trovava simile ad un bambino ben educato e gentile che all’improvviso sferra un pugno ad un compagno molesto, sotto lo sguardo incredulo dei genitori. Dalla cucina giunse un rumore di piatti rotti, e poi grida. Si precipitò fuori della camera ma quando capì che si trattava dell’ennesima litigata si arrestò e si appoggiò con le spalle al muro. “ Maledetto bastardo!” urlò la donna che aveva afferrato un forchettone e lo brandiva contro il marito. “ Tu sei impazzita!” fece l’uomo temendo un gesto sconsiderato. “ Già! Sono pazza … pazza per causa tua! Che sei venuto a fare qui?” “Ho da prendere alcune cose” “E già! Prendi e porti via … Vai e vieni a tuo piacere” “Sarà l’ultima volta … Non ti darò più fastidio” “Lo spero per te. Se lo farai ancora, t’ammazzo … giuro che ti ammazzo” strillò
scuotendo minacciosamente il forchettone. “ Vorrei salutare Andrea … È in casa?” “ Non lo so … Non so dove sta quello scapestrato di tuo figlio … Cercatelo!” A quelle parole Andrea sgattaiolò in camera e si sedette alla scrivania fingendo di studiare. Un lieve tocco alla porta lo fece voltare, e finalmente incontrò il sorriso mite del padre. “Ehi, campione … come stai? Disturbo?” “Ciao papà. Entra pure. Ho quasi finito” mentì, e gli andò incontro. Si sedettero sul letto, un po’ imbarazzati, eppure entrambi sentirono un forte desiderio di gettarsi le braccia al collo. “ Come va la scuola?” chiese il padre. “ Insomma … Non proprio bene” rispose il ragazzo abbassando lo sguardo. Silenzio. L’uomo gli tirò su il mento e lo obbligò a guardarlo negli occhi. “Sto cercando di recuperare qualche materia. Dopodomani ho l’interrogazione di matematica” riprese, ostentando sicurezza. “ Ce la farai a are l’anno?” “Beh! Credo di si … spero. Io ce la sto mettendo tutta”mentì ancora, e le orecchie gli si colorarono di rosso. Il padre non poté fare a meno di ridere. “Perché ridi?” “Perché hai appena detto una bugia” “Come fai a saperlo?”
“ Le tue orecchie … diventano rosse quando non dici la verità. È sempre stato così, sin da bambino.” Ancora silenzio, ancora più dilatato. “ Vorrei tanto tornarci “ confidò Andrea con voce molle. “ Tornarci … dove?” “Tornare bambino. Quando tutto era così perfetto, tutto così felice … ” “ Già!” “Pensi che una felicità così potrà arrivare ancora?” “ No, non credo. La felicità dell’infanzia è irripetibile, ed è per questo che è la più vagheggiata. Essa è libera, autentica … istintiva. Un bambino non se la và a cercare perché è già nella sua anima; riesce a viverla con naturalezza senza le tante complicazioni dell’età adulta” “Che vuoi dire? … Che una volta cresciuti non si può più essere felici?” “ No, no … anzi! I grandi possono essere felici in tanti modi. Purtroppo il loro sistema di felicità è artefatto, illusorio, congegnato da bisogni apparenti. Un adulto, quando è felice, lo è sempre in modo indotto, e mai in modo naturale come accade in un bimbo. In altre parole, ogni uomo deve crearsi la propria felicità, e il vero problema consiste nel riuscire a riconoscere le cose che possono renderlo felice. Ciò che fa felice una persona può lasciare indifferente un’altra, e viceversa ” “ L’amore di Silvia ti fa sentire felice?” “ Si. È una donna dolcissima. Sto bene con lei … davvero bene” “Non ti manca la mamma?” “ Soffro per te … Mi manchi tu” Andrea si diresse verso la finestra per nascondere le lacrime; avrebbe voluto confessargli il dolore di quell’abbandono, dirgli che la sua vita era finita il giorno
in cui lui era andato via. Gli avrebbe detto la verità sulla scuola, sulla relazione con Giulia finita nel silenzio. Si volse di scatto verso il padre, disposto a rivelargli tutta la sua sofferenza. Lui era ancora seduto sul bordo del letto, il capo chino; tra le mani una foto di loro due al mare. Gli parve invecchiato, o forse stanco. Ancora una volta provò un sentimento di tenerezza. Gli si avvicinò, gli mormorò soltanto: “ Non preoccuparti, papà. Andrà tutto bene.” Dalla cucina giungevano imprecazioni e strilli. “ Devo andare. Tua madre sta per avere una crisi isterica”, disse strizzando l’occhio, “ Vienimi a trovare, e fammi sapere della scuola.” La porta si aprì violentemente e il volto accesso della donna troncò l’intimità del saluto. “ Ancora qui!? Prendi quello che devi prendere e sparisci! Via di qui! … Corri da quella puttana. Fuori! “ urlò lei senza ritegno, strattonando il marito verso l’uscita. Andrea ò la notte a studiare. Alle prime luci dell’alba si assopì sulle pagine del libro, e nel torpore le formule trigonometriche che era riuscito a memorizzare si scombinarono tutte, tramutandosi nelle parole di suo padre della sera prima.
II
Nel tardo pomeriggio suonarono alla porta. Andrea uscì dalla scrivania di malavoglia e andò ad aprire. Si accorse di barcollare; aveva studiato per molte ore ininterrottamente e ora si sentiva estraniato dalla realtà. Quando aprì la porta il senso di smarrimento aumentò; per un attimo pensò che si fosse assopito e che la figura delicata di Giulia che aveva davanti non fosse altro che un sogno. “Ciao “ salutò lei con un sorriso ammiccante “Beh? … Non mi inviti ad entrare?”incalzò vedendolo titubante. “ Si, si … Scusami … Entra pure” fece lui con un ampio movimento del braccio ” È che sono sorpreso … non ti aspettavo” “ Come dice il detto “Se Maometto non va alla montagna …” “ “ Se sei venuta per darmi una lezione di matematica hai sprecato il tuo tempo” “ Che vuoi dire?” “Voglio dire semplicemente che ho studiato come un pazzo e ora so tutto. Se non ci credi interrogami e vedrai. “ Giulia lo osservava divertita; conosceva le straordinarie capacità di recupero di Andrea e anche le sue abilità intellettive: non si sarebbe sorpresa se avesse risposto bene a tutte le domande. “ D’accordo. Cominciamo subito … Dove ci mettiamo?” “ Dove vuoi: qui, in cucina … oppure in camera mia” propose lui. La ragazza avanzò lungo il corridoio guardandosi intorno e sostando di tanto in tanto. I suoi pensieri accarezzarono i posti dove in segreto si erano cercati e amati; udì le stanze risuonare dei colpi acerbi del loro primo amore, annusò gli
odori umidi dei loro corpi eccitati. Provò nel cuore lo struggimento di quelle rievocazioni; si chiese come l’indifferenza avesse potuto velare momenti di vita tanto intensi. Si sedette sul divano del soggiorno con simulata disinvoltura cercando di dissipare le amare riflessioni. Tirò fuori dalla borsa il testo di matematica e lo scorse rapidamente. Andrea le si mise accanto e attese; riconobbe il profumo della sua pelle, lo stesso odore che nei loro momenti di intimità lo eccitava tanto da farlo star male. Le guardò i capelli e le mani … Le mani inquiete che, si ricordò, scendevano veloci dal petto alle gambe, e poi di nuovo su; che lo sfioravano, lo provocavano, e che infine lo aggrappavano dolorosamente nei palpiti di piacere . “ Dunque … Parlami del teorema di Carnot” cominciò la ragazza, accavallando le gambe e assestandosi meglio sul sofà. Trasalì. Abbassò gli occhi, quasi a celare il turbamento che li attraversava in quel momento. Si schiarì la voce, cercò il teorema nella caterva di formule ingollate. Disse poi: “ Il teorema di Carnot, o teorema del coseno , afferma …” L’interrogazione andò avanti per quasi un’ora: egli rispose a tutte le domande con tale rapidità e precisione da sconcertare la compagna . “ Bene. Se mi dimostri il teorema della corda, ti metto otto ” scherzò lei. Seguì un lungo silenzio: un’assenza di parole priva di riflessioni, un tempo fittizio sospeso sopra un tempo reale. Giulia prese a lisciarsi una ciocca di capelli andosela ripetutamente tra le dita, e intanto sogguardava l’amico. “ Avrei dovuto parlarti della mia sofferenza … Non ce l’ho fatta. Perdonami”,
eluse lui, alzandosi e avviandosi verso la finestra per nascondere il turbamento, così come aveva fatto la sera prima con suo padre, “Non chiedermi che cosa mi è successo … non lo so. Sono molto confuso, mi sento sfiduciato, senza entusiasmo. È stato come se ad un tratto la mia vita avesse subito uno strappo e una parte di me si fosse allontanata portandosi via il cuore.” Si volse di scatto verso di lei cercando i suoi occhi. “ Ecco, Giulia! … È stato proprio così! È come se mi avessero cavato il cuore, l’anima … le emozioni! ” esclamò, dalle sue stesse parole finalmente raccontate. Lei aveva smesso di giocare con i capelli e lo fissava, forse per comprendere meglio il suo stato d'animo. Le parve un’altra persona: i suoi gesti febbrili, le espressioni accorate del volto, lo allontanavano dal tipo di ragazzo disinvolto e brillante che aveva amato. “ Perché non mi hai permesso di aiutarti? … Perché fuggire?”gli chiese. “Te l’ho detto! Ho avuto paura di quello che mi stava capitando. Ero confuso” “A tal punto da dimenticarti di me?” “No, Giulia. Non ti ho mai dimenticata … mai!” “ E allora … perché non dirmelo? Perché scappare? Non hai pensato che il tuo abbandono mi avrebbe fatto soffrire? ” “Si, si, Giulia, l’ho pensato migliaia di volte … Scusami. Ma non volevo coinvolgerti, dovevo lasciarti fuori dal mio scompiglio interiore” “ Sarebbe stato meglio condividere la tua inquietudine che essere piantata senza una ragione.” Andrea tacque e si volse a guardare fuori della finestra il cielo rischiarato dalle prime stelle della sera. Si chiese se non fosse stato l’orgoglio a serrarlo nel proprio dolore escludendo chi lo amava; un maledetto orgoglio che aveva generato solo silenzi e incomprensioni, e accresciuto la sua solitudine. “ Adesso, però, non ne parliamo più. Recriminare su quello che è accaduto non
serve a nessuno. In questo momento devi pensare a recuperare lo studio, poi chissà … A volte ci affanniamo a risolvere i problemi e invece basterebbe lasciar are del tempo. Spesso è proprio il tempo che ricompone in segreto i cocci dell’anima che il dolore ha frantumato” riprese Giulia, con l’intento di non avvilire il compagno. “ Il fatto è che non si è preparati ai drammi della vita e quando ti capitano non sai cosa fare. Ti barcameni, cerchi di reagire dando delle risposte, ma chi ti dice che siano quelle giuste? Eh? … Chi te lo dice? Domani il professore mi chiederà il teorema di Carnot ed io risponderò bene, perché ho studiato. Ma quando la vita ti chiede di rispondere al vuoto che tuo padre ti ha lasciato andandosene di casa, mi dici come bisogna reagire? … Mi dici che cazzo di risposta bisogna dare? Ignorare tutto e continuare a fare ciò che si è sempre fatto? … Studiare, uscire, con gli amici , scopare! O uscire di scena per un po’, giusto il tempo per preparare una nuova parte da recitare, e poi ripresentarsi fortificato e allineato col resto del mondo? O ancora, lasciare completamente la scena e non tornarci mai più?” Giulia scattò in piedi. Aveva gli occhi umidi e le tremavano le labbra. Le sue parole ebbero un tono grave: “ Ora basta! Smettila di esasperarti! Non puoi sprecare la tua intelligenza per meditazioni sterili che ti fanno solo allontanare dalla vita. Cercare di dare una risposta alla sofferenza non serve, se non ad accrescerla ulteriormente … Devi solo accettarla e riprendere a sorridere, così come ho fatto io dopo la morte di mia sorella, e come ha fatto Guido dopo la morte della madre, e come fanno e faranno miliardi di persone che subiscono un dolore!” Tacquero. Lei riprese il libro di matematica e finse di sfogliarlo. Seguirono minuti interminabili di solitudini, in cui entrambi si videro staccati l’uno dall’altra e incapaci di ascoltare i reciproci silenzi. Quando suonarono alla porta Andrea non si mosse; seguitò ad osservare la linea tracciata nel cielo da un aereo e a pensare ai cuori racchiusi in quel puntino luminoso.
“ Non vai ad aprire?” chiese Giulia “Non aspetto nessuno. A quest’ora poi …” fece lui senza staccare gli occhi dal suo aereo. “ Va bene. Andrò io ad aprire” disse la ragazza, e si alzò di scatto. Guido comparve sull’uscio col suo sorriso sardonico. “ Ciao bella. E Andrea … dov’è?” domandò, e senza attendere risposta si introdusse in casa trascinandosi dietro una fiumana di compagni. Si sparsero tutti nel corridoio e nel salone, ciarlando e muovendosi a fatica tra i mobili. “ Dove le poggiamo queste?” disse Pasquale con una pila di incarti di pizza tra le braccia. “ Qui, poggiale qui … su questo tavolo. E tu, Antonio, la cassetta delle birre, mettila accanto al divano. Ecco … così va bene” dispose Guido che intanto sistemava sedie e spostava ninnoli. “ Ma che succede? Che ci fate voi qui?” riuscì a strillare Andrea che era rimasto alcuni secondi senza parole, tanto era stato lo stupore per quell’ invasione. “Oh! Eccoti qui! … Ragazzi, salutiamo il padrone di casa e ringraziamolo per la sua sincera ospitalità” dichiarò Guido con modi istrionici. Un’ovazione esplose nell’appartamento; Marco e Domenico si affrettarono ad aprire alcune bottiglie di birra. I posti migliori, quelli sui divani, se li accaparrarono Rosanna e Antonio, i quali avendo iniziato a filare da un paio di mesi avevano necessità di spazi intimi e comodi. “ Allora, Giulia, com’è andata la lezione?... Lo hai preparato per bene?” chiese Giuseppe, intercalando un pizzico di malizia. “Fermi un attimo! “, esclamò Andrea calamitando l’attenzione di tutti, “ Ora ho capito! … Giulia, tu sapevi che sarebbero venuti qui stasera … Eravate
d’accordo … non è vero?” “ Che genio! Che genio!” ironizzò Giuseppe, e di seguito ancora applausi e risate. “ Dai Andrea, non te la prendere. Festeggiare senza di te sarebbe stata una carognata” disse Giulia con tono melenso. “Nel bene e nel male, la quarta A liceo sempre unita deve stare” declamò Aldo, e di nuovo applausi, ma con qualche disapprovazione per la rima penosa. “Vedi un po’ queste canaglie … ! Mi spiegate come facevate a sapere che mia madre non ci sarebbe stata? “ domandò Andrea. “ Considera che siamo una delle classi migliori della nostra scuola, anzi … la migliore! Considera che siamo gli studenti più …” stava per chiarire Giuseppe. “Ma vuoi tagliare corto?” troncò Matilde “Di’ pure che abbiamo i nostri informatori “ “Già! È stato l’uccellino di Guido a dirci che tua madre avrebbe avuto il turno di notte” scherzò Salvatore. “ Ehi! Andiamo piano con questi diminutivi quando si parla di uccelli. Nel mio caso sarebbe opportuno usare l’accrescitivo … Dico bene, Stefania?” alluse Guido, facendo l'occhiolino alla compagna. “ Sentite, po- po- poche chiacchiere. Le pizze si freddano … vo- vo- vogliamo mangiarle?” balbettò Damiano. “ Giusto! Tartaglia ha ragione. Ragazzi … allo sbafo!” fece Aldo. Seguì un intreccio di braccia sugli incarti fumanti, e il sapore delle pizze accompagnò la vivacità delle loro fresche vite. Dalla finestra aperta l’ estate incipiente sussurrava sensazioni di leggerezza e alitava i profumi delle stelle. Guido andò a sedersi vicino a Giulia. Addentò lo spicchio di pizza che
molleggiava maldestramente e approfittando del frastuono della musica le chiese: “ Com’è andata?” “Vuoi dire la lezione? … Non ne ha avuto bisogno” fece lei “Come?! … Non lo hai aiutato?” “Te l’ho detto. Non ne ha avuto bisogno. Aveva già studiato tutto e bene … da solo” “Grande! Ho sempre pensato che quello è un genio …” “Aspetta! … Resta la questione più delicata: è che non ce la fa ad accettare l’allontanamento del padre. Si tormenta, sta molto male. Dovremmo fare qualcosa” “ Per la miseria! Che altro dobbiamo fare?... Gli stiamo alle costole da un anno “ “ Il fatto è che è diventato molto riservato, diffidente. Non è semplice aiutarlo se si ostina a restare nel suo guscio. Speriamo che almeno i professori comprendano il momento difficile che sta vivendo ” “ Chi? … I professori? … Quelli, tranne pochissimi, sono degli incapaci.” Alle otto precise del giorno seguente i due amici giunsero all’ingresso della scuola seguiti dall’occhiataccia del bidello che lavava per terra. “E voi che ci fate qui?” domandò quello. “ Vediamo se ti riesce di indovinare” disse sarcastico Guido che si era alzato con la luna storta. “ Giovanotti, non ho tempo da perdere” “Neppure noi. Facci are” replicò Guido “Ma chi cercate?” chiese spazientito il bidello
“ Intanto stiamo cercando di entrare nella nostra scuola. Se ci fai are vorremmo sederci nella nostra aula, e lì aspettare il nostro professore … Contento?” spiegò ancora più acido il ragazzo “ Chi è il professore?” “ Tuttosommato … quello di matematica” “ Ma se quello non ci viene mai, figurarsi l’ultimo giorno di scuola! Ha telefonato poco fa e ha detto che prende un giorno di malattia … E ora sparite!”
III
Un’ anomala canicola si riversò sulla giornata destinata agli scrutini finali. Il consiglio della quarta A liceo era stato fissato alle quindici e trenta; in quell’ora l’istituto, stretto da svariati ettari di vigneto, tremolava sotto la spinta del calore emanato dalla terra pietrosa. Nel cortile non c’era neppure un albero, solo qualche sparuto cespuglio. Quando arrivò il preside Assaincartato il sole proiettava intorno alla scuola poche ombre, e pure risicate. Per trovare un posto al fresco dove poter parcheggiare egli perlustrò minuziosamente ogni spazio, valutò il percorso del sole, calcolò le distanze tra le auto in sosta e quantificò pure il tempo che sarebbe occorso per espletare le operazioni di scrutinio di quel pomeriggio. Tutte queste considerazioni gli valsero venti giri intorno all’edificio, un ritardo di trenta minuti rispetto all’ora di inizio del consiglio, e l’epiteto senzacervieddu da parte del bidello che dalla vetrata dell’ingresso aveva annoverato le sue giravolte. Il posteggio a ridosso della gradinata gli parve il più conveniente: ampio e a due i dall’entrata. Il fatto che fosse poco ombreggiato, però, avrebbe significato lasciare i due terzi della macchina esposti al sole, a meno che non avesse parcheggiato perpendicolarmente alla scalinata e rasente il muro; ma ciò avrebbe implicato un parcheggio faticoso tra due auto in sosta. Optò per il parcheggio faticoso. Le conseguenze di tale scelta furono imbarazzanti, non tanto per l’interminabile successione di manovre a cui si sottopose, quanto per la successione di appellativi ridicoli confabulati dai bidelli accorsi per sbirciare la scena. Alle sedici e trenta, vale a dire un’ora dopo l’orario stabilito per l’inizio dello scrutinio, ovvero un’ora dopo il suo arrivo a scuola, il dirigente Assaincartato uscì dalla macchina. Sostò qualche secondo sui gradini della scalinata per
controllare la precisione del parcheggio appena compiuto, ma anche per godere della vista della sua auto: un gioiello di centomila euro di colore nero. Tanto elegante e slanciata da sembrargli una pantera allungata sul ramo di un albero. Di botto si ricordò di essere in ritardo e allungò il o ( comunque corto sebbene lo sforzo). Entrò nella scuola e si avviò verso la sala dello scrutinio, spiato dai bidelli e da alcuni docenti. C’era sempre un certo impaccio a salutarlo perché le probabilità di essere ricambiati mutavano continuamente, e senza una logica precisa. Accadeva spesso che nell’attimo in cui qualcuno gli rivolgeva il saluto egli voltasse la faccia dall’altra parte. Molti docenti ingegneri avevano tentato, avvalendosi delle leggi della fisica, di interpretare scientificamente codesto atteggiamento. Dopo estenuanti congetture avevano teorizzato che l’aleatorietà del saluto era legata alla sua camminata da palombaro. In altre parole, Assaincartato, incedendo, tendeva a divergere i piedi, proprio come fa il sub per via delle pinne; tale atto lo portava istintivamente a buttare le braccia alternativamente in avanti e indietro, e a girare il capo a destra e a manca. La probabilità che egli rispondesse al saluto altrui era per l’appunto legata al movimento rotatorio della sua testa; in soldoni, solo colui che lo avesse salutato nello stesso istante in cui lui gli volgeva la faccia ( l’azione doveva essere compiuta in un decimo di secondo), sarebbe stato contraccambiato. Quel pomeriggio a causa del notevole ritardo i suoi abituali movimenti da subacqueo si sconquassarono provocando un giramento accavallato di braccia, gambe e testa, e i salutanti si ingarbugliarono pure loro. Alle sedici e trentacinque, nella sala del consiglio non c’era nessuno.
Vedendo le sedie vuote il preside diede in escandescenze. Bofonchiò pesanti bestemmie e assicuratosi che nessuno lo vedesse mollò un cazzotto alla porta dell’aula. Un’azione simile, qualche mese prima, era costata una sospensione di dieci giorni ad un alunno del secondo anno. Il ragazzo aveva tirato un pugno alla lavagna perché non gli era sembrato giusto che il professore di disegno lo avesse mandato fuori dell’aula solamente perché aveva scoreggiato durante il compito in classe. Il provvedimento aveva suscitato non poche polemiche tra gli studenti: a loro avviso la sanzione comminata era stata troppo pesante a fronte di una scoreggia tanto leggera. Incurante del dolore alle nocche della mano il preside si lanciò verso il corridoio centrale e postosi nel mezzo di esso sbraitò: “ I DOCENTI DELLA QUARTA A LICEO … IMMEDIATAMENTE IN AULA!” All’istante, vennero fuori diversi insegnanti, alcuni dagli uffici di segreteria, altri dalla sala docenti, e altri ancora dal bar; questi ultimi, raggiunti dal tuono dirigenziale, erano stati costretti a tracannare in tutta fretta la loro bibita ghiacciata. Gli sfilarono davanti in silenzio e con gli occhi bassi, come scolaretti sgridati dal maestro. Neppure la docente di disegno, una matrona alta un metro e novanta che andogli accanto avrebbe potuto schiacciarlo allo stipite con la sola pressione del seno, osò contestare il suo tono furibondo e inopportuno. In virtù della sua statura avrebbe potuto piantare gli occhi verticalmente al suo cranio pelato, per poi puntualizzare: “ Egregio preside, vorrei farle notare che lei è in ritardo di sessantacinque minuti rispetto all’orario stabilito nella circolare, orario in cui noi tutti eravamo seduti su quelle sedie che lei entrando ha trovato vuote. E sa perché erano vuote? Perché non ce la facevamo più ad aspettarla e siamo usciti dall’aula … E ora mi faccia are!” A quelle parole egli avrebbe limato la sua ridondante prosopopea e forse, chissà, si sarebbe pure scusato … Buona come americanata!
La realtà è tutta un’altra cosa, soprattutto quella scolastica, ingentilita di ipocrisia e tappezzata di protocolli, dove la subordinazione domina la ragione e l’ottusità prevale sul talento. A riprova di ciò tutti i docenti, matrona compresa, si sedettero senza fiatare; il loro disappunto, solo intuibile sulle loro facce tirate, ò inosservato al dirigente dal momento che egli non aveva l’abitudine di guardare in faccia i suoi subalterni ma soprattutto … non aveva intuito. Assaincartato si collocò davanti al computer e cercò l’elenco dei docenti. Fece l’appello senza alzare lo sguardo dal monitor cantilenando i loro nomi a mo’ di litania, e non ci si sarebbe meravigliati se qualche docente, per esempio quella di religione, invece di “ Presente!” avesse risposto “ Ora pro nobis!” Sembrava che non mancasse nessuno; i tavolini disposti a ferro di cavallo erano stati tutti occupati. Il tavolo del preside chiudeva la staffa. Un osservatore ingenuo avrebbe detto che i docenti si erano accomodati senza alcun criterio di scelta dei posti, quindi dove capitava. In realtà, la distanza della posizione di ognuno di loro da quella del preside cresceva man mano che aumentava il grado di intolleranza nei suoi confronti. Pertanto gli erano vicini alla sua destra il professore di informatica Piccirotto e alla sua sinistra la professoressa d’ inglese Malelingua: entrambi premurosi e disciplinati collaboratori della presidenza, nonché insaziabili lavoratori, come pure alacri progettisti! A debita distanza e parzialmente celato dalla giunonica professoressa di disegno Cangiamano, era seduto il professore di matematica Tuttosommato, spietato oppositore del preside. Le ragioni della sua avversione per il capo erano spiegate ancora una volta dalla fisica! Si trattava di antipatia elettrica, una sorta di repulsione istintiva originata non già da negative esperienze personali o professionali bensì da una negativa interazione del proprio campo elettrico con quello del dirigente. Insomma, non appena Tuttosommato vedeva il preside, anche da lontano, sentiva aumentargli l’energia elettrica e subito gli giravano … gli elettroni! A onor del vero, il docente possedeva una elevata propensione ad elettrizzarsi. Anche una banale conversazione con i colleghi lo rendeva agitato e malfermo sulle gambe; scrollava le braccia e ondeggiava la testa, saltellava su un piede e poi sull’altro, e intanto sparava idiozie senza controllo .
L’intensità della sua energia elettrica toccava il valore massimo quando entrava in classe. Le sue lezioni non erano per niente noiose: gli alunni lo seguivano svegli e perfino interessati. Non che capissero ciò che lui si arrabattava a spiegare; semplicemente trovavano divertente la sua traiettoria all’interno dell’aula, simile ai rimbalzi della pallina del flipper. Schizzava dalla cattedra alla lavagna, zigzagava tra i banchi incespicando tra gli zaini; eccezionalmente si fermava davanti alla finestra a sbirciare il cortile ma giusto un microsecondo, poi si ritrovava seduto con le gambe allungate sotto il tavolo. C’era una frase dei ragazzi che lo faceva andare in cortocircuito: “ Professò, non ho capito. Me lo potete rispiegare?” A tale richiesta egli rimaneva inverosimilmente immobile; dopodiché lanciava un urlo e di seguito parolacce a iosa. Usciva dall’aula e subito vi rientrava sbattendo violentemente la porta. Con lo scatto di un maratoneta raggiungeva la lavagna e la colpiva con un pugno, oppure scalciava contro la cattedra o il banco del ragazzo che aveva azzardato la richiesta. La mattina dello scrutinio dovette prendere trenta gocce di bromazepam per riuscire a stare seduto per qualche ora, ma sarebbe bastata la sola presenza della collega Cangiamano sedutagli accanto a mantenerlo inoffensivo. La docente di disegno era un’imponente donna poco meno che cinquantenne, occhialuta e con un mucchio di lunghi capelli paglierini. Nonostante insegnasse da vent’anni in quella scuola erano pochi a conoscerne la faccia, non tanto per la sua singolare statura quanto per la vastità del suo seno; era appunto lì che lo sguardo altrui si arrestava e non ce la faceva ad andare su. Data la giornata molto calda la donna era vestita leggera; lo scollo generoso della camicetta di chiffon porgeva le seducenti sporgenze mettendo a repentaglio la pace coniugale di coloro che avrebbero rallentato su quelle curve. Tuttosommato , fiaccamente ammogliato, ne intuiva la minaccia. Per non rischiare di urtare accidentalmente una sua mammella cercò di trascinarsi con la sedia verso l’altro lato, ossia verso sinistra dato che Cangiamano gli sedeva a destra.
Anche lì però non c’era da scherzare. Seduto di sbieco e con le gambe accavallate, c’era il professore Viacolvento , insegnante di scienze: un quarantenne scapolo e ciondolante, tipo sottile quasi incorporeo. Di palpabile aveva solo un grosso ciuffo svolazzante che andava su e giù allorquando, nell’incedere, i suoi fianchi ossuti si dimenavano a destra e a manca. Per farla breve, allontanandosi troppo da quella di disegno, il docente di matematica avrebbe rischiato di cadere direttamente nella brace: a scuola tutti sapevano che Viacolvento, insensibile alla delicatezza delle labbra femminili, si attizzava alla vista di quelle ruvide e sormontate da folti baffi … E Tuttosommato i baffi ce li aveva, e pure molto folti. Mentre alla sinistra della Cangiamano il professore di matematica si attorcigliava sulla sedia per schivare pericolose elettrizzazioni per strofinio, alla destra la situazione era decisamente differente. Qui sedeva Sentiamammà, docente di fisica fresco di concorso, vestito con i colori dei Santi Medici e con un collo di camicia alto e inamidato da raggiungere le orecchie. Da quando la fidanzata lo aveva mollato poche ore prima delle nozze il giovanottello aveva perso interesse per le donne; viveva con mammà, persona lesta e zelante che provvedeva a non fargli mancare proprio niente: minestra calda, camicie inamidate e un subisso di consigli. Sentiamammà se ne stava con il capo rizzato oltremisura, forse per evitare che le orecchie finissero giù nel colletto; il suo sguardo era bloccato sulla collega che gli stava di fronte, la professoressa di religione Croceasmerza. Non che fosse attratto da lei ( per le ragioni dette prima) ma perché gli occhi se ne andavano naturalmente secondo la traiettoria perpendicolare alla direzione della sua posa impalata. Croceasmerza era una trentenne secca e disadorna. Sarebbe ata inosservata se non avesse avuto un’andatura singolare, unica ragione per cui gli uomini incontrandola si voltavano a guardarla. Era la stessa camminata che avrebbe avuto una mummia egizia se miracolosamente fosse uscita dal sarcofago per fare due i. Il corpo tubolare inarticolato era mosso da un rapido movimento dei piedi. Gli abiti che indossava accentuavano questa sua peculiarità: scuri, fascianti e lunghi fino alle caviglie. Ma ciò che più allibiva nel suo look erano le
calzature, che Croceasmerza indossava anche durante i freddi della candelora: sandali monastici che mostravano gli alluci avvolti da garze bianche. A compensare tanta austerità c’era la professoressa d’italiano Sabbina che le sedeva accanto: donna corta ma ingombrante, con fianchi allargati all’inverosimile. Sebbene prossima alla pensione Sabbina insisteva a vestirsi con colori chiassosi, tutti rigorosamente abbinati. Per arrivare a scuola alle otto si alzava alle quattro del mattino; tirava fuori dall’armadio una ventina di indumenti e dava inizio alla scelta degli accostamenti. Combinava e scombinava, scambiava e scartava. A volte si spazientiva e strillava; così interveniva il marito docente di matematica applicata che, sebbene daltonico, forniva precisi ma inutili suggerimenti avvalendosi del calcolo combinatorio. Selezionati i capi da indossare restava il problema degli accessori: scarpe, cinture, bigiotteria e finanche le mollette per i capelli. Arrivava a scuola colorata come un cartellone propagandistico, e come tale tirava a sé gli sguardi di colleghi e studenti. E non solo: chi la conosceva bene sapeva che nelle ore di buco ma volentieri anche nel cambio dell’ora, e pure durante le ore di lezione, la Sabbina propagandava i fatti degli altri. Anche in questo caso si dava un gran da fare a rastrellare le confidenze dei docenti, le indiscrezioni sul preside, gli sfoghi degli alunni, e a divulgarli, non prima però di averli accuratamente abbinati. Il dirigente seguitava nell’appello rimanendo piegato sul monitor ma quando ebbe pronunciato il nome della professoressa di educazione fisica Chilavista fu obbligato ad alzarsi col busto per adocchiarla, preoccupato che non ci fosse. “ Sono qui!” esclamò quella, senza staccare gli occhi dal suo smartphone. Se ne stava seminascosta al fianco della larga Sabbina con le gambe segaligne allungate sotto il banco e la faccia immusonita. Gli scrutini finali la irritavano, come anche gli scrutini intermedi, e i consigli di classe, e i colloqui con le famiglie, e le stesse lezioni con gli studenti!
Il disturbo le era iniziato un anno dopo l’immissione in ruolo. La diagnosi era stata lampante: idiosincrasia all’insegnamento! La terapia altrettanto evidente: restarsene a casa almeno quattro giorni alla settimana. In dieci anni di servizio (si fa per dire) nella scuola, Chilavista aveva accumulato un numero incalcolabile di assenze, e tra i suoi alunni ( si fa per dire ) girò voce che avesse avuto l’esonero dall’educazione fisica. Il trillo di una sveglia convogliò gli sguardi dei presenti su un borsone cangiante poggiato a terra vicino ai piedi di Sabbina . “ SILENZIATE I CELLULARI!” urlò il preside. La docente d’italiano fece spallucce, arrossì ( per buona sorte i colori indossati quella mattina legavano bene col rosso ), e volgendosi al dirigente agitò vistosamente l’indice in segno di discolpa. Assaincartato scattò in piedi indispettito dal suono isterico del telefonino e strepitò: “INSOMMA! … DI CHI È QUESTO CAZZO DI CELLULARE?” Croceasmerza trasalì; le parve inaudito che un preside pronunciasse in un consiglio di classe una parola così indecente e disgustosa( tanto più che le docenti, eccetto Sabbina, erano tutte zitelle). Tuttavia nessuno protestò, anzi tutti si diedero da fare a cercare quel cazzo di cellulare che seguitava a schiamazzare … tutti tranne la professoressa Quantembranata. La docente aveva l’aspetto di chi è alle prese con visioni ultraterrene: busto rappreso e occhi sbarrati. Espressione che le era rimasta addosso dal giorno in cui il marito se ne era andato con un uomo portandosi i suoi risparmi e lasciandola col figlio appena nato. Quello fu il danno, la beffa venne dopo, quando le assegnarono l’insegnamento sul sostegno. La si vedeva vagare per i corridoi della scuola in cerca dell’aula dove introdursi; confondeva le classi, scambiava gli alunni. Trovato l’alunno da sostenere, si sistemava accanto a lui e lo salutava con una
voce impercettibile, poi tirava fuori dalla sua tracolla adesivi, forbici, cartine colorate e fotocopie; tagliava, incollava e bisbigliava. Nel frattempo che lei svolgeva la lezione il suo ragazzino si cercava qualcosa da fare: usciva fuori per conversare col bidello oppure perdeva tempo in bagno con qualche amico, altrimenti le restava accanto, immobile e senza fiatare, a messaggiare col compagno di banco. Nella quarta A liceo Quantembranata si occupava di Damiano, ragazzo con un lieve ritardo mentale e una leggera balbuzie. Lo seguiva soltanto nelle materie dell’area umanistica, perché per l’area scientifica ci pensava il professor Quantenoioso , un perticone malandato e maleodorante, dotato di una parlata soporifera al gusto di aglio. Si spostava in bici per ragioni ambientali e salutistiche, diceva lui. In realtà il motivo era solo economico: o manteneva la macchina o manteneva la moglie. Sebbene lui avesse scelto la prima l’avvocato matrimonialista gli aveva appioppato la seconda. Percorreva venti chilometri di strada per arrivare a scuola; vi giungeva fradicio e boccheggiante e certe volte non riusciva neppure a mantenersi in piedi. Allora c’era sempre qualche studente che sfotteva: “ Presto, ragazzi! Corriamo a sostenere l’insegnante di sostegno! “ Nei consigli di classe egli si metteva vicino alla collega Quantembranata; pur non essendo amici stavano seduti uno affianco all’altra dividendosi il banco. Non si guardavano né si parlavano, eppure quella volta Quantenoiso si piegò verso di lei e le sussurrò nell’orecchio: “ Collega, forse è il tuo” “Il mio … cosa?” esclamò quella, spaventata dall’irruzione dell’uomo “Il tuo cellulare … sta squillando” fece lui, soffocato dalle sbuffate di Assaincartato che giungevano a raffica.
Quantembranata lo fissò stranita, scrutò tutti i colleghi, incespicò nell’occhiataccia del preside, e solo allora riuscì a sentire lo squillo sfibrato, e a realizzare che si trattava del suo cellulare. Si sfilò la tracolla e cercò a lungo tra le carabattole, rovistò in ogni taschino ma non riuscì a trovarlo. L’attesa divenne grottesca; qualcuno ( probabilmente Tuttosommato che sentiva gli elettroni in subbuglio) inveì sottovoce: ”Porca miseria! Ma perché non la svuota quella maledetta borsa!” Forse fu l’imbeccata tacita del collega o chissà una botta di genio, fatto sta che Quantembranata rovesciò la sua sacca. Venne fuori di tutto: borsellini, mazzi di chiavi, colla, forbici, spillatrice, nastrini colorati … ma non il telefonino, che dolorosamente continuava a strillare. Da una situazione di nervosismo generale si ò a uno stato di angoscia claustrofobica. Alcuni meditarono di darsi alla fuga, altri di correre in bagno. Cangiamano immaginò di sollevare da terra la collega e di scuoterla violentemente fino a che quel cazzo di cellulare non fosse venuto giù. Quantenoioso che aveva osservato attentamente le manovre della collega, desunse che il cellulare non potesse trovarsi nella tracolla della scalognata bensì in una delle tante tasche cucite sulla sua smisurata gonna. Il suo ragionamento non faceva una piega; la gonna di Quantembranata invece ne faceva molte, e scansarle ad una ad una per rovistare nelle tasche non fu semplice. Ad ogni modo il cellulare fu trovato e reso innocuo, e così rientrò pure il pericolo di parossismi da parte del dirigente che poté concludere l’appello in santa pace. Una pace che durò tre secondi; al quarto secondo la voce di Assaincartato deflagrò: “ PROFESSORE! … VUOLE RISPONDERE ALL’APPELLO?” Nessuno osò chiedergli con chi ce l’avesse; toccò a uno dei due galoppini parlare. “ Scusi preside” intervenne Malelingua “ Ma chi ha chiamato?” “ Come chi? … Il professore Avanvera! … Dov’è finito?” fece lui assecondando il tono mieloso della sua pupilla.
Mancava il docente di filosofia e nessuno se n’era accorto. In breve tempo il consiglio si frantumò: i docenti vennero fuori dalla staffa e si riversarono al bar, Piccirotto e Malelingua galopparono verso gli uffici per telefonare all’insegnante disperso, mentre il dirigente se ne restò seduto con i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani sulla pelata. Viacolvento stava bevendo un caffè quando si accorse che un individuo si introduceva furtivamente nella scuola attraverso la porta laterale lasciata aperta per il caldo. Era un giovanotto in tenuta da spiaggia: calzoncini, ciabatte, e torso nudo … “E che torso!” pensò il docente di scienze, dalla straordinaria visione. Lo vide dileguarsi nel bagno degli alunni che si trovava in fondo al corridoio, nei pressi della porta da cui era entrato. Finì il suo caffè e aspettò che l’uomo misterioso uscisse dal gabinetto; ordinò un altro caffè, e un altro ancora, fino a quando non vide la porta aprirsi. Ne venne fuori un individuo insignificante, distante anni luce dal giovanotto piacente che vi era entrato: il torso nudo che tanto lo aveva eccitato si mostrava ora coperto da un’insulsa camicia a righe mentre un paio di calzoni larghi e stropicciati ammantavano tristemente le gambe atletiche. Lo strano Mandrake avanzò disinvolto nel corridoio, diretto verso il bar. “ IL PROFESSORE … AVANVERA !? …” pensò incredulo Viacolvento, osservandolo meglio. Avanvera,vestito da docente di filosofia, sorseggiò con molta calma un tè freddo, poi con moltissima calma andò a sistemarsi nell’aula del consiglio dove il dirigente, senza più forze e ancora con la capoccia tra le mani, si era afflosciato sopra il tavolo. In un tempo pari a quello che intercorre tra il lampo e il tuono il girotondo dei docenti si ricompose. Bisognava solo aspettare l’arrivo del fulmine dirigenziale contro il docente trasformista. Paradossalmente arrivò il sereno! Assaincartato scartò un sorriso tisico che gli scoprì i dentini da topo, illanguidì lo sguardo verso Avanvera e dichiarò: “ A questo punto possiamo dare inizio allo scrutinio della quarta A liceo. Il vostro collega di filosofia mi ha riferito di essere stato coinvolto in un
incidente d’auto, per fortuna senza conseguenze per lui; è arrivato in ritardo perché si è offerto di accompagnare un ferito in ospedale” “Si … in bermuda e ciabatte” avrebbe voluto gridare Viacolvento, ma non era aria! “Sono davvero rammaricato. Mi scuso col preside e con voi tutti per aver causato un rallentamento dei lavori, ma capite bene che era mio sacrosanto dovere prestare soccorso ” interloquì il professore Avanvera alzandosi in piedi. Si accorse di avere della sabbia tra i peli delle braccia e subito si rimise seduto. Mentre il dirigente visionava il prospetto dei voti, i suoi collaboratori Piccirotto e Malelingua , esperti maestri di ballo burocratico, intrapresero la danza delle carte: con eleganti movenze delle braccia elargirono statini ai docenti, salterellarono verso gli uffici per attingere ai certificati , serpeggiarono nei locali della scuola con faldoni di documenti tra le mani, infine deposero con volteggi sincroni una caterva di carte nei pressi del dirigente Assaincartato, che nonostante i trent’anni di incartamenti alle spalle non riusciva mai a trovare le carte giuste per non incartarsi. Una qualità però bisognava riconoscere al preside: aveva un intuito non comune nel cercarsi i collaboratori adatti. Si prenda Piccirotto, poco docente di informatica, molto progettista: sempre reperibile, sempre disponibile, sempre controllato. Si prenda Malelingua, poco docente d’inglese, molto progettista: sempre reperibile, sempre disponibile, sempre controllata. Bastava una manciata di progetti e volavano subito con lui, con voli per Praga, Londra, Dublino, Monaco di Baviera, Berlino … Che angeli della scuola! Finalmente alle diciassette e quarantacinque, ovvero con un ritardo di due ore e un quarto sull’orario stabilito, ebbero inizio le operazioni di scrutinio. Assaincartato( gonfiando il suo petto di colombo): “ Risultano ammessi alla classe successiva per meriti propri gli alunni Tre, Quattro, Cinque, Sei, Tredici, Quattordici e Quindici. … Siete tutti d’accordo?”
Un “si ” scialbo corse lungo il rondò dei docenti. Assaincartato: “ L’alunno Due ha quattro in fisica e quattro in matematica. Che dicono i professori Sentiamammà e Tuttosommato? Restano quattro e si danno due debiti, o li ate a sei?” Sentiamammà: “ Mi scusi signor preside, ma io ho messo otto all’alunno Quattro” Assaincartato (con volto bluastro): “Professore, non si distragga! Stiamo parlando dell’alunno Due che ha quattro in fisica, non dell’alunno Quattro che abbiamo già scrutinato. Allora che fa? Lascia il quattro?” Sentiamammà: ” Non so … Due non ha mai studiato seriamente. Quando lo interrogavo lui …” Assaincartato: “ Senta professore, abbiamo perso già tanto tempo. Mi dica che vuole fare, resta quattro o lo a a sei?” Sentiamammà:” Va bene … allora metto sei” Tuttosommato: “ Il mio quattro resta quattro. Due non è un ragazzo da sei.” Assaincartato: “ Allora, l’alunno Due viene ammesso con debito in matematica. iamo ora all’alunno Cinque che ha un solo cinque in matematica, come pure l’alunna Sette” Tuttosommato : “ Il cinque di Cinque a a sei, il cinque di Sette resta cinque e le do il debito” Cangiamano :” Scusami collega se mi permetto ma ciò mi sembra ingiusto. La situazione di Cinque è identica a quella di Sette; devono essere trattati nello stesso modo. Il debito o lo si da ad entrambi o a nessuno dei due” Tuttosommato ( gli sarebbero occorse altre trenta gocce di bromazepam per finire il consiglio): “Non ti permetto di sindacare sulla mia valutazione. Io ribadisco che Sette deve essere punita perché non ha studiato e ha pensato soltanto a fare la civetta con Quattro. Le ho messo cinque, ma in realtà meriterebbe quattro”
Cangiamano: ” Allora mettile quattro e dalle il debito; se le dai cinque non puoi darle il debito. Tuttosommato: “Come … non posso darlo? È sempre un’insufficienza il cinque!” Cangiamano: “D’accordo, ma allora devi dare il debito anche a Cinque che ha pure cinque in matematica” Tuttosommato: “ Non se ne parla proprio. Il cinque di Cinque lo o a sei e non gli do il debito. Sette invece si porta il debito con cinque nella mia materia, così impara a studiare invece di perdere tempo a flirtare con Quattro” Viacolvento:” La collega ha ragione. Cinque e Sette hanno entrambi cinque in matematica. Perché il cinque di Cinque diventa sei e il cinque di Sette rimane cinque?” Assaincartato (con una voglia matta di saltare dalla finestra e far perdere le proprie tracce): “ BASTA! Sette si porta il debito mentre Cinque viene ammesso senza debiti. Siete d’accordo? … Chi è contrario?” Tacquero. Solo Sabbina fu sul punto di intervenire ma poi si ricordò dell’appuntamento col dentista. Assaincartato: “ Gli alunni Nove, Dieci e Dodici stanno nella stessa condizione: hanno quattro in filosofia. Tutti e tre si portano il debito in filosofia. Siete d’accordo? … Bene. Andiamo avanti. La situazione di Otto e Dodici è drammatica: due quattro e due tre. Con questi voti sono da bocciare entrambi” Sabbina: “ Io posso are il mio quattro a cinque” Assaincartato: “ Forse non le è chiaro che con quattro insufficienze, tra l’altro gravi, si boccia! Se lei mette cinque il problema rimane. E poi lei che c’entra? Le materie in questione sono filosofia, scienze, fisica e informatica” Sabbina: “ Mi scusi … ma chi stiamo scrutinando?” Assaincartato (concentrandosi sui consigli del suo analista): “Professoressa, stiamo parlando di Otto e Dodici”
Sabbina : “ Otto e Dodici? … Preside, questi sono dei BES” Chilavista si scosse, alzò gli occhi dallo smartphone e domandò a bassa voce alla collega d’italiano che le stava di fianco: “ Che sono?! … Fes?” Sabbina (sottovoce): “ Sono BES, cioè alunni con bisogni educativi speciali” Chilavista( sottovoce): “ Chi sono questi? Non me li ricordo … Dove stavano seduti?” Sabbina (sottovoce): “Otto stava seduto dietro, vicino alla finestra, con Sei e Sette; mentre Dodici stava al primo banco con Tredici” Chilavista( sottovoce): “ Boh?” Avanvera: “ Ecco! Un’altra invenzione della scuola per ridicolizzare l’istruzione e gli istruttori … Alunni Bes e docenti Fes-si! Non se ne può più.” Sabbina: “ Parli così perché non conosci le problematiche di questi ragazzi. Otto e Dodici hanno situazioni familiari che …” Avanvera: “ … che non voglio sapere dal momento che sono un docente e non un assistente sociale” Assaincartato ( che non voleva diatribe per non perdere ulteriore tempo): ” Professore Avanvera lasci parlare la collega.” Montata dall’assenso del dirigente ed esaltata dall’attenzione su di sé ( e dunque sugli abbinamenti del giorno), Sabbina sciorinò tutti i fatti personali dei due alunni disgraziati: separazioni, tradimenti, congiure, abbandoni, maltrattamenti. Non tralasciò nulla. Una diatriba avrebbe fatto perdere molto meno tempo e tale pensiero ingiallì Assaincartato. Nondimeno, la sconsolata narrazione della docente d’italiano riuscì impensabilmente ad accelerare la valutazione: i tre e i quattro divennero sei e Otto e Dodici furono ammessi alla classe successiva con il solo debito in filosofia. Avanvera era stato irremovibile; i suoi tre non li volle cambiare.
Per lui Otto e Dodici erano solo degli scioperati, e pure molto furbi. Convincerlo che erano veri Bes era come parlare a vanvera! Assaincartato( con occhiaie da obitorio): “ La situazione di Undici non presenta problemi; ha sei in tutte le materie. È per caso l’alunno col sostegno?” Silenzio. Assaincartato (concentrandosi questa volta sui consigli del cardiologo): “ Professoressa Quantembranata! Professor Quantenoioso! Volete rispondere? L’alunno Undici ha il sostegno?” Quantenoioso: “ Si … si. Io lo seguo nelle materie dell’area scientifica. Undici È un alunno tranquillo e rispettoso” Quantembranata:” Io la seguo nelle materie dell’area umanistica. È un’alunna ordinata e riguardosa” Assaincartato ( che rischiava di incartarsi di brutto):” Accidenti! Volete mettervi d’accordo? Undici è un maschio o una femmina?” Quantenoioso: “ È un maschio ” Quantembranata: “ È una femmina” Assaincartato ( meditò sugli anni che gli restavano per andare in pensione): “Professore Piccirotto vuole gentilmente darmi il fascicolo di Undici perché io possa conoscerne il sesso?” Afferrò la cartella dalle mani leste del suo galoppino e la scartabellò. Assaincartato: “ Dagli atti risulta che Undici è un maschio. Adesso, professoressa Quantembranata, mi vuole giustificare la sua confusione in merito al sesso dello studente in questione?” Quantembranata: “ Ecco … Ho scambiato la quarta con la quinta dove sta anche un Undici. Anzi … no. Ora ricordo: non è un Undici quello della quinta, è un Dodici, che è appunto una femmina. Comunque ho anche un Undici che è
maschio e mi pare che stia in quarta A liceo” Assaincartato si avvalse del diritto di non rispondere. Ai presenti, un minuto di silenzio non fu sufficiente; ne occorsero due per riflettere sull’insensatezza delle parole di Quantembranata, e intravedere in essa il futuro da idioti che prima o poi sarebbe toccato ad ognuno di loro. Undici fu ammesso alla classe successiva. Restava da esaminare l’ultimo alunno. Assaincartato:”iamo ora a valutare un altro caso complesso, quello dell’alunno Uno. Ha quattro in matematica, quattro in fisica, quattro in scienze, cinque in italiano. Con questi voti, Uno non può essere ammesso” Croceasmerza( con una voce così bassa che dovettero trattenere il respiro per poterla ascoltare):” Rispetto le vostre proposte di voto ma permettetemi di spezzare una lancia a favore di questo ragazzo. Lo conosco da quando era bambino perché abitiamo nello stesso palazzo. È un ragazzo di talento, dotato di una sensibilità non comune, studente brillante fino al terzo anno. La separazione dei genitori e il distacco dal padre lo hanno molto sconfortato distogliendolo dallo studio . Si è anche allontanato dagli amici e dalla fidanzata, la compagna di classe Tre. In poche parole Uno è caduto in un grave isolamento dal quale stenta ad uscirne nonostante l’aiuto lodevole dei compagni. Ora io vi chiedo di esaminare bene il caso e di considerare che una eventuale bocciatura potrebbe peggiorare il suo stato psicologico.” Assaincartato (riprendendo a respirare regolarmente): “ Se il cinque di italiano a a sei, si potrebbero dare tre debiti e portare Uno in quinta. Professoressa Sabbina, che cosa vuole fare? ” La docente non aprì subito bocca; se lo avesse fatto ne sarebbero venute fuori parole oscene nei confronti di Croceasmerza. Era indispettita per non essere stata la prima a sapere la storia di Uno, e infuriata per non averla potuto presentare lei in consiglio. Quando il pericolo di un turpiloquio fu scongiurato la docente parlò, anzi sbottò:
“NO! Non se ne parla proprio. Io non cambio il mio voto. Che lo fero gli altri: Tuttosommato , Viacolvento oppure Sentiamammà” Sentiamammà :” Io ho già aiutato Due al quale ho messo sei invece di quattro. Il quattro di Uno resta quattro” Viacolvento ( lisciandosi il ciuffo e scuotendo le ciglia):” Non guardate me. Per principio io non mi presto a questi giochetti” Croceasmerza:” Collega Viacolvento, perdona l’appunto, ma allora perché i tuoi quattro di Otto e Dodici li hai ati a sei? Sabbina ( con voce lacerata dalla collera): “ Cosa c’entra! … Quelli sono BES! Sono alunni bisognosi di sostegno, ma senza sostegno ” Avanvera: “ Ecco! Questi sono i veri giochetti … del ministero!” Assaincartato ( che per un attimo si era soffermato su una mammella di Cangiamano che premeva contro il banco ): “ È tardi! Vediamo di concludere. Vorrei sentire il professore di matematica” Tuttosommato:” Preside, che le devo dire? Uno è un alunno che nel primo quadrimestre …” Assaincartato: “Per carità! … Non possiamo perdere ulteriore tempo. Mi dica piuttosto cosa intende fare. Il suo quattro lo a a sei, oppure no?” Tuttosommato: ”No! L’uno di Quattro … mi scusi, volevo dire il quattro di Uno resta uno … mi scusi, quattro” Assaincartato ( sollevato dall’imminente conclusione):”Bene! Dal momento che i docenti interessati non vogliono cambiare le loro proposte di voto si delibera la non ammissione di …” Croceasmerza:” Scusatemi se insisto ma non potete chiudere in modo sbrigativo un caso che invece richiederebbe molta ponderazione. Ribadisco che Uno è un alunno dotato di straordinarie potenzialità. Cerchiamo di aiutarlo! Abbiamo favorito Otto e Dodici, perché non …”
Sabbina (più inviperita che mai): ” Allora non hai capito quello che ho detto! Quelli sono BES! … BES! ” Croceasmerza: ” Io credo di aver capito molto bene; siete voi a non aver compreso la particolarità del caso. Vi ostinate a parlare di sigle e di certificazioni e vi tirate indietro di fronte ad un ragazzo di grande talento che sfortunatamente è rimasto impigliato in un grave stato di sofferenza. È un ragazzo dotato di grandissima sensibilità, e pertanto estremamente fragile. Cambiare un voto non è arbitrario se ciò è finalizzato ad aiutarlo a rimettersi in piedi. Lo abbiamo fatto con gli altri, perché non farlo anche con Uno?” Assaincartato, inesorabilmente irrigidito dalla lettura di ordinanze, circolari e decreti ministeriali, non ce la fece proprio a intendere l’acutezza delle parole di Croceasmerza. Preferì lasciare che la questione se la sbrigassero tra di loro, sarebbe intervenuto unicamente se la discussione fosse diventata parecchio accesa. Lo divenne dopo soli cinque secondi; il dibattito divampò, e se egli non avesse fatto valere la sua autorità, battendo i pugni sul tavolo e tirando su il collo di pollastro, ci sarebbe stata una gazzarra pari a quelle di Montecitorio. Tuttosommato sbraitava contro Sabbina che strepitava contro Sentiamammà il quale incolpava Viacolvento che criticava Tuttosommato e via discorrendo. Assaincartato: “BASTA! Dobbiamo uscirne da questa disputa. Adesso dovete tacere e rispondere solo se sarete interpellati, e dovrete farlo in modo inequivocabile. Mi sono spiegato? … Allora professore Tuttosommato, le chiedo se intende are il suo quattro di Uno a sei. Risponda con un si o con un no! ” Tuttosommato: “ No!” Croceasmerza( con gli occhi umidi): “ Non puoi farlo! Uno ha studiato matematica per due giorni ed è riuscito a recuperare gli argomenti. Me lo hanno confidato i suoi compagni. Se solo tu lo avessi interrogato l’ultimo giorno di scuola invece di assentati … come del resto hai sempre fatto durante l’anno!” Tuttosommato ( con gli elettroni fuori dalle orbite e la riserva di bromazepam prosciugata) : ”Ma come ti permetti! Non osare parlarmi in questi termini!
Preside … intervenga! Faccia qualcosa!” Assaincartato( che mai prima d’ora si era sentito tanto incartato):” SMETTETELA! O SAR Ò COSTRETTO AD AGGIORNARE IL CONSIGLIO! Professoressa Croceasmerza, stia zitta se non è interpellata. Non mi costringa a prendere provvedimenti a suo carico. Dunque, riprendiamo. Professor Viacolvento, lei che fa? Intende cambiare il suo voto?” Viacolvento: “No!” Assaincartato: “ E lei? Professor Sentiamammà? “ Sentiamammà ( desiderò trovarsi tra le braccia di mammà che gli avrebbe cantato la ninnananna e sussurrato la risposta da dare al preside) : “ Beh! … Io … No” Assaincartato: “iamo a lei, professoressa Sabbina. È d’accordo a are il suo cinque a sei?” Sabbina ( furibonda con Croceasmerza):“ Certamente NO!” Assaincartato( alzandosi in piedi e levando gli occhi al padreterno che gli aveva concesso di arrivare alla fine del consiglio): “ Prima di concludere vi ricordo che eranno alla classe successiva anche gli alunni col debito formativo, col solo obbligo di frequenza di un corso di recupero. Lo scrutinio si chiude con l’ammissione alla quinta classe di tutti gli alunni all’unanimità tranne Uno!”
IV
La professoressa Sabbina si alzò di primo mattino, con le gambe malferme e gli occhi di raganella. Aveva ato la notte a pensare e ripensare agli abiti da portarsi in viaggio. Ancora una volta erano stati gli abbinamenti a preoccuparla: sarebbero dovuti essere a regola d'arte dal momento che avrebbe viaggiato nientemeno che col suo dirigente scolastico Assaincartato in persona! La professoressa Malelingua, che con il collega Piccirotto avrebbe dovuto affiancare il preside nel viaggio a Mosca, si era fratturata la gamba cadendo dall’albero del giardino sul quale si era incautamente inerpicata per agguantare il suo micio. Occorreva assolutamente rimpiazzarla. Ma non con un comune docente … Dio ce ne liberi! Bisognava attingerlo alla conventicola dei sostenitori del progetto “ Ma dove vai se il progetto non lo fai ”al quale Malelingua aveva sacrificato una caterva di ore di lezione. Questo creò problemi di ordine pubblico visto che erano in molti a voler viaggiare a sbafo, tanto più che una circostanza favorevole come quella dell’ infortunio capitato a Malelingua non sarebbe più arrivata( la docente in preda alla rabbia aveva disconosciuto il suo micio e di lui non aveva più voluto sentir parlare). Pertanto Assaincartato ricorse al sorteggio, lasciando che fosse la fortuna a decidere il nome del suo accompagnatore. Malauguratamente decise la sfortuna: il nome che lui estrasse fu quello di Sabbina , e già se la immaginò ingombrante e variopinta al suo fianco nella piazza Rossa; avrebbe scommesso la sua macchina di centomila euro che la docente si sarebbe abbigliata con colori che si intonavano col rosso! Il giorno della partenza coincise ( guarda un po’!) con l’inizio delle lezioni. Alla gioia dei fortunati docenti viaggiatori che per un mese non avrebbero visto
le facce di bronzo dei loro studenti si unì il tripudio degli studenti che per un mese non avrebbero visto le facce di bronzo dei loro due docenti, e quella ancora più bronzea del preside. Alle sette e quarantacinque minuti il Dirigente Scolastico professor Assaincartato, la Professoressa d’Italiano Sabbina e il Professore d’Informatica Piccirotto, delegati della scuola “Indietrotutta” prendevano il volo verso la città di Mosca. Alle otto e cinque minuti suonava la prima camla di un nuovo e promettente anno scolastico; centinaia di studenti fluirono rumoreggiando nelle aule. Solamente l’aula della quinta A liceo restò vuota, e la sua porta serrata. Alle otto e trenta, i quattordici ragazzi della quinta A liceo presero posto nei banchi, accompagnati dal silenzio della costernazione. Avevano trascorso l’estate accanto ad Andrea stabilendo i turni per non lasciarlo mai solo, per continuare a parlargli. Ma non era servito a niente. Tante parole, lacrime e preghiere: tutto dannatamente inutile! Tutto dannatamente assurdo: la bocciatura, la folle corsa in auto, lo schianto, il coma … la morte! Una sequenza che aveva tolto loro il respiro, e inaridita la speranza. L’urlo del loro dolore copriva le parole sorde del sacerdote, il loro raccoglimento attraversava le sue preghiere. Giulia adagiò una rosa bianca sul feretro sostenuta dal coraggio di Guido. Fuori della chiesa lo striscione dannatamente inutile “ Andrea sarai sempre nei nostri cuori ”commuoveva i anti.
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